La mattina, quando uscivo di casa per andare a scuola, alla comunale, come si diceva allora della scuola elementare, facevo di tutto per perdere tempo soffermandomi sul portone, sul cancello o per la strada fino all’arrivo di Annina.
Lei abitava nel mio stesso quartiere, frequentava la mia stessa scuola, anche perché c’era solo quella, però nell’ala dell’edificio dove c’erano le classi femminili.
Annina era bionda di capelli ma di un biondo particolare, quasi oro, raccolto in un paio di lunghe trecce che incorniciavano un viso ovale spruzzato di lentiggini, una creatura dolcissima con un sorriso meraviglioso, era sempre allegra, serena e ben educata, e non alzava mai la voce, perciò era simpatica a tutti.
Annina, con quell’aria paffutella, eh sì! In effetti era un po’ formosetta, certamente non grassottella, ma morbida e molto piacevole ma io, a quell’età, come tutti gli altri bambini, preferivo stare insieme ai maschi, evitando le bambine che avevano altri giochi, altri modi, che con i nostri non si potevano paragonare.
La sola eccezione che facevo era per Annina, che mi disarmava; Non mi riusciva a comportarmi come di solito facevo con le altre bambine, anzi, non riuscivo nemmeno a comportarmi come facevo normalmente in qualsiasi altra occasione.Mi perdevo, e se da un lato mi metteva a disagio, da un altro mi riempiva di serenità la sua rassicurante presenza.
In qualsiasi posto mi venissi a trovare, se c’era Annina, riuscivo a capirlo; Percepivo, nell’aria, quel profumo di buono, quell’odore che è proprio e personale di ogni individuo e che, nel caso di Annina, sapevo riconoscere al di là di ogni possibile fraintendimento. Quell’odore saziante e stimolante di tutti i sensi, di buon mangiare e bere, di riposo dopo una fatica, di sollievo dopo la paura, di festa e allegria, di necessario e di superfluo; Quell’odore che, nella vita, capita di incontrare entrando in un luogo che, qualsiasi esso sia, può diventare di perdizione e, allo stesso tempo, di pentimento, e poi di redenzione e ancora di languida consolazione.
A ben pensarci, l’immagine che Annina dava di se era, nell’insieme, una visione di buona bellezza o di bella bontà, non sò ben dire: non riesco a descrivere con più precisione cosa fosse per me, allora, quella dolce creatura che riusciva a darmi sensazioni che non conoscevo, perché non capivo, ma che di lì a poco tempo avrei apprezzato, riconosciuto e rincorso.
Quella sorridente bambina aveva il potere di farmi continuamente rivivere i miei legami più cari di allora e più gelosamente custoditi. Passandole accanto percepivo il profumo del pane appena tolto dal forno che, a quei tempi, facevano le donne della famiglia nella gran casa in mezzo al grande podere.
In certe occasioni, sfiorando la sua pelle, sentivo gli aromi sedanti in cui riconoscevo lo spirito della grande cucina dove, emozionato, trovavo ristoro dagli affanni e protezione dalle arrabbiature di mio padre. Nelle giornate di primavera, dopo affannose corse attraversando i prati fioriti, ci buttavamo stanchi e sudati sull’erba e, ansanti, ci riempivamo il naso e la bocca di aria e delle fragranze di tutta la natura che ci stava attorno, in quei momenti sentivo, di Annina, una tempesta di profumi buoni e invitanti, come se mi fossi trovato in pasticceria. Vergognosamente, anche se non capivo perché, cercavo di nascondere quel desiderio, quasi incontrollabile, di addentare la sua pelle che mi tentava al pari di spumose creme.
All’entrata della scuola, per raggiungere le aule, attraversavo un ombroso e umido androne e, in certe giornate buie e piovose d’autunno, attraversandolo con a fianco la mia bionda amica, mi sembrava di essere nella cantina del nonno, guardavo le forme che quella strana luce dava alla figura d’Annina e non riuscivo a fare a meno di aspirare profondamente, per assaporare quell’improvviso profumo di mosto e di vino che si materializzava quasi per magia.
Col senno di poi, col senno di adesso, mi rendo conto che erano burrasche d’istinti sconosciuti, che si ammucchiavano in caotica sequenza, ma che oggi sarei ben contento di poter tornare a gustare, cercando di identificare e catalogare in buon ordine, centellinandoli ad uno, ad uno; Quindi, lasciarli liberi di scatenarsi in traumatizzante confusione. Annina era la saziante serenità della mamma, era l’ingorda opulenza della cuoca, era l’appetitosa impazienza della morosa, era l’appagante appetito della moglie, era l’esasperante golosità dell’amante, era il frugale assaggio proibito.
Non sapevo, né potevo immaginare che in Annina c’era, come in tutte le esponenti dell’altra metà del cielo, l’intero mondo d’odori e sapori che riempiono, intrecciandosi negli anni, la vita fortunata di quelle persone che non si accontentano di vivere gli avvenimenti, ma che fanno di tutto per farli accadere.
Quell’anno passò, alternando momenti sereni, passati all’ombra della rilassante tranquillità d’Annina e momenti di tensione, per lo scherno dei compagni che non riuscivano a capire cosa ci trovassi di tanto interessante nel frequentare quella bambina. Finirono le scuole e durante le vacanze estive incontrai Annina alcune volte, ma presto capii che non era più come prima. Durante la scuola vivevo al massimo quegli attimi fuggenti con Annina, aspettavo quegli momenti e finalmente, quando mi trovai a poter disporre di tutto il tempo che volevo, da passare con lei, mi resi conto che avevo poco da dire e da fare e quel poco era anche poco interessante. Io, per lei, ero più strano; Lei mi pareva meno bella, meno sorridente, meno interessante. Io mi sentivo, il più delle volte, impacciato; Lei, a volte, addirittura annoiata da quel gran niente che, un po’ alla volta, nasceva tra noi.
Quell’anno, all’inizio della scuola, mi accorsi della mancanza d’Annina solo perché me lo fecero notare i compagni di scuola, appresi che la dolce amica si era trasferita in un altro paese e, di conseguenza, aveva cambiato scuola; Pensai che forse non l’avrei più rivista. La rividi, invece, e fu durante una visita ad un museo organizzata dalla mia scuola insieme con altre in occasione di un evento particolare, una commemorazione o qualcosa giù di lì.
Lei non mi vide, anche perché io feci di tutto per rendermi invisibile ai suoi occhi, Annina era raggiante e parlava di continuo in mezzo ad un nugolo di ragazzini che le stavano appiccicati attorno. Non riconoscevo più la dolce e malinconica amica in quella esuberante e chiassosa bambina, che non perdeva occasione per lanciare acuti gridolini e chiassose risate ad ogni battuta stupida o complimento melenso provenienti da quel branco di ragazzini rapiti dalla affascinante biondina.
Rimasi male, ci pensai per un po’, poi:la scuola, i giochi e gli amici riempirono di nuovo la mia esistenza.
Di Annina mi resta il ricordo del suo profumo di buono che, di tanto in tanto, all’improvviso riaffacciarsi di frammenti di ricordi, si ricompone nelle mie narici, lasciandomi, per pochi istanti, tanto meravigliato quanto estasiato.