“Farò carri coperti, securi e inoffensibili; i quali
intrando intra i nemici con le sue artiglierie, non è sì grande moltitudine di
gente d’arme che non rompessimo. E dietro a questi potranno seguire fanterie
assai illese e senza alcun impedimento .”
Leonardo da Vinci descriveva
così il suo Carro Coperto presentando il progetto, nel 1485, a Ludo-vico il Moro signore di Milano.
Molto tempo prima, nel 401
a.c., Ciro Il Giovane aveva introdotto nel suo esercito i carri falcati, che
avevano, applicate alle ruote, delle lame ad ala di falco e permi-sero al
condottiero di trionfare nella battaglia di Cunassa.
Trascorsero ancora secoli
prima di ritornare a parlare di carro armato, che però
secondo la moderna concezione
doveva essere:
-un
veicolo militare corazzato da combattimento,
-un
veicolo idoneo a muoversi su terreno accidentato per mezzo di cingoli,
-un
mezzo armato di un cannone e di una o più mitragliatrici,
-un
mezzo capace di sviluppare una buona velocità su strada e fuoristrada,
-un
mezzo con l’attitudine al superamento di ostacoli
-un
mezzo con capacità protettiva dell’equipaggio.
Tali caratteristiche definiscono
un Sistema d’Arma
l'associazione tra l'arma vera e propria e più
dispositivi ausiliari, adatti alle condizioni di battaglia, che permettono di
aumentarne le prestazioni,
comparve per la prima volta
nel corso della Prima guerra mondiale durante la battaglia della Somme.
L'idea generica di un simile
mezzo bellico, però risale addirittura al 18°secolo.
Nel 1770 l'inglese Richard
Edgeworth aveva sviluppato l'idea di inserire delle ruote in movimento
all'interno di un nastro avvolgente
nel 1898, Crispino Bonagente
un maggiore dell’artiglieria del Regio Esercito, progettò un sistema di trazione
a piastre collegate che brevettò nel 1911 col nome di rotaie a cingolo per il
traino delle artiglierie da fortezza, sistema che fu adottato dai diversi
eserciti per il movimento dalle artiglierie.
Nella Guerra di Crimea furono
utilizzati sui campi di battaglia i primi trattori a vapore che, traspor-tando
fanti armati, riuscivano a percorrere tratti di terreno accidentato.
I diversi tentativi per
realizzare i sistemi Cros-Country, migliorarono con l’invenzione del motore a
scoppio a combustione interna, che fu adottato negli Stati Uniti per la
realizzazione del trattore dell’Holt Company su un sistema di trazione a
cingoli.
nel 1889 l'americano Simms, realizzò un
veicolo da combattimento che montava un motore Daimler; aveva una corazza
antiproiettile e un armamento composto di due mitragliatrici. Il veicolo
militare fu proposto allo Stato Maggiore Inglese che lo rifiutò giudicandolo
costosissimo e di dubbia utilità in battaglia.
Nel 1911 Gunter Burstyn, un
tenente del genio dell’Esercito Austriaco (kaiserliche und königliche Armee),
progettò un veicolo con caratteristiche interessanti rispetto all'epoca, il Burstyn
Motorgeschultz, o torpedine terrestre, che era dotato di cingoli e aveva un
armamento composto da un can-none a tiro rapido Skoda da 3,7 cm e due
mitragliatrici da 7 mm.
Il progetto, e un modello del
mezzo, furono presentati al Ministero della Guerra a Vienna, non fu accettato a
causa di problemi finanziari.
Nel 1912 un caporale
dell’Esercito Australiano tale L. A. De Mole, che aveva però buone cognizioni
tecniche, propose al Ministero della Guerra Britannico un progetto per la
costruzione di un veicolo su cingoli in grado di muoversi su superfici
irregolari, ma il progetto non ottenne
alcun interesse.
Lo scoppio della Grande
Guerra segnò il passaggio alla guerra moderna, dalle guerre “napoleoniche” per
il modo di affrontarsi degli eserciti, si passò a una rivoluzione delle
strategie, fortemente influenzate dalle risorse di mezzi messi in campo.
L’industrializzazione entrava fortemente in campo, la ricerca di nuovi mezzi e
il loro forte utilizzo decretava la nascita della guerra tecnologica.
In ogni nazione belligerante
s’intensificò in ogni direzione la ricerca di nuove tecnologie che potessero
risolvere l’immobilismo della guerra di posizione nei campi trincerati
dell’Europa, il carro armato divenne per tutte un obiettivo più o meno
primario.
La Gran Bretagna
Nel 1914 il colonnello
dell’Esercito Britannico Ernest Swinton presentò, dopo l’inizio della guerra,
il progetto di un carro armato per favorire la guerra di movimento, vista la
situazione del fronte che si cristallizzava nelle trincee.
Il colonnello riuscì a
organizzare una dimostrazione alla quale parteciparono anche Winston Churchill,
allora primo Lord dell’Ammiragliato e David Lloyd George, che diventerà primo
ministro, i quali rimasero impressionati dal potenziale del mezzo e
s’impegnarono allo sviluppo del progetto che partì dalla Royal Navy.
Il progetto fu battezzato
Tank (cisterna) per sviare i servizi segreti nemici, facendo credere che si
volesse sviluppare un semplice sistema di rifornimento idrico per le truppe. Il
progetto fu portato a termine dal Landships Committee che aveva posto una serie
di punti da raggiungere.
Il mezzo da combattimento con
dieci uomini di equipaggio a bordo doveva viaggiare a non meno di quattro
miglia orarie (6 km l’ora) e superare ostacoli alti più di un metro, essere in
grado di attraversare fossati e trinceramenti larghi almeno 2 metri, avere una
protezione che lo rendesse immune dai proiettili delle armi portatili e avere
un armamento di più mitragliatrici, inoltre doveva coprire un raggio d'azione
di almeno 30 km. Apparve chiaro fin da subito che il veicolo che si voleva
realizzare era la naturale evoluzione dei veicoli militari blindati già
esistenti ma con una versatilità da inoltrarsi su terreni dove gli altri
veicoli si fermavano.
Alla fine dei lavori fu
realizzato tra luglio e settembre 1915 un veicolo armato corazzato su cingoli
che soddisfava le richieste e fu prodotto dalla William Foster e Co., il primo
vero modello di tank denominato Little Wyllie, il progenitore di tutti i carri
armati .
Il carro era alimentato da un
motore Daimler da 105 cv, con due serbatoi di benzina posti nella parte
posteriore.
Il prototipo era armato con
sei mitragliatrici Madsen e un cannoncino da due libbre Vickers. La maggior
parte dei componenti meccanici, compreso il radiatore, furono presi da quelli
del trattore d'artiglieria pesante Foster-Daimler.
Il veicolo non aveva una vera
corazzatura d'acciaio, lo scafo era formato da diverse placche in me-tallo
saldate insieme spesse al massimo 10 mm, all’interno vi trovava posto un
equipaggio formato da sei uomini e la velocità massima era di due miglia l’ora
(circa 3,2 km/h).
Little Willie fu la base per realizzare
il successivo tank Mother o Mark I Whippet da cui, grazie all’esperienza fatta
sui campi di battaglia, cominciò un percorso evolutivo che portò alla
realizza-zione dei modelli progressivamente migliorati MK II, MK III, MK IV e
V.
La conformazione delle
lamiere e delle piastre di corazza e il potenziato armamento di questi carri
permisero di differenziare la produzione a seconda delle esigenze d’impiego,
due furono le varianti chiamate Male (maschio) di 28 Ton. e Female (femmina) di
27 Ton. Una conservava i cannoni QF 6 pounder e tre mitragliatori Hotchkiss da
303 cui se ne aggiunse un quarto impiegabile da una postazione frontale.
L'altra versione era dotata
di quattro mitragliatrici Vickers raffreddate ad acqua più due mitragliatrici
Hotchkiss ed era più leggero di circa una tonnellata. I cannoni posti ai lati
del carro Male, in posizione in gondola, erano navali a tiro rapido, la
gittata raggiungeva i 1800 metri con una celerità di 20 colpi al minuto.
L’equipaggio era di otto uomini e aveva un motore Daimler-Foster da 105 cv che
permetteva di raggiungere una velocità di 6,5 Km orari.
Nello stesso periodo fu
progettato uno dei primi carri armati superpesanti, del peso di oltre sessanta
tonnellate, ma non ne fu costruito neppure un prototipo. Formato da una grossa
casamatta in ferro senza torretta, aveva un armamento costituito da un cannone
posizionato anteriormente e 8 mitragliatrici, due per ogni lato.
La particolarità di questo
carro era di essere dotato, oltre ai due cingoli principali, di un altro paio
di cingoli più corti e piccoli posizionati tra i principali, nel caso che
questi fossero colpiti o inutilizzabili, ma potevano servire anche a superare
ostacoli come trincee o grandi ostacoli.
La Francia
L’Esercito Francese, benché a
conoscenza del progetto inglese, era più propenso alla produzione di
artiglieria campale, il sostenitore della necessità di avere mezzi corazzati fu
il colonnello Jean Baptiste Eugène Estienne, considerato il padre dell’arma
corazzata francese (Régiment de Chars de Combat), che riuscì in un'opera di
convincimento delle alte gerarchie, in particolare verso il primo Capo di Stato
Maggiore, generale Joseph Joffre, convinto assertore della offensiva ad
oltranza (l’“Elan Vitale” francese) che autorizzò lo sviluppo di vari progetti.
L’Esercito Francese
commissionò 400 esemplari, nascevano così i primi carri armati francesi: il
carro Schneider nel 1916 e il carro Saint Chamond nel 1917, riconoscibile per
l'installazione, nella parte anteriore, di un cannone a tiro rapido L12 CTR da
75 mm. Il Carro Saint Chamond, con peso di 23.400 kg, era lungo 8,83 m
(compreso il cannone), era dotato di un motore Panhard et Lesasser che
sviluppava 90 CV, la velocità massima era di 8,5 km/h con autonomia di 59 km.
L'equipaggio era composto da nove persone.
Questo carro fu presto
abbandonato a causa del grande pezzo di artiglieria che ne limitava la
manovrabilità ed era più lungo e più pesante dello Schneider CA1 che fu
presentato ufficialmente il 16 giugno 1915 di fronte al Presidente della
Repubblica francese Raymond Poincaré e al generale Joseph Joffre, Capo di
Stato Maggiore dell'esercito. I lavori furono momentaneamente sospesi quando
giunse la richiesta dell'esercito di dotare i trattori di un dispositivo
tagliafili Breton.
La struttura di base del CA1
era ispirata da quella del trattore agricolo Holt di produzione statunitense
ma spinto da un motore Schneider da 60 CV e nel complesso appariva molto simile
a una casamatta. La corazzatura era costruita sopra il telaio a foggia di
ridotta corazzata, con una struttura pensata per resistere ai proiettili
ordinari calibro 8 mm a una distanza di 15 metri.
Lo spessore delle piastre,
imbullonate al telaio, era di 11,5 mm, che diventavano 17 mm nella parte
frontale, arrivando a un minimo di 5,5 mm sul fondo dello scafo. Il carro CA1
era dotato di un por-tellone d'accesso posteriore a due battenti, feritoie e
finestrini e un lucernaio per evacuare i fumi.
Per il superamento degli
ostacoli, come le trincee e per evitare l'affossamento, il carro era dotato di
uno sperone anteriore e di due code posteriori, aveva un equipaggio di sette
uomini ed era armato con un cannone Schneider Blockhaus SoBS da 75 mm e da due
mitragliatrici da 8 mm Hotchkiss.
Su richiesta dell’Esercito fu
inoltre adottato un carro leggero per sostenere la fanteria e realizzato dalla Renault,
l’Auto Mitragliatrice a Cingoli modello FT 1917 che fu il più famoso carro
armato francese utilizzato durante la Prima guerra mondiale. I primi “Char
Mitrailleur” avevano una torretta ottagonale a cielo aperto, in seguito
rimpiazzata da una torretta rotonda di acciaio curvo (torretta Girod, da una
delle fabbriche che producevano il carro) che poteva ospitare alternativamente
un cannone Puteaux SA 18 calibro 37 mm o una mitragliatrice Hotchkiss M 1914
calibro 7.92 mm.
Questo carro fu il primo ad
avere una configurazione cui si adattarono in seguito tutti i carri armati, di
grande manovrabilità e buon armamento, con una corazzatura che andava dai 16 ai
22 mm, aveva un equipaggio formato da un pilota e un cannoniere o mitragliere a
seconda dell’armamento e riusciva a raggiungere i 12 Km orari.
Furono prodotti 3.500
esemplari di questo modello e si trattava del primo carro armato con una
tor-retta girevole a 360°. Durante il corso della guerra fu prodotto e
utilizzato in massa tanto che in una sola occasione furono usati 480 carri nei
pressi di Soissons nel luglio del 1918. Dopo la guerra, il carro FT 17 fu
esportato in numerose Nazioni e anche l'Italia acquistò esemplari del FT 17 da
cui in seguito fu sviluppato e prodotto in Italia il modello Fiat 3000.
La Germania
Lo Stato Maggiore tedesco
sulla linea degli altri eserciti, commissionò un suo progetto di carro ar-mato,
al gruppo di progettazione “Allgemeines Kriegsdepartement Abt.7 Verkehrswensen”,
guidato dall’ingegnere Joseph Vollmer, venne richiesto un mezzo con un carico
utile di 4 tonnellate, un mo-tore unico da 80/100 cv e una velocità di 12
km/ora su strada e 6 fuori, armato con un cannone in caccia ed uno in ritirata
e mitragliatrici su tutti i lati.
Il risultato cui arrivarono
fu il Deutsche Gelandewagen A7V, detto
anche Sturmpanzerwagen, che aveva la metà dell’armamento richiesto e il motore
raddoppiato a causa del peso di quasi 34 tonnellate e che fu messo a
disposizione dell’esercito (Kaiserreichsheer) solo alla fine del 1917.
Il carro tedesco era un mezzo
semplice, anche se di concezione moderna per via della separazione tra il treno
di rotolamento e lo scafo, e tra il vano motore e l’alloggiamento
dell’equipaggio che era composto da 18 Panzergrenadieren.
Lo scafo, che poggiava sopra
alla cingolatura, aveva una pianta rettangolare e frontalmente la struttura
era costituita da due piastre a V per deflettere meglio i colpi delle
artiglierie. Le parti che componevano la corazzatura erano imbullonate e,
nella parte frontale, era di ben 30 mm di spessore.
Malgrado fosse costruito
dalla Krupp, uno dei migliori produttori di acciaio, la profonda crisi
eco-nomica in cui versava l'industria tedesca non aveva permesso di utilizzare
leghe speciali ma solo acciaio dolce. Il conseguente aumento obbligato della
corazzatura faceva aumentare talmente il peso da limitare la manovrabilità del
mezzo.
La Russia
Nell'Impero Russo già da
prima della guerra si stava lavorando in gran segreto alla progettazione di un
veicolo corazzato e tra il 1914 e il 1915 fu realizzato un prototipo: lo Zar,
chiamato anche Netopyri (pipistrello). Il progetto era stato proposto allo Zar
Nicola II nel 1914 dal capitano Nikolai Lebedenko, ingegnere militare.
La realizzazione progredì in
segreto: gli elementi erano costruiti in una fabbrica situata a Mosca e poi
trasportati e assemblati in una radura nei pressi di Dmitrov, per via delle
dimensioni fu infatti previsto che il veicolo venisse assemblato solo in prossimità
del fronte.
Il veicolo corazzato era
basato non su cingoli, come la maggior parte dei veicoli corazzati pesanti, ma
su una configurazione a ruote a triciclo.
La struttura assomigliava a
un gigantesco affusto da cannone ed era costituita da una griglia di travi
d'acciaio che sostenevano la cabina e la torretta. Le ruote anteriori a 120
raggi avevano un diametro di circa nove metri, mentre la posteriore era un
rullo composto di tre ruote con un diametro di 1,50 metri. Le dimensioni delle
ruote erano pensate per superare ostacoli notevoli, come trincee e fossati, ed
erano propulse ciascuna indipendentemente da un motore aeronautico Sunbeam di
240 cv di potenza.
Il prototipo pesava 40
tonnellate ma era previsto un peso di 60 T per il definitivo che avrebbe avuto
un equipaggio di quindici uomini e un armamento composto da un cannone da 150
mm e due mitragliatrici Maxim da 7,62 mm, era stata inoltre programmata
l'aggiunta di ulteriori armamenti nella parte inferiore dello scafo.
La corazzatura variava dal
minimo di 5 mm a un massimo di 10 mm di spessore. Il carro non entrò mai in
servizio e il progetto fu presto abbandonato dopo il primo test, poiché i costi
erano molto e-levati e inoltre aveva problemi di manovrabilità, risultava sotto
potenziato ed estremamente vulnerabile al fuoco dell'artiglieria. Alla prima
prova effettuata in condizioni simili a un campo di batta-glia, emersero tutti
i difetti e il prototipo finì impantanato nel terreno dove fu abbandonato.
L’Italia
L'Esercito Italiano promosse
lo sviluppo di un progetto di carro armato che si ispirava a quelli utilizzati
sul fronte Europeo, fu incaricata dallo Stato Maggiore la FIAT, che nel 1916
iniziò lo studio di un nuovo mezzo da combattimento, affidandone la
progettazione agli ingegneri Carlo Cavalli e Giulio Cesare Cappa.
Il primo ufficiale italiano
incaricato di interessarsi alla modernissima arma fu il capitano di Artiglieria
Alfredo Bennicelli che è idealmente
considerato il fondatore dei carristi italiani.
Nei primi mesi del 1917, per
ordine del Ministro della Guerra Zupelli, si recò in missione nelle Fiandre per
visionare i primi esemplari di carro armato impiegati da Francia e Inghilterra
e ottenne dalla Francia un esemplare di carro Schneider allo scopo di
sperimentarne le caratteristiche sul fronte italiano.
Le prove svolte a Tricesimo
diedero buoni risultati per cui l'Italia richiese altri esemplari ai francesi,
riuscendo, faticosamente, ad ottenere alcuni Renault FT 17.
Il 1° settembre 1918 fu
costituita a Verona una Sezione Speciale Carri Armati che prendeva il nome di
Reparto Speciale di Marcia Carri d'Assalto comandato dal maggiore Corsale. In
poco tempo si perfezionò il progetto del carro armato italiano Fiat 2000
modello diciassette e il prototipo fu presentato alle autorità militari il 21
giugno 1917, la meccanica era definitiva, la corazzatura e l'arma-mento furono
sviluppati nei mesi successivi.
Il prototipo aveva un cannone
in torretta troncoconica a cielo aperto e quattro mitragliatrici in caccia, tre
su ogni fiancata ma nessuna in ritirata, era munito di grandi feritoie non
scudate a causa delle numerose armi installate.
Nel 1918 il modello completo
e definitivo del Fiat 2000 era costituito da una grande casamatta di corazze
imbullonate e inclinate, spesse 20 mm ai lati e 15 superiormente e sul fondo
dello scafo. L’interno era diviso in due ambienti: motore e tutte le componenti
meccaniche contenute in un vano inferiore; sopra a questo c’era il vano di
combattimento.
L’armamento primario era
costituito da un cannone d’accompagnamento da 65/17 Mod. 1908/1913
opportunamente modificato e installato in una torretta emisferica, formata da
quattro spicchi di lamiera e un cupolino. La torretta brandeggiava su 360°,
mentre l’ampio settore di tiro in elevazione, da -10° a +75°, permetteva di
usare il pezzo anche per il tiro curvo come un obice.
L’armamento secondario era
costituito da ben sette mitragliatrici Fiat-Revelli Mod. 1914 calibro 6,5 mm,
erano disposte ai quattro angoli della casamatta, centralmente sulle due
fiancate e una posteriormente.
L’equipaggio di dieci
militari prendeva posto nel vano di combattimento e per la guida a sportelli
chiusi il pilota disponeva di un periscopio. I sette mitraglieri disponevano,
oltre che delle aperture delle rispettive armi, anche di otto feritoie con
sportello.
Il motore a benzina, di
origine aeronautica, era un Fiat A12 posto nella parte posteriore del vano
motore. Esso erogava 250 hp sufficienti a spingere le quasi 39 tonnellate del
carro alla velocità massima di 7,5 km/h, ne permetteva il superamento di una
trincea di 3,5 m, un gradino di 1 m e una pendenza di 40°, inoltre era in grado
attraversare guadi fino a 1 metro d’acqua di profondità. L’autonomia,
nonostante un serbatoio da 600 litri, era limitata a 75 km.
Il treno di rotolamento si
discostava dal cingolo avvolgente dei tanks inglesi ed era notevolmente
superiore a quelli, troppo corti, dei carri Schneider CA1 e Saint Chamond
francesi inoltre era completamente protetto dalle gonne laterali corazzate,
come sull’A7V tedesco, ma differenza di questo la protezione non ne
comprometteva la mobilità.
I cingoli erano costituiti da
piastroni di acciaio nervati larghi solo 45 cm, il che comportava un’eccessiva
pressione. Le sospensioni a balestre poggiavano su quattro carrelli oscillanti
per lato, ognuno munito di due rulli, ai quali si aggiungevano i due rulli
fissi alle estremità, per un totale di dieci rulli per lato.
La fine della guerra impedì,
di fatto, l’impiego sul campo dei due esemplari costruiti e, in seguito,
ridusse l'interesse per i mezzi corazzati rallentandone la realizzazione.
Nello stesso anno i due carri
furono riuniti a Torino, dove nel dicembre 1918, in seno all’arma di
artiglieria, fu formata la Prima Batteria Autonoma Carri d'Assalto,
progenitrice della Specialità Carristi, composta di due sezioni ciascuna dotata
di un carro Fiat 2000 mod. 17 e di tre carri Renault FT 17.
Nel febbraio 1919 la batteria
fu inviata in Libia per contrastare la guerriglia e l'unità prese parte alle
operazioni nella zona di Misurata, con un solo carro poiché l'altro esemplare
era rimasto a Roma per l’addestramento.
Lo stesso anno la batteria
rientrò in Italia senza il Fiat 2000, che fu lasciato a Tripoli, ma nel teatro
di guerra nelle colonie, caratterizzato da lunghe distanze nel deserto, il
carro si rivelò troppo lento per poter efficacemente contrastare le scorrerie
dei guerriglieri.
Del Fiat 2000 di Tripoli si
sono perse le tracce, l’altro l'esemplare rimasto presso l'8° Reggimento
Artiglieria di Roma fu trasferito, nel 1924, al neonato reparto carri armati
del Colonnello Enrico Maltese a Pietralata successivamente fu trasferito al
Forte Tiburtino.
Nel 1934 il FIAT 2000 fu
esibito in occasione del campo Dux a Roma ai Parioli con livrea grigio verde e
le due mitragliatrici in torretta sostituite dal cannone Vickers-Terni 37/40.
L’ultima notizia del carro
risale al 1936 quando fu trasferito nella caserma “Corrado Mazzoni” di Bologna,
sede del 3° Reggimento Fanteria Corazzata e utilizzato come monumento. Oggi non
esiste più un esemplare di carro Fiat 2000 mod. 17.
Gli Stati Uniti d’America
Al momento dell’entrata in
guerra il 6 aprile 1917, l’Esercito Statunitense non aveva sviluppato
organicamente un progetto di carro armato, ma si era orientato su trattori
corazzati come i Killen-Strait e Bullock Creeping Grip in alcuni casi
sperimentati senza particolare successo nella guerra con il Messico, e venduti
in buon numero all’Inghilterra.
L'American Expeditionary
Forces (AEF) dell’U.S. Army, si dimostrò nel 1918, soprattutto negli ultimi mesi,
uno degli eserciti più forti e organizzati di tutto il conflitto, giunse in
Europa senza veicoli corazzati, il suo comandante, generale John Pershing
organizzò nel corso delle operazioni sul fronte francese il Tank Corps; tra i
comandanti vi era George Smith Patton (1885-1945) che accumulò esperienza
riguardo l'utilizzo dei carri armati e sarà, nel corso della Seconda guerra
mondiale, uno dei maggiori strateghi delle unità corazzate.
L’AEF adottò quasi subito il
carro francese prodotto dalla Renault, e negli Stati Uniti fu messo in
produzione su licenza francese ma con delle modifiche e degli accorgimenti che
lo distinsero da quello francese.
Il veicolo fu impiegato come
un valido supporto della fanteria basti pensare che ne furono impiegati 200 esemplari
durante l'attacco americano a Saint-Mihiel nella battaglia della Mosa
nell’ottobre 1917.
Alla fine della Prima guerra
mondiale gli inglesi avevano prodotto 2.626 carri armati i francesi 4.800, i
tedeschi non riuscirono a costruirne oltre 20 esemplari anche per non essersi
mai convinti della reale utilità di tale mezzo da combattimento, gli Stati
Uniti 84 su licenza francese e l'Italia produsse due esemplari più pochi altri
su licenza francese che non entrarono mai in linea. In totale furono prodotti
nell’arco del conflitto che va dal 1916 al 1918, 7.728 veicoli corazzati.
1916 1917 1918 Totale
Regno Unito 150 1277 1391 2818
Francia - 800 4000 4800
Germania - - 20 20
Italia - - 6
6
USA - - 84 84
L’impiego sul campo
Nel romanzo Niente di nuovo
sul Fronte Occidentale, Eric Maria Remarque racconta l'angoscia provata dai
soldati nelle trincee davanti alla nuova arma. La paura e lo sgomento che
provarono i soldati quando si trovarono dinanzi i carri armati, macchine che
non avevano mai visto e che rende-vano ancor più disumana la guerra.
" . . . Avanzano nella
loro corazza, rotolano in lunga fila, ed ai nostri occhi esprimono più di ogni
altra cosa l'orrore della guerra. I pezzi che ci fulminano con il loro fuoco
tambureggiante, noi non li vediamo; le ondate di nemici che ci assaltano sono
uomini come noi; ma questi tanks sono macchine, i cui cingoli sono una catena
infinita come la guerra stessa; sono la strage, quando, macchine senz'anima,
rotolano nelle buche e poi ne risalgono e non si fermano mai, flotta di corazze
mugghianti e fumiganti, bestioni d'acciaio invulnerabili, che stritolano i
morti e feriti[…]
Davanti a loro ci
raggomitoliamo nella nostra pelle sottile, di fronte alla loro violenza
colossale le nostre braccia sono fuscelli, le nostre bombe a mano fiammiferi
…".
Anche le condizioni in cui
operavano i soldati dei tank che, alla loro comparsa erano stati definiti le
“navi da terra”, erano sicuramente molto difficili, in genere lo spazio interno
del veicolo era occupato centralmente dal motore che, in quasi tutti i carri,
non era separato dal resto del veicolo e generava una rumorosità tale da
indurre gli occupanti a comunicare solo a gesti.
Era molto spiacevole stare in
un ambiente chiuso e privo di ventilazione, l’equipaggio respirava aria
contaminata dal monossido di carbonio, dai vapori nocivi derivanti dal
carburante e dagli esplosivi alla cordite.
La temperatura poteva raggiungere
i 50 gradi, causando perdita di conoscenza o il collasso dei carristi non
appena si affacciavano all’esterno ed altrettanto alto era il pericolo di forti
ustioni dal malaugurato, ma molto frequente, contatto con parti del propulsore
e i tubi di scarico che diventavano incandescenti,
I soldati all’interno del
carro armato dovevano quindi operare, per i propri compiti, sballottati a
causa del terreno accidentato non avendo postazioni che li proteggessero e
trattenessero ai loro posti, in un ambiente fumoso e surriscaldato.
Le corazzature laterali non
essendo spesse come quelle frontali erano spesso trapassate dai proiettili
delle mitragliatrici pesanti che una volta entrati rimbalzavano sulle pareti
interne generando panico tra gli occupanti e ferendoli, inoltre i serbatoi di
carburante erano collocati lateralmente o in alto, sotto le corazze superiori,
anch’esse di spessore minore che, se trapassate dai proiettili, s’infiammavano
facendo esplodere il veicolo.
L’equipaggiamento in
dotazione ai carristi oltre al casco avvolto da una spessa protezione di gomma,
comprendeva anche una maschera anti frammentazione, era una composizione di
piastre, forate per gli occhi, sotto di cui c’era una maglia di ferro fino al
mento, serviva per proteggere il soldato dallo Spalling, un fenomeno che può
essere tradotto, in senso lato, come frammentazione, cioè il distacco di
schegge metalliche a seguito dell’onda d’urto rilasciata dai proiettili che
colpivano all’esterno il carro.
L’energia generata da un
colpo sulle lamiere senza riuscire a disperdersi sulla sua superficie,
tra-smetteva la forza del colpo al lato interno dell’abitacolo e della piastra
che, in quel punto, esplodeva proiettando schegge sull’intera squadra del
carro.
Ancora più difficili le
comunicazioni tra i singoli carri che potevano essere solamente visive e tra le unità corazzate e i
comandi (piccioni )
Fu il 16 settembre del 1916
che nelle trincee tedesche, a Flers Courcelette, un soldato all’improvviso
gridò: “Arriva il diavolo!”. I camerati accorsero a vedere, e secondo quanto
avrebbe ricordato un mitragliere, si videro venire incontro 32 “grandi mostri
di acciaio che si avvicinavano lentamente, a fatica, dondolando ”.
In quei giorni di settembre,
nonostante gli equipaggi non avessero ancora perfezionato l’addestramento,
furono impiegati 32 Tank inglesi contro le linee tedesche nella battaglia della
Somme, una serie di cause non fece raggiungere il risultato sperato, già poco
dopo la partenza dalle proprie linee, il 50% dei carri era fuori combattimento.
I Mark IV finirono
impantanati o caddero dentro le trincee o, in generale, ruppero i motori
sollecitati oltremodo durante il combattimento e solo l'eroismo e l'abnegazione
dei primi carristi riuscirono ad aver ragione di queste gravi lacune strutturali.
Nell'aprile del 1917 i
francesi impiegarono ben 128 carri durante l'offensiva sull’Aisne, lungo il
noto Chemin des dame, ma anche in quell'occasione i risultati non furono
entusiasmanti, così come avvenne il mese seguente a Bullecourt.
Gli inglesi ancora una volta
utilizzarono i carri in maniera inadeguata durante la terribile carneficina di
Passchendaele (terza battaglia di Ypres) combattuta sotto un torrenziale
diluvio che trasformò la zona in un’immensa palude dove s’impantanarono tutti i
Tank portati in linea.
L'importanza del carro armato
e il suo valore tattico si dimostrarono nella battaglia di Cambrai, dove gli
inglesi ottennero il primo vero successo, il neonato Critiche Tank Corps che
era arrivato a dotarsi di ben 474 esemplari, riuscì a superare le difficoltà
contribuendo in maniera decisiva al successo dell'offensiva.
Nella battaglia fu impiegato
un numero tale di carri da creare una grande massa di attacco, il 20 novembre
furono schierati 200 carri su un fronte di 8 Km.
L'attacco fu preceduto da un
bombardamento di preparazione da parte delle artiglierie, poi dalla cortina
fumogena sbucarono i tank, generando il panico nei difensori.
I carri, seguiti dalle
fanterie, ottennero un successo decisivo a dimostrazione che i carri armati erano
un mezzo fondamentale .
Nel frattempo anche i
tedeschi avevano inviato al fronte i carri A7V e il 24 aprile 1918 ci fu il
primo scontro tra carri armati che la storia registra.
Durante la seconda battaglia
di Villers-Bretonneux avvenne il primo scontro tra carri armati,
La battaglia di Villers-Bretonneux (24 Aprile 1918)
Alle 7.00 del mattino del 24
Aprile, quattro divisioni di fanteria, coperte da speciali proiettili fumogeni
e sostenute da 13 A7V , attaccarono con decisione i dintorni di Villers-Bretonneux
e le difese della vicina Cachy.
L'apparizione dei carri
armati tedeschi portò scompiglio e panico tra i difensori: gli inglesi,
infatti, non pensavano che anche il nemico potesse disporre di propri veicoli
corazzati.
In breve, molti soldati britannici
furono falciati senza pietà dalle mitragliatrici dei veicoli nemici, mentre la
fanteria tedesca neutralizzava i superstiti.
Alle 10.00, appena tre ore
dopo l'inizio dell'attacco, Villers-Bretonneux era stata occupata quasi
completamente e gli A7V, seguiti dalla fanteria, avevano sfondato le linee
inglesi di circa 10 Km.
Giunta notizia dell'assalto
nemico, le compagnie britanniche presenti nel Bois d'Aquenne cercarono di
riorganizzarsi e di passare al contrattacco.
Nella foresta era presente un
piccolo distaccamento corazzato, composto da tre Mark IV e comandato dal
Capitano J.C. Brown.
Una delle unità era guidata
dal Luogotenente Frank Mitchell, Brown
ordinò a Mitchell di supportare la fanteria, intenta a consolidare le proprie
posizioni di fronte al nemico.
Mitchell partì con il suo
veicolo in direzione di Cachy, accompagnato anche dagli altri due carri armati.
Dopo tre quarti d'ora di
marcia, i tre mezzi corazzati raggiunsero finalmente il settore dei
combattimenti.
All'improvviso, un A7V tagliò
la strada al veicolo di Mitchell; questi non credette ai propri occhi: un carro
armato tedesco!
Passata la sorpresa, il
Luogotenente informò della notizia anche gli altri tank e si gettò
all'inseguimento del mezzo nemico.
Per la prima volta, due veicoli
corazzati si affrontavano in campo aperto, l'uno contro l'altro.
L'A7V, guidato dal colonnello
Biltz, si accorse degli inseguitori e attaccò con violenza il Mark IV di
Mitchell, aprendo il fuoco con il suo cannone da 57 mm.
Il colpo andò a vuoto, e gli
inglesi risposero subito; ma anche loro mancarono il bersaglio.
Iniziò una lunga serie di
manovre e contromanovre, con un fitto e vicendevole scambio di colpi, ma
nessuno dei due equipaggi riusciva a mettere fuori combattimento l'avversario.
Al termine di un duello
serrato e avvincente, Mitchell riuscì a centrare mortalmente il carro armato
avversario.
Biltz e i suoi uomini
abbandonarono l'A7V ormai inutilizzabile e si unirono alla loro fanteria.
Vinto il suo primo scontro,
il Mark IV di Mitchell si scagliò contro altri due tank nemici, sopraggiunti
nel mezzo della battaglia.
Forse spaventati dal fato del
veicolo di Biltz, i due A7V si ritirarono dalla scena a rotta di collo: uno di
loro, però, fu fermato da un proiettile dell'artiglieria britannica, che mandò
in frantumi buona parte della sua corazza.
Ancora vincitore, Mitchell
andò in aiuto degli altri due Mark IV, impegnati contro la fanteria nemica; in
breve, i tedeschi furono messi in fuga.
Nel frattempo, un aereo da
ricognizione informò la guarnigione di Cachy che numerosi contingenti nemici
stavano avanzando verso di loro, appoggiati da svariati carri armati. A Cachy
si trovava un piccolo drappello di Whippet, comandato dal Capitano T.R. Price.
Egli prese subito
l'iniziativa e partì immediatamente in direzione delle truppe d'assalto
tedesche; strada facendo si congiunse con Mitchell e i suoi veicoli.
I Whippet e i Mark IV
attaccarono insieme la fanteria nemica, seminando morte e terrore.
Pur perdendo alcune unità,
Price e Mitchell inflissero pesanti perdite ai tedeschi e li costrinsero
rapidamente alla ritirata.
Nell'inseguimento, Mitchell
si imbatté nuovamente in un A7V: dopo un breve scambio di colpi, il veicolo
tedesco si ritirò in buon ordine.
Due o tre ore più tardi, il
carro armato di Mitchell concluse la sua corsa: un colpo d'artiglieria,
infatti, distrusse completamente i suoi cingoli.
L'instancabile equipaggio del
Mark IV scese allora dal proprio mezzo, ormai inutilizzabile, e si unì ai
difensori di una vicina trincea. La prima battaglia tra mezzi corazzati della
Storia era giunta al termine.
Una curiosità, Mitchell,
l'eroe di Villers-Bretonneux, sopravvisse alla guerra e inviò, insieme ai
membri del suo ex equipaggio, una richiesta formale all'Ammiragliato per
ricevere un premio in denaro: il loro Mark IV, infatti, aveva abbattuto un A7V
a Villers Bretonneux.
La Royal Navy, da cui
dipendeva formalmente il Corpo Corazzato, riconosceva una ricompensa ai
componenti degli equipaggi di navi che avevano affondato vascelli nemici.
Il War Office rifiutò il
reclamo di Mitchell, giudicando un carro armato come "un'arma di
terra", che non aveva nulla a che fare con le operazioni marittime, l'era
delle prime "navi da terra" era finita.
Il 4 luglio 1918, a Le
Hammel, il generale John Monash comandante in capo dell'Esercito Australiano
mise a punto una strategia che divenne comune in seguito nell’uso dei carri
armati, fece lanciare un attacco preventivo e contemporaneo dall’artiglieria,
dall'aeronautica e dai carri, prima di fare uscire le fanterie allo scoperto e
giungere sulle linee avversarie distrutte, questo non si era mai verificato
prima.
Era chiaro che il tiro
distruttivo e prolungato dell'artiglieria non bastava per ridurre all'impotenza
le linee nemiche, pertanto il generale Monash per primo decise di non impiegare
la fanteria nella prima fase dell'attacco evitando l'ennesima strage.
In novantatre minuti vinse la
battaglia sgombrando il campo avversario e gettando le basi per una successiva
avanzata dal 18 al 26 luglio, durante la quale 336 carri Schneider CA 1 insieme
ai Saint Chamonde e ai Renault FT 17 furono schierati a supporto delle truppe
franco-americane.
L’esperienza maturata sul
campo dimostrò che i carri armati, impiegati in questa maniera, erano un’arma
vincente per riprendere la guerra di movimento e fare arretrare le linee
tedesche.
L’8 agosto 1918 fu la
giornata nera dell'esercito tedesco, ben 604 Tank alleati permisero alle forze
schierate un'avanzata su circa 35 km di tutto il fronte occidentale.
John Frederick Fuller
(1878-1966), ufficiale dell’Esercito Britannico nella Grande guerra,
considerato l’iniziatore della scuola britannica sull’impiego dei mezzi
corazzati, diede uno sviluppo impor-tante alla teoria della tattica messa a
punto dalla fanteria nel corso della Prima guerra mondiale. Fino ad allora si
erano utilizzate delle truppe di fanteria per creare sfondamenti locali, che
dovevano essere sfruttati immediatamente, prima dell'arrivo in loco delle
riserve dei difensori.
Questa tattica aveva
dimostrato la sua validità almeno in tre battaglie, condotte in condizioni
molto diverse fra loro, ma sempre con questi principi: Riga (1917), Caporetto
(1917), Marna (1918). Questi canoni
d’impiego erano stati studiati da Fuller, che aveva proposto una tattica
chiamata del fiume in piena, basata su principi analoghi.
La comparsa del carro armato
aveva indotto l’ufficiale a spostare l’attenzione sul nuovo mezzo, che
s’integrava perfettamente alla teoria già sviluppata e aveva indicato le
conseguenti modalità d’impiego della nuova arma, che potevano riassumersi in
alcuni precetti: i carri armati dovevano es-sere impiegati in massa, quindi
dovevano essere inquadrati in divisioni omogenee costituite in prevalenza di
soli carri armati (divisioni corazzate);
I carri dovevano operare in
collaborazione con le altre armi, in particolare fanteria e artiglierie e le
aliquote di queste ultime, integrate nella divisione corazzata, dovevano avere
la stessa mobilità dei carri; la funzione delle divisioni corazzate non doveva
essere tattica ma strategica.
Queste idee, divergendo da
quelle degli Stati Maggiori, non ebbero fortuna né in Gran Bretagna e tanto
meno in Francia, al contrario della Germania che, facendo tesoro delle
esperienze anche negative, maturate nel corso della Grande guerra, le assimilò
e su queste basò lo sviluppo dell'arma co-razzata che nella Seconda guerra
mondiale metterà in pratica con successo.