
Questa mattina mi sono svegliato e mi sono reso conto, da quel che ho visto e sentito fuori e dentro me stesso che è cominciato un nuovo anno e come vuole il mondo, il tempo e il creatore, è cominciato come sempre nel freddo dell’inverno.
Da dietro i vetri della finestra nel caldo della mia casa vedo un velo bianco di gelo che copre il panorama di sempre e mi fa ritornare ad altri inverni forse più freddi, sicuramente meno pensierosi.
Penso e mi rivedo quando, ragazzino in mezzo a tanti altri, andavo a scuola elementare, a piedi tra la neve che copriva strade e stradelli ghiacciati; Ero in terza, e sotto al cappottino avevo il grembiule nero con il fiocco azzurro mentre sopra, sulle spalle, portavo la cartella a zaino.
Inverni gelidi allora, i più freddi che ricordo, tanto che per le forti nevicate e altrettanto ghiacciate, alla mattina si arrivava tardi a scuola e alla fine delle lezioni si arrivava più tardi del solito a casa.
La strada che di lì a pochi anni avrebbe collegato la vecchia scuola al nuovo paese non era ancora stata costruita e si usava percorrere una stradella in terra battuta, che si snodava tra i prati che tra la strada nazionale e la campagna coltivata, la via più corta e sicura per arrivare.
Alla fine del percorso, in prossimità della scuola si risaliva per la scarpata sulla strada che stava più in alto dei prati di alcuni metri.
Quell’inverno aveva portato molta neve, già da novembre era nevicato, tutto era coperto da una coltre bianca dove noi bambini affondavamo fin quasi al ginocchio il gelo poi aveva formato lastroni di ghiaccio lungo tutto il percorso della stradella ed in particolare sui due sentieri che risalivano per la scarpata stradale.
I sentieri erano diventati le piste ideali per gare di slittino, e noi bambini, ci ritrovavamo su quelle piste gelate dove ci lanciavamo in ardite e a volte pericolose discese.
Ogni giorno veniva dispensata la razione pro capite di lividi, distorsioni e contusioni varie, fino ad arrivare a qualche ferita lacero-contusa per non parlare di indumenti vari strappati al punto da renderli inutilizzabili.
Eravamo talmente presi dallo scivolamento su quei sentieri ghiacciati da ricorrere ad ogni mezzo che potesse servire per rendere ancor più emozionante le gare.
Ovviamente nessuno disponeva di uno slittino adeguato perciò si provava con tutto ciò che si reputava idoneo allo scopo: assi di lagno, casse per la frutta, lamiere, pneumatici d’auto e tant’altro ancora fu recuperato e usato, tanto nell’estate successiva sul prato si potevano rivedere tutte quelle cose a mucchi tanto da farlo assomigliare più ad una discarica.
Cominciammo a fare qualche gara di discesa anche prima dell’entrata a scuola, scoprendo che le cartelle scolastiche, allora di buon cuoio, bene si adattavano al ruolo di slittini, e così un po’ un giorno, prima di entrare, un po’ un altro, anche all’uscita si arrivò ad aumentare i tempi di presenza in pista a scapito di quelli a scuola o a casa, dopo le lezioni.
Si andò avanti così fin quasi a marzo fintanto, cioè, che rimase il ghiaccio sui sentieri, poi cominciò il disgelo e le pozzanghere conseguenti che decisero la fine delle nostre settimane bianche.
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