29 febbraio 2008

TRA VINIFERA E LABRUSCA - Cap. 3




L’INIZIO DELLA COLTIVAZIONE

La coltivazione della vite, secondo studi scientifici in materia, è databile fra il 6000 e il 4000 a.C., si sono trovate testimonianze nelle regioni montuose del Mar Nero e del Mar Caspio, gli Assiro-Babilonesi, secondo le loro credenze, adoravano una divinità della vite.I ritrovamenti nei siti archeologici di Lagash e di Ur, datati attorno al 2500 a.C., ci danno più precise indicazioni della esistenza di una presunta coltivazione dell’uva in piccoli vigneti irrigati che si trovavano spesso all'interno dei complessi templari.
Nella civiltà dell’antico Egitto, il vino era utilizzato per scopi sociali e religiosi già a partire dal 2000 a.C., questo fatto è documentato nei papiri e nelle pitture tombali.
Ancora più interessante è stato il ritrovamento di Centinaia di migliaia di semi e cariossidi che sono stati estratti dai sedimenti della regione di Arslantepe., nella maggior parte si tratta di carporesti (semi, cariossidi, parti di glume di frumento e frammenti di spighette) che appartengono a cereali e legumi.
Il ritrovamento di un vinacciolo di vite domesticata (Vitis vinifera L. ssp. vinifera) insieme ad alcuni di vite selvatica e ad altri di morfologia e indici biometrici intermedi, in un magazzino del palazzo del periodo tardo Calcolitico finale( 3350-3000 a.C.) assume particolare importanza. Le prime testimonianze archeologiche di viticoltura provengono dall’area prossima alla costa orientale del mar Mediterraneo (Israele, Libano, Giordania), dalla zona compresa nell’area di distribuzione naturale della vite spontanea. Secondo l’opinione degli archeologi,Il ritrovamento di Arslantepe sembra essere il più antico al di fuori dell’area naturale di vite spontanea, suggerendo l’esistenza di un’altra area di domesticazione, in Anatolia orientale.

24 febbraio 2008

TRA VINIFERA E LABRUSCA - CAP.2




LE ORIGINI DELLA VITE

L'origine della vite, l'ipotesi più sicura vede il centro originario della sua domesticazione in Asia Minore e in Transcaucasia, dove la pianta fu selezionata a partire dall'8000 a.C.
Già dal Quaternario compare la Vitis vinifera, specie di cui fanno parte la maggioranza delle varietà ad uva da vino e da tavola attualmente coltivate.
Relativamente alla viticoltura nella penisola italiana, ritrovamenti archeologici risalenti al periodo Paleolitico hanno permesso di recuperare vinaccioli e tralci di vite presso il Fiume Conca nel Riminese .
La pianta dell'uva comparve in due diversi tipi: la "vitis vinifera sativa" (adatta ai climi caldi del Mediterraneo) e la "vitis vinifera silvestris" (che successivamente si addentrerà nella parte più continentale dell'Europa).Alla specie vinifera appartengono le due distinte sottospecie: Vitis vinifera L. silvestris Hegi, cioè la vite selvatica e Vitis vinifera L. sativa Hegi, che è quella coltivata, apparsa cronologicamente più tardi.
La vite da vino (Vitis vinifera) è il prodotto di una lunga selezione per l’ opera fatta dall’ingegno dell'uomo. Risalgono alla prima Età del Bronzo le testimonianze archeologiche che mostrano semi di Vitis vinifera L. silvestris Hegi, ma è ancora prematuro parlare di vinificazione visto che le bacche di vite dovevano essere una componente dell'economia di raccolta tipica di quelle culture, insieme alle bacche del corniolo, del sambuco, del rovo, del lampone. Il passaggio fra le due sottospecie segna la nascita della viticoltura, che si fa risalire quindi alla fine del Mesolitico e più sicuramente al Neolitico almeno nell'area compresa tra la regione del Caucaso e la cosiddetta Mezzaluna fertile. Le bevande fermentate si originarono probabilmente dall'ingestione di frutti fermentati, in fase di marcescenza, una scoperta che non è specifica umana, poiché si conoscono molti casi di animali che ricercano intenzionalmente le proprietà inebrianti dei frutti caduti
a terra e in fermentazione. Dall'Asia Minore la coltura della vite e la produzione di vino si sono poi diffuse verso Occidente fino al bacino del Mediterraneo.
Seguendo la nei varî luoghi durante le diverse tappe di questo lungo 'viaggio' protrattosi da allora fino ad epoche più recenti, si possono individuare due vie principali di diffusione: la rotta meridionale (dal Medio Oriente alle isole del Mediterraneo) e la rotta del Nord (dalla Turchia e Grecia verso il Mare Adriatico).
La diffusione dei varî vitigni orientali risulterà così condizionato dal percorso compiuto dai colonizzatori che erano usi a portare con sé vinaccioli o porzioni di tralci: i primi meno deperibili ed ingombranti, i secondi più pratici da reperire e più veloci da propagare.
Tornando in Italia, già conosciuta dagli antichi storici ellenici del V secolo a. C. come Enotria (dal greco Oijnwtriva = terra del vino), la coltura della vite si può individuare nella tarda Età del Bronzo nel Sito di Stagno (LI) dove accanto a vinaccioli sicuramente di vite selvatica se ne riscontrano altri invece di vite domestica. E' solo all'Età del Ferro (IX secolo a. C.) che risalgono i ritrovamenti di semi esclusivamente di quest'ultima sottospecie come nel caso di Gran Carro di Bolsena (VT).E' oramai accertato che la colonizzazione greca dell'VIII secolo a. C. nel Meridione d'Italia, apportando nuove tecniche di coltivazione, quali la potatura corta e l'allevamento a ceppo basso o a 'palo secco' ,entrava in competizione con la tradizione indigena prima e con quella degli Etruschi in seguito.
Questi ultimi infatti, a differenza dei Greci, allevavano la vite usando un sostegno vivo costituito da una specie arborea tra quelle più diffuse nelle campagne, quali ad esempio l'acero campestre o l'olmo (questa tecnica della vite 'maritata' ha poi passato indenne i secoli attraversando il Medioevo e l'Età Moderna fino ad essere ancor'oggi visibile in sistemi di allevamento tradizionale oramai in disuso).

22 febbraio 2008

TRA VINIFERA E LABRUSCA - CAP.1


PARLIAMO DI UVE, UOMINI, VINI

Scriveva Gustave Flaubert del vino “Lo si schiaccia dolcemente tra lingua e palato; lentamente fresco e delizioso, comincia a fondersi: bagna il palato molle, sfiora le tonsille, penetra nell’esofago accogliente e infine si depone nello stomaco che ride di folle contentezza. Una meravigliosa quintessenza dalla natura che alimenta corpo e mente, che l’uomo ha da messo al centro di spiritualità e materialismo e che, al di là di ogni dubbio, ha accompagnato e continuerà a farlo, precedendola o seguendola ma comunque consolandola, l’umanità nel suo cammino. Pertanto come non cominciare dando voce alle testimonianze di chi, nella storia dell’umanità, ha saputo descrivere elevare e magnificare questo dono che ancora allevia i nostri crucci ,esalta le nostre gioie,consola le malinconie.Sono del sublime maestro Virgilio i tristi versi che descrivono il brindisi di Didone che si pone al centro del suo dramma, come anche accade per il brindisi di Enea dove prevale la tragica ma inesorabile malinconia. Orazio, indimenticabile maestro di vita, invita a levare i calici alla fugacità del presente, all’ineluttabile verità: E' l’intuizione tanto complessa quanto facile da capire, il suo carpe diem è l'invito a cogliere l’attimo fugace.Ai due grandi accostiamo un disilluso Ovidio, che ci riporta a un triste brindisi nella letteratura, quello di Saffo innamorata delusa tanto da arrivare porre fine alla propria vita. Arriviamo a periodi meno esaltanti, alla poesia in volgare delle origini sia in quella Provenzale, francese e italiana non ci sono brindisi.Non vi saranno per tutto il Trecento: non ne troveremo nelle liriche degli stilnovisti, non saranno di Dante, né di Petrarca, il fenomeno è in parte spiegabile: la letteratura in quel momento storico aspirava a temi più eletti e più originali dell'invito a bere. L’unica eccezione che troviamo, d'altro canto, è il brindisi nella lirica in lingua latina della poesia goliardica, è' una rivelazione tanto attesa quanto entusiasmante. Percorrendo la storia della letteratura incontriamo un grande: Shakespeare, che dire della sua dedizione ai brindisi dimostrato dal fatto che in molte sue opere dà al vino un ruolo importante, la ricerca ci porta a unire il suo nome a quello di Alfieri. Tra i due Il nesso è il riscontro di un primato attribuibile ad entrambi: nell'Otello troviamo il primo brindisi, in cui vi è un chiaro riferimento al tintinnare dei calici tra loro; nella rima di Alfieri,il primo chiaro riferimento all'alzarsi in piedi per pronunciare il brindisi. A Venezia Carlo Goldoni voleva che l'arte ritornasse all'uomo, e aspirava a sedurre con le proprie commedie il mondo, come la Mirandolina de La locandiera e il suo brindisi: "Che brindisi misterioso è questo?”. E' la nota distinzione tra la via del cuore e la via della mente per la purificazione dell'anima, i brindisi rompono quasi questa sintassi, per abbracciare entrambe le vie. Da quello di Banchieri del Cinque-Seicento a quello di Mascagni della fine Ottocento, il brindisi è un vero e proprio intreccio tra canto e discorso, tra confessione e conoscenza. tra passione e ragione. Il brindisi della Traviata è con l'incipit della Commedia dantesca, con quello dei Promessi Sposi, con i versi finali dell'Infinito leopardiano patrimonio di tutti. Ci basta poco per orientarci: la grande festa, Alfredo che guarda Violetta mentre lo pronuncia, Alfredo che le dichiara il proprio amore. Mozart ci dona nel suo Don Giovanni il brindisi per l'antologia, già dal Così fan tutte si può cogliere il talento che incontreremo nel brindisi più articolato che ha una grazia e una sintesi inconfondibili. Con due soli verbi ma ritmati in una sapiente alternanza, evoca sia la partecipazione del brindisi quanto il quadro scenico, il suo ritmo richiama il moto delle onde: "Tocca e bevi! Bevi e tocca". Non meno intenso e rivelatore è il brindisi del Don Giovanni, i versi sono altrettanto straordinari per sintesi e precisione, in quattro battute c'è tutto don Giovanni e la sua follia. Nel brindisi di Prividali de L'occasione fa il ladro di Rossini, le parole sono decisamente più sprezzanti: "viva il sesso femminino!".Non dimentichiamo che nella storia anche la pittura è stata prodiga di geni che hanno immortalato questo Spirito divino.L'androginia del Bacco Michelangiolesco o quella del Bacco-San Giovanni di Leonardo è ripresa su tela nel Bacco del Caravaggio, il volto, dolce e melanconico, ingentilito ulteriormente dall'eccentrico cinto di foglie svolazzanti.Il gioco della citazione, dei riferimenti colti ritorna nel Brindisi del Minotauro con l'incisore e due fanciulle di Picasso.Parrà strano che sia proprio Picasso a rispolverare il tema mitologico,il Minotauro, figlio di Pasife e del toro; tra le solite coppe di vino e le coppe del seno. In conclusione la vite, l’uva, il vino non sono mai mancati nella storia in ogni ambito e sotto ogni aspetto possiamo dire che la parola d’ordine da sempre è: BRINDARE !
Abbiamo brindato seduti come Rembrandt o in piedi come nel sonetto di Alfieri, levando alto il calice come nelle scene corali di Jordaens o la coppa come la Baccante romana, oppure come Caravaggio o Velazquez, tenendo coppa e calice bassi. Abbiamo brindato alla dea fortuna, come gli antichi, all'amico, come Orazio, ai giorni futuri, come tutti. Da più di cinquemila anni si brinda così, chi conosce il vino, sentenzia Rabelais, conosce la parola “trink”.Di fatto sono poche, le varianti del rito, la letteratura, la musica, l'arte non ne danno i testimonianza, per conoscerne alcune si deve ricorrere alle tradizioni popolari. La stessa azione la si trova tra i popoli di religione ortodossa: qui però cambia il valore simbolico, per alcuni la rottura del bicchiere evoca la fine della vita celibe. Il costume russo di lanciare all'indietro il bicchiere è spiegato come il gesto di liberarsi della ragione per cui si è brindato, in modo da lasciare spazio a un altro brindisi, a un'altra gioia. L'uso, abbastanza diffuso tra le popolazioni germaniche, di brindare guardandosi negli occhi, assume il significato di una partecipazione intensa e leale nell'augurarsi salute e fortuna. Nelle regioni Slovacche questo brindisi è riservato ai maschi, tra ragazzi e ragazze si usa invece brindare tenendosi mano nella mano e con la sinistra bere. Un riferimento più marcato all'unione nuziale è il brindisi, diffuso soprattutto nel sud, di bere con le braccia intrecciate tra sposo e sposa. Abbiamo brindato facendo tintinnare i calici come Shakespeare, e nelle fumose taverne dei goliardi. Nei matrimoni ebrei, per esempio, si usa rompere il bicchiere dopo il brindisi a ricordo della distruzione del tempio di Gerusalemme. Un'altra parola è usata nel brindisi polacco, bevendo d'un fiato, gettando la testa indietro, si dice - bach! - quasi a riprodurre il suono della lingua schiacciata contro il palato. Pare che siano più di quaranta i Santi protettori del vino, quello del brindisi potrebbe essere identificato in San Vincenzo.
Era tradizione comporre dei giochi di parole con il suo nome, alcuni di questi pare evochino proprio il brindare, come vin-cent, ossia l'augurio di bere vino per cent'anni, e “O vincent O”, che si trovava sulle insegne dei cabaret e che si poteva leggere au vin sans eau e quindi interpretare, lunga vita "alla taverna del vino senz'acqua".

17 febbraio 2008

Tempo al tempo



Pensavo a cose immediate, a impegni di lavoro, di gioco, di mondo e chissa cos'altro ancora, e correndo per questi pensieri mi sono ritrovato a non riuscire a controllarli. I pensieri viaggiavano da soli e si moltiplicavano sovrapponendosi e mescolandosi tra loro.
La cosa, lì per lì, non mi ha scombinato più di tanto, a parte un po' di meraviglia, ma credo di avere capito solo allora che più ti affanni e ti affolli la testa, prima, più si affannerà la tua vita, poi: di cose e di fatti che vorresti o che non vorresti, ma che in ogni caso ineluttabilmente ti capiteranno o no.
Perdi il senso e lo spazio e la ragione ma, se riesci a isolarlo, ti viene da dire che è il tempo e se lo pensi dentro ai tuoi pensieri ti convinci: è il tempo.
E' il tempo che cambia e ti cambia: ma è il tempo che ti guarda passare? O sei tu che lo guardi mentre ti passa a fianco, passo uguale a passo; più svelto, più lento. Se ti giri e lo guardi, lui si volta, ti sfoglia e ti legge la vita.
"Sei fuori tempo" è così oppure è solo una domanda. Se lo vedi non ci stai più dentro, non guidi più tu e lo lasci correre; allora e solo allora lo riconosci, dal sapore, dal colore, dal rumore. Da quel piccolo e dimenticabile dolore che ti lascia dopo ogni passato.

11 febbraio 2008

Tempi duri per i troppo sani

Clima temperato e cielo terso, privo di nubi sopra l'ex Ospedale che si è calato nei costosi abiti nuovi, ma rattoppati, per non dare l'impressione di avere nascoste disponibilità o di avere aprofittato degli emolumenti altrui o confermarsi la malcelata (ma ben conosciuta) corte dei miracoli, asilo di barbare orde di arroganti parvenue.
I tempi sono da un po' cambiati, i migliori che la "Casta Sanitaria" ha visto negli ultimi anni, i peggiori che ci vuole mostrare. Meglio non far vedere troppo quel che si ha, e lasciare ai disgraziati, la soddisfazione dell'ostentazione di quel che non riescono a permettersi. Barometro tendente decisamente al bel tempo e senza precipitazioni, oggi che tutti sono usciti con l'ombrello e le galosce, molti anche con cappotto, guanti e stivali, mentre i pochi intenditori dei venti passeggiano, riccioli alla brezza, avvolti in ariose sete o freschi lini.
Per il prossimo futuro si conferma la raccomandazione di stare ben coperti (e possibilmente allineati) che certi malanni continuano ad essere in agguato, vale più che mai il sempreverde "Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici me ne guardo io"!
La tendenza alla sopravvivenza consiglia di non abbandonare ancora le vecchie abitudini, di preferire per i tragitti ambienti aperti, anche in presenza di precipitazioni, di non fermarsi incrociando altri, anzi, cambiare direzione, e soprattutto evitare portici e luoghi coperti in genere.
Occhio alla penna, comunque, e ricordare che chi non balla al tempo giusto è quasi sicuramente perduto, almeno quanto chi sta ballando a tempo. . . ora.
Ad ogni modo, io non ci credo molto, ma lo faccio: hai visto mai! e poi, dopo, non dite che non vi era stato detto.

07 febbraio 2008

Prego, non disturbare.

La mia stanchezza è cronica, sono stanco da generazioni,è la mia forma interiore ed esteriore caratteristica che mi spinge continuamente a ripensare e riaffermare che sono stanco. Sono stanco di una stanchezza vecchia di una vita, e di più. Sono stanco della stanchezza ereditata, avuta in dono, prestatami, comperata, vinta. Sono ricco di stanchezza, ne posseggo tanta da non saper dove può stare, non conosco un capiente posto adatto ad immagazzinarla. Sono stanco della gente che mi sta attorno e mi sorride simpaticamente, degli amici(o coloro che tali affannosamente si dichiarano) che mi danno affetto e solidarietà per interesse, per riuscire a sottrarmi quel sentimento di amicizia che vive nella mia voglia e volontà a non interrompere mai.Che aspettano con pazienza ma certezza per poter, nel bene o nel male, ostentare come un trofeo o una ragione.