15 gennaio 2018

SERVIZIO SPORTELLO PUBBLICO


   L’ufficio pubblico era al piano terreno del palazzone che guardava la piazza del paese. All’ufficio si accedeva dalla porta vetrata sotto il porticato e anche chi non conosceva la collocazione dell’ufficio, una volta arrivato in piazza si rendeva subito conto dell’ubicazione per via delle persone che stazionavano accodate davanti all’ingresso. Quasi tutti i giorni durante l’orario di apertura c’era coda una coda di gente esasperata ma ormai rassegnata a prendersi il molto tempo necessario quando costretti a rivolgersi ai servizi dell’ufficio.
All’interno la fila dei questuanti si protraeva dividendosi in due file distinte, una davanti ad ognuno dei due sportelli aperti al pubblico dietro ai quali, protette dallo spesso vetro divisorio facevano capolino le teste delle due addette presenti in quell’ufficio da diversi anni.
Bionde e bécere, dietro al vetro dello sportello al pubblico, si tendevano l’una verso l’altra, senza mai interrompere quello scoppiettante chiacchiericcio, un fitto pigolare modulato, tra bassi sospiri e acute risatine.
Tra un avventore e l’altro o tra la stampata di un documento e l’altra, anche solo tra un timbro e l’altro, ma pure tra una digitata e l’altra e tra un tratto di biro a sigla e l’altra o tra una videata e l’altra, riuscivano a mantenere quella loro corsia preferenziale, quel logorroico legame senza soluzione di continuità.
Quasi conferenziando in seduta plenaria sostenevano e alimentavano con argomentazioni di basso profilo, e a volte con dubbio gusto,  senza mai abbassare la soglia di interesse verso le stesse.
Ma bastava cogliere  un raro momento di silenzio, per appropriarsi della calma necessaria (impresa ardua visto l’ambiente) per concentrarsi nell’ascolto di loro due soltanto e cogliere il senso di quell’affannosa interconnessione.
Giudiziavano! giudiziavano e giustiziavano chiunque passava dentro alle loro menti o davanti ai loro occhi, con equità, senza deroghe e riservando a tutti lo stesso trattamento.
Una, la più bionda e bruttina, con voce bassa e sempre meravigliata, proponeva con regolare cadenza nomi o riferimenti precisi di persone e accompagnava ognuno di questi, nel pronunciarli, con un’espressione dedicata, quasi sempre una sorta di smorfia che però variava quasi impercettibilmente da caso a caso e ciò anticipava la critica che si sarebbe imbastita di seguito.
L’altra, tendente al rossiccio e anonima, agitava le due braccine, dai gomiti alle mani, le cui dita sembravano antennine disarticolate e roteava, con simultaneo tempismo, gli arti (quelli visibili ma la ragione faceva presumere lo stesso anche per quelli non) il mento, tanto che quest’ultimo  sembrava quasi indipendente dalla testa e disegnava ellissi nell’aria.
Le labbra semichiuse nel tentativo di non mostrare il parlottare continuo, lasciavano uscire striduli versetti incomprensibili che, a giudicare dalle espressioni disarmoniche del volto, anche l’altra sembrava faticare a comprendere.
Si capivano, tra le tante emissioni sonore, parole irripetibili cose da fare arrossire uno scaricatore di porto, con tutto il rispetto e senza offesa per la categoria tanto utile, termini che non ci si aspetta certamente di sentire dalla gentile bocca di una esponente del gentil sesso e ancor meno in quell’ambiente, pubblico e, per loro, di rango elevato.
A corollario delle argomentazioni non mancavano raffiche di insulti vari, ben scanditi e sottolineati, con modulazioni vocali e mimiche facciali appropriate, che andavano tra lo schifato ed il rabbioso; ma ciò che più meravigliava era il fatto che abbinata a tanta animosità si conclamasse sempre più il fenomeno strano della fissità degli occhi.
Le pupille erano fisse ferme inermi, sembravano finte, delle protesi inerti; quegli occhi parevano capitati li per caso, piantati in quei visi accidentalmente, privi di luce e di anima.
Strana condizione per un essere vivente, che fa pensare a chi l’osserva se sia di origine genetica o evolutiva o solo i sintomi di una  patologia rara, magari indotta dalla situazione in cui si trovavano; o si trovavano in quella situazione proprio perché dotate di tale caratteristica.
Misteri privati in posti pubblici, che sono universi a loro stanti e con loro leggi, che si contrappongono a quelle della fisica e della natura in generale; paradisi per antropologi e inferni per normali avventori accodati.