L’ufficio pubblico era al
piano terreno del palazzone che guardava la piazza del paese. All’ufficio si
accedeva dalla porta vetrata sotto il porticato e anche chi non conosceva la
collocazione dell’ufficio, una volta arrivato in piazza si rendeva subito conto
dell’ubicazione per via delle persone che stazionavano accodate davanti
all’ingresso. Quasi tutti i giorni durante l’orario di apertura c’era coda una
coda di gente esasperata ma ormai rassegnata a prendersi il molto tempo
necessario quando costretti a rivolgersi ai servizi dell’ufficio.
All’interno la fila dei
questuanti si protraeva dividendosi in due file distinte, una davanti ad ognuno
dei due sportelli aperti al pubblico dietro ai quali, protette dallo spesso vetro
divisorio facevano capolino le teste delle due addette presenti in
quell’ufficio da diversi anni.
Bionde e bécere, dietro
al vetro dello sportello al pubblico, si tendevano l’una verso l’altra, senza
mai interrompere quello scoppiettante chiacchiericcio, un fitto pigolare
modulato, tra bassi sospiri e acute risatine.
Tra un avventore e
l’altro o tra la stampata di un documento e l’altra, anche solo tra un timbro e
l’altro, ma pure tra una digitata e l’altra e tra un tratto di biro a sigla e
l’altra o tra una videata e l’altra, riuscivano a mantenere quella loro corsia
preferenziale, quel logorroico legame senza soluzione di continuità.
Quasi conferenziando in
seduta plenaria sostenevano e alimentavano con argomentazioni di basso profilo,
e a volte con dubbio gusto, senza mai
abbassare la soglia di interesse verso le stesse.
Ma bastava cogliere un raro momento di silenzio, per appropriarsi
della calma necessaria (impresa ardua visto l’ambiente) per concentrarsi
nell’ascolto di loro due soltanto e cogliere il senso di quell’affannosa
interconnessione.
Giudiziavano!
giudiziavano e giustiziavano chiunque passava dentro alle loro menti o davanti
ai loro occhi, con equità, senza deroghe e riservando a tutti lo stesso
trattamento.
Una, la più bionda e
bruttina, con voce bassa e sempre meravigliata, proponeva con regolare cadenza
nomi o riferimenti precisi di persone e accompagnava ognuno di questi, nel
pronunciarli, con un’espressione dedicata, quasi sempre una sorta di smorfia
che però variava quasi impercettibilmente da caso a caso e ciò anticipava la
critica che si sarebbe imbastita di seguito.
L’altra, tendente al
rossiccio e anonima, agitava le due braccine, dai gomiti alle mani, le cui dita
sembravano antennine disarticolate e roteava, con simultaneo tempismo, gli arti
(quelli visibili ma la ragione faceva presumere lo stesso anche per quelli non)
il mento, tanto che quest’ultimo
sembrava quasi indipendente dalla testa e disegnava ellissi nell’aria.
Le labbra semichiuse nel
tentativo di non mostrare il parlottare continuo, lasciavano uscire striduli
versetti incomprensibili che, a giudicare dalle espressioni disarmoniche del
volto, anche l’altra sembrava faticare a comprendere.
Si capivano, tra le tante
emissioni sonore, parole irripetibili cose da fare arrossire uno scaricatore di
porto, con tutto il rispetto e senza offesa per la categoria tanto utile,
termini che non ci si aspetta certamente di sentire dalla gentile bocca di una
esponente del gentil sesso e ancor meno in quell’ambiente, pubblico e, per loro,
di rango elevato.
A corollario delle
argomentazioni non mancavano raffiche di insulti vari, ben scanditi e
sottolineati, con modulazioni vocali e mimiche facciali appropriate, che
andavano tra lo schifato ed il rabbioso; ma ciò che più meravigliava era il
fatto che abbinata a tanta animosità si conclamasse sempre più il fenomeno
strano della fissità degli occhi.
Le pupille erano fisse
ferme inermi, sembravano finte, delle protesi inerti; quegli occhi parevano
capitati li per caso, piantati in quei visi accidentalmente, privi di luce e di
anima.
Strana condizione per un
essere vivente, che fa pensare a chi l’osserva se sia di origine genetica o
evolutiva o solo i sintomi di una
patologia rara, magari indotta dalla situazione in cui si trovavano; o
si trovavano in quella situazione proprio perché dotate di tale caratteristica.
Misteri privati in posti
pubblici, che sono universi a loro stanti e con loro leggi, che si
contrappongono a quelle della fisica e della natura in generale; paradisi per
antropologi e inferni per normali avventori accodati.