28 giugno 2011

Fattori psicologici nel trapianto di cuore. Uno studio. Una riflessione

Si apprende dal sito del Centro Nazionale Trapianti che uno studio, realizzato presso l'Ospedale Sant'Orsola di Bologna, ha dimostrato una correlazione tra lo scarso adattamento psicologico alla condizione di trapiantato di cuore e l'accresciuto rischio di eventi avversi.

Attraverso interviste strutturate, è stato valutato lo stato di salute mentale e di benessere psicologico di 95 pazienti trapiantatati di cuore, integrando poi i risultati con le condizioni socio- demografiche, con la presenza di altre patologie e del numero di farmaci prescritti.

Lo studio, pubblicato su Transplantation, ha quindi evidenziato che esiste una correlazione significativa tra lo stato psichico e le condizioni di salute dopo il trapianto. La notizia, in verità, non desta alcuno stupore.

Mente e corpo non sono due entità distinte, ma sono aspetti diversi di un tutt'uno in costante interazione tra di loro. Un problema organico inevitabilmente influenza la sfera mentale.

E allo stesso modo quindi, uno stato di continua tensione psichica può determinare alterazioni funzionali nel corpo che, a lungo andare, possono dare origine a patologie organiche. E' inevitabile che una malattia importante abbia delle ripercussioni psicologiche. Perché mina le proprie sicurezze di base e induce sentimenti di tristezza, rabbia, ansia. Sentimenti che non vanno sottovalutati, anzi occorre prestare loro attenzione allo stesso modo in cui si seguono i parametri clinici.

Spesso infatti si sente dire: è solo un problema psicologico... quasi a minimizzare... senza considerare che, non solo, un problema psicologico porta la stessa sofferenza, se non maggiore, di un problema fisico, ma che può dare origine ad alterazioni funzionali che, a lungo andare, possono trasformarsi in lesione organica. proposito quindi della ricerca in oggetto, mi auguro che tali risultati possano comunque indurre ad una maggiore considerazione del vissuto del paziente, considerandolo nella propria unità psicofisica, e attuando quindi una serie di interventi che prevedano il sostegno psicologico.

Perché il problema non è tanto comprendere la correlazione che esiste tra trapianto, stato ansioso-depressivo e problematiche cliniche. Ma è riuscire a sostenere psicologicamente il trapiantato fornendogli questi strumenti idonei a consentirgli di trovare in sé nuove risorse, motivazioni e significati del proprio percorso. Un lavoro che in verità, dovrebbero fare un po' tutti, sani e malati, ma che in presenza di una grave malattia, e in particolare di un trapianto, diviene indispensabile.

09 giugno 2011

LE STAMINALI CARDIACHE RISVEGLIATE RIPARANO IL CUORE



Il cuore dopo un infarto si puo' autoriparare con una piccola 'spinta molecolare' che sveglia cellule dormienti presenti al suo interno. Attivando una riserva di cellule staminali dormienti presenti nello strato piu' esterno (epicardio) del cuore, queste possono trasformarsi in cellule cardiache. Il loro 'risveglio' puo' essere indotto somministrnado una proteina, la timosina beta-4, gia' nota per le sue proprieta' salvacuore. Lo dimostra uno studio condotto su animali i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature da Paul Riley della University College London. Si profila quindi la possibilita' di una terapia cellulare post-infarto semplice, o anche, spiega Riley, di una terapia ''preventiva'' a base di timosina per preparare il cuore a ripararsi in caso di infarto. La timosina beta-4 e' una molecola scoperta meno di dieci anni fa che da subito ha dimostrato grandi potenzialita' nella terapia post-infarto. Da alcuni anni ricercatori di tutto il mondo stanno testando con varie modalita' la terapia cellulare ripara-cuore. Si tratta cioe' di indurre la riparazione del cuore infartuato con cellule staminali indotte a divenire cellule cardiache. Gli esperti britannici hanno tentato una strada che, se si rivelasse corretta, sarebbe molto semplice da praticare: si usa la timosina beta-4 per svegliare staminali dormienti che risiedono nell'epicardio e che sono ancora capaci di trasformarsi in cadiomiociti. Gli esperti hanno testato con successo la tecnica su topolini cui hanno indotto l'infarto.