25 dicembre 2008

Ma quali inverni?


Il mondo cambia e tutti ce ne accorgiamo, anno dopo anno, con l’alternarsi delle stagioni e non abbiamo il bisogno delle statistiche e delle informazioni (sempre sensazionali) che ci propinano i mezzi di comunicazione. Attraverso la televisione o la radio o leggendo i giornali veniamo sommersi da miriadi di notizie,sempre più strane ed estreme, sulle previsioni e situazioni del meteo ad ogni latitudine. Prendiamo ad esempio l’arrivo dell’inverno , tutti gli anni ci ripetono che quello in corso è sempre il più freddo, il più strano o il più diverso, in meglio o in peggio a memoria d’uomo. Ho visto passare parecchi inverni,belli o brutti non so dire quali più di altri, ma quelli di cui meglio mi ricordo ,forse perché per ad ognuno che passava facevo nuove scoperte, sono stati quelli di quando ero bambino. L’inverno allora era molto freddo e sopra tutte le case del paese si vedevano salire le colonne di fumo che uscivano dai camini. Le case si riscaldavano bruciando legna nei camini, carbone nelle stufe, nafta e kerosene nelle caldaie e chissà cos’altro ancora, non si sentiva parlare di ecologia e dei problemi legati all’ambiente, non si pensava nemmeno alle modificazioni che il clima stava subendo. Non c’erano ancora né gli ecologisti arrabbiati, né gli scienziati catastrofici e le comunicazioni di massa erano ancora ad un livello accettabile non si era ancora arrivati al senzazionalismo e all’esasperazione delle notizie a tutti i costi. L’inverno, a quel tempo, portava di solito un sacco di neve, tanta che, mi ricordo, di molte occasioni in cui si è dovuto “fare la rotta” per uscire da casa ed arrivare alla strada. La “rotta” consisteva nell’aprire una strada scavando e rimuovendo l’alta coltre di neve ammonticchiandola ai lati man mano che si procedeva nel creare il corridoio che, partendo dalla porta di casa, arrivava alla strada. Alla pulizia delle strade provvedeva il Comune che reclutava uomini in paese per formare le squadre di spalatori che, con l’ausilio di poche macchine operatrici approntate e adattate per l’occorrenza, rimuovevano la neve per permettere il traffico ai veicoli. In quei freddi inverni noi bambini del paese, non avevamo le preoccupazioni degli adulti e, vuoi per l’incoscienza o per ingenuità o perché avevamo ancora dentro noi quello spirito libero e gioioso che ogni fanciullo possiede finché è tale, riuscivamo a trovare tutti i modi possibili per giocare e divertirci. Nei giorni in cui la neve ricopriva completamente e indistintamente tutto, andavamo all’emporio dalla signora Mafalda a comperare i trappolini per catturare i passeri e gli storni, e siccome lei, da brava negoziante, sapeva quando veniva il momento buono per ogni merce stagionale, da un giorno all’altro comparivano, in bella vista sul bancone del negozio i trappolini, subito dopo la prima nevicata della stagione.Il trappolino altro non era che la versione in miniatura, in filo di ferro armonico, delle trappole a tagliola usate nel passato dai cacciatori, e il fantomatico marchingegno che si componeva di due archetti contrapposti uniti da una robusta molla centrale, era caricato e appoggiato sulla superficie bianca. I due archetti aperti formavano un cerchio che era tenuto aperto dal meccanismo di scatto, pertanto era importante star ben attenti a non farlo scattare e, una volta caricato, il trappolino era appoggiato sulla superficie della neve e con una leggera pressione, fatto scendere fino a scomparire.Veniva cosparsa altra neve sopra in modo da nasconderlo completamente alla vista poi venivano deposte delle briciole di pane in corrispondenza del centro dove c’era il meccanismo di scatto. Con tutta quella neve che ricopriva tutto, agli uccellini non rimaneva niente per cibarsi, quindi erano costretti ad andare a beccare le briciole di pane messe ad arte e, quasi inevitabilmente, quando si appoggiavano sopra al meccanismo di scatto bastava la minima pressione per fare scattare la trappola che in un lampo si chiudeva catturando il volatile. Detta così sembra all’apparenza tutto molto facile, un gioco da ragazzi anzi, da bambini per l’appunto, ma dietro all’arte venatoria nell’uso del famigerato Trappolino c’erano: tempo, passione, audacia, dolore e sudore che non sempre, specie se non miscelati nella giusta misura, facevano del monello neofita un esperto bracconiere. L’inequivocabile segno di riconoscimento del giovane bracconiere alle prime armi erano i segni neri sulle unghie e lividi sulle dita, colpite dall’improvvisa chiusura dell’archetto del trappolino che, maneggiato senza la necessaria perizia, scattava durante il posizionamento imprigionando le dita dell’inesperto trappolinista. Quei segni neri e i lividi la dicevano lunga sul dolore che poteva generare l’archetto di acciaio armonico che, spinto da una molla caricatissima, scattando incontrollato si abbatteva sulle mani già doloranti per il freddo patito nell’armeggiare tra la neve. La piccola trappola una volta carica aveva la forza per catturare, ferendo o uccidendo, dai passeri agli strorni, fino anche ai merli, e il meccanismo di scatto doveva essere sistemato in modo da poter scattare alla più piccola pressione, pertanto la parte più delicata nell’approntare il trappolino, era la carica e posizionamento, che andava fatta con calma, freddezza e precisione cercando di rendere la trappola invisibile e infallibile. Trovato il posto valutato opportuno e proficuo all’attività venatoria si cercava di calpestare il minimo possibile la bianca superficie uniforme, si posizionava il trappolino e si legava la cordina che aveva fissata ad un’estremità, ad un vicino punto fisso e inamovibile. La corda serviva ad evitare che, in caso di una preda di grossa taglia, non potesse scappare anche se prigioniera dell’archetto, poi finita l’operazione si ripartiva per posizionarne altri lungo un percorso che era valutato ogni volta in base all’integrità della superficie ed alla presenza di volatili nei paraggi, alla fine si sarebbe fatto il percorso a ritroso per verificare eventuali catture. Alla fine le catture effettivamente non mancavano ma, vuoi perché alla lunga l’istinto di conservazione teneva passeri e storni alla larga dai trappolini, vuoi perché il freddo e le botte sulle dita assottigliavano le file dei giovani bracconieri, la caccia finiva molto prima delle nevicate. Gli unici a trarne vantaggio erano i pennuti che, essendo animali ma non stupidi, capivano che potevano posarsi ovunque alla ricerca di cibo per il cessato pericolo e la signora Mafalda che, anche per quell’anno, aveva venduto un discreto numero di trappolini. Passate le nevicate le temperature si abbassavano e tutto gelava, ogni superficie si ricopriva di ghiaccio rendendo ogni attività delle persone più difficile e ogni spostamento più pericoloso, le strade venivano cosparse di sale e nelle case si aumentava il riscaldamento . Noi bambini per andare a percorrevamo una stradella in terra battuta, che si snodava tra i prati che stavano in una striscia di terreno tra la strada nazionale e la campagna coltivata, la via più corta e sicura per arrivare. Alla fine del percorso, in prossimità della scuola si risaliva sulla strada nazionale arrampicandosi per la scarpata stradale che era alta sui prati tra due e tre metri a seconda del punto di salita che continuava con paio di sentieri ancor più stretti ma uno più ripido dell’altro. Le gelate notturne avevano formato lastroni di ghiaccio lungo tutto il percorso della stradella ed in particolare sui due sentieri che risalivano per la scarpata stradale dove, noi ragazzini, avevamo trovato il modo di giocare. Nei sentieri si susseguivano sfide continue di slittino nei momenti liberi da impegni scolastici ,ci ritrovavamo sulle piste gelate dove ci si lanciava in ardite e a volte pericolose discese, infatti, non mancava, quasi giornalmente, la razione pro capite di lividi, distorsioni e contusioni varie, fino ad arrivare a qualche ferita lacero-contusa e prima della fine delle gelate ci furono anche un paio di ingessature per fratture. Inutile parlare d’indumenti vari strappati al punto da renderli inutilizzabili, di quelli si era perso il conto. Eravamo talmente presi dallo scivolamento su quei sentieri ghiacciati, da inventarci qualsiasi modo e ricorrendo ad ogni mezzo che potesse servire per rendere ancor più emozionante le gare. Ovviamente nessuno disponeva di uno slittino adeguato perciò si provava con tutto ciò che si reputava idoneo allo scopo, perciò assi di lagno, casse per la frutta, lamiere, pneumatici d’auto e tant’altro ancora fu recuperato e usato, tanto nell’estate successiva sul prato si potevano rivedere tutte quelle cose a mucchi tanto da farlo assomigliare più ad una discarica.Cominciammo a fare qualche gara di discesa anche prima dell’entrata a scuola, scoprendo che le cartelle scolastiche, allora di buon cuoio, bene si adattavano al ruolo di slittini, e così un po’ un giorno, prima di entrare, un po’ un altro, anche all’uscita si arrivò ad aumentare i tempi di presenza in pista a scapito di quelli a scuola o a casa, dopo le lezioni.Si andò avanti così fin quasi a marzo fintanto, cioè, che rimase il ghiaccio sui sentieri, poi cominciò il disgelo e le pozzanghere conseguenti che decisero la fine delle nostre settimane bianche.

23 dicembre 2008

Lettera aperta a Babbo Natale


Caro Babbo Natale, ti scrivo per la prima volta, e sento il bisogno di farlo, non per chiederti di ricordarti di me per Natale, ma per scusarmi di non averlo mai fatto prima. Io, per l’età che ho, e di conseguenza per il tipo di educazione ricevuta, e le consuetudini che ancora resistono dai tempi dell’infanzia, non ho avuto il tempo necessario ed il modo giusto per stimarti quanto meriti. Dalle mie parti, in fondo alla pianura, i bambini sono stati abituati ad aspettare con trepidazione l'arrivo della vecchia, in altre parole quello che per molti è solamente il giorno che chiude le festività tra la fine di ogni anno e l’inizio di quello nuovo, quello che per dirla con il proverbio “se le porta tutte via”: l’Epifania. Sebbene cominciasse ad affermarsi già da allora la schiera dei “Natalisti”, in pratica di coloro che facevano trovare, ai loro piccoli i doni e giochi nella Notte Santa, io ero cresciuto in una famiglia che ancora svezzava e cresceva i bambini a pappe e befana. Andava ancora forte la radicata tradizione dei regali portati dalla Befana e noi bambini di quei tempi, con tutto il rispetto per il Bambinello che portava l’amore nel mondo, tendevamo a prediligere la Befana che portava giochi e dolciumi nelle nostre case.

"La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte..." Cominciava così la vecchia filastrocca dedicata alla Befana, e lei era, da sempre, presente nell’immaginazione di noi bambini con l’aspetto di una vecchietta curva e mal in arnese, ma ancora autoritaria e con un caratteraccio da mettere in soggezione anche i più discoli. Nelle nostre fantasie di bambini vedevamo la Befana come nelle immagini dei libri di favole o dai racconti degli adulti che descrivevano la vecchietta coperta di vecchi e logori abiti, mentre tirava un carretto colmo di pacchi, o cavalcando una scopa volante e con un gran sacco sulle spalle. Un anziana signora che nonostante gli acciacchi e anche se già vicina al pensionamento, non si arrendeva, continuava il suo compito con il piglio di sempre e non concedeva sconti, né cedeva a scuse o giustificazioni; Così tutti gli anni ,anno dopo anno arrivava tra il cinque ed il sei gennaio, nel bel mezzo della notte, quando ogni bambino dormiva nel sonno più profondo. Un’altra certezza era quella che non esistevano condizioni climatiche o di traffico tanto difficili da poter a fermare l’anziana nottambula, lei arrivava nelle case sempre e comunque, si faceva aprire con autorità poi, prese le dovute informazioni sul fanciullo ivi domiciliato, procedeva alla verifica. Dalle storie che si tramandavano e continuavano a circolare tra i pargoli, si raccontava che, arrivata nella casa di ogni bambino , cominciasse a sfogliare un enorme librone che si portava appresso, sul quale era annotato com’era stato il comportamento dell’infante durante l’anno appena trascorso: non si poteva sfuggire al giudizio della Befana, quella sapeva tutto e, secondo il suo insindacabile giudizio, avrebbe lasciato giochi e dolci, oppure carbone e castagne secche. Così i bambini la sera del cinque gennaio d’ogni anno, al contrario di tutte le altre, andavano a letto senza fare storie dopo avere esposto in cucina, in bella vista, le loro calze che, come tradizione voleva, sarebbero servite alla Befana come punto di riferimento per le consegne. In pratica e meno poeticamente di quanto raccontato, quella notte, verificato che i figli dormissero, entravano in azione i genitori che tiravano fuori i regali, ben nascosti fino a quel momento, e li deponevano vicino alle calzette.

Il mio ricordo indelebile è fissato nel momento dell'improvviso risveglio, provocato dal trambusto proveniente dalla cucina, che mi faceva scendere di scatto dal letto per correre verso ciò che immaginavo già. Tra il sonno, l'emozione e il timore di trovare chi sa cosa e chi sa chi, mi affacciavo in cucina e c'erano ad accogliermi il babbo e la mamma, mi raccontavano che la Befana era arrivata e aveva chiesto di entrare poi, evase le pratiche burocratiche, aveva consegnato loro quei pacchi che facevano bella mostra tra le calze appese (tra i quali non mancavano mai alcuni simbolici e ammonitori pezzetti di carbone). Infine, prima di ripartire per il suo giro di consegne, aveva preteso un caffè, del quale ancora vi era traccia nella tazzina sul tavolo, poi se n’era andata facendo un gran baccano. Anche se, crescendo, avevo capito che era quel romantico di mio padre ad organizzare quella farsa, mi è sempre piaciuto continuare a credere all'arrivo della vecchietta scorbutica e poco rispettosa del mio riposo, era la fiaba che ogni anno entrava nella realtà, un sogno che si ripeteva dolcissimo. Caro Babbo Natale come vedi ho alle spalle delle esperienze e delle ragioni che spero possano giustificare questa mia minor affezione per te, rispetto a quella per la Signora Epifania e ti chiedo scusa se non sono tantissimi anni che ho cominciato a rivalutare la tua imponente ma importante figura. Ti posso assicurare che nel tempo, il succedersi dei Natali nella mia vita prima da figlio prima, poi da genitore, mi ha insegnato a voler bene alla tua rassicurante e bonaria presenza, a conoscerti meglio e stimarti di più, e poi sai com’è, tra uomini ci si capisce. Spero tanto che tu non me ne voglia se continuo a riservare le mie attenzioni, prima, alla cara vecchietta e poi a te, ma credo che, oltre ad essere un grande vecchio, tu sia un gran Signore, che può capire e condividere con me un po’ di galanteria verso una simpatica matura signora. Con grande affetto ti saluto ricordandoti, come faccio sempre con la dolce cara Befana, di prestare attenzione nel tuo viaggio notturno della notte di Natale. Questo nostro mondo, man mano che passano gli anni, diventa sempre più confuso e pericoloso e non vorrei che ti succedesse qualche cosa che possa, anche solo minimamente, intaccare la sicurezza dei bambini sulla tua costante presenza nelle loro notti di Natale.

15 dicembre 2008

Al Trivio, Rovereto


Il locale è di quelli che vanno tanto da un po di tempo in quà, stà in un posto strategico del centro storico, in un angolo di una piazzetta, nascosto in grande evidenza.
Però la piazzetta è tra le più conosciute, carica di storia per il paese, un angolo di ritrovo per i giovani in evidenza e i meno giovani evidenti.
C'è anche tanto di monumento: un bel proietto da 380mm italiano della prima guerra mondiale e sotto la lapide che riporta il numero delle case distrutte durante quegli anni.
Non grande all'interno anche se su più piani, arredo moderno, piccolo banco bar con esposizione di liquori da capogiro per la ricercatezza, tavolo a parte con i vini aperti perché si può ordinare anche al bicchiere ,vini di nome: più o meno gli stessi che fanno bella mostra in tutti i locali come questo.
La cameriera che accoglie e spoglia dopo aver verificato dalla dirigente o proprietaria :comunque caposala: pochi attimi di dubbio poi la conferma che potevamo accomodarci in uno dei quattro tavoli liberi sugli otto presenti a quel piano.
La caposala porta i (grandi) menù ,piatti unici,piatti assaggio e lista specialità; ci attira il risotto al radicchio e formaggio che si fa solo per due ,(bene; siamo in due) e che ordiniamo quando torna ma :
Scusate se non vi ho detto prima che il risotto non è possibile farlo perchè abbiamo una comitiva di 24 persone e poi la cucina sta per chiudere (alle 13 e 30?) .
allora un opterei per......non mi lascia finire la frase.
Non voglio sembrare invadente (ha no!) ma vi consiglio il piatto unico con un primo e un secondo insieme .
sguardo tra il perplesso e il sorpreso :noi; sicuro il suo, sottolineato da oscillazione del capo in segno di : o così o non sò! Vada per il piatto unico.
Acqua e vino ,anche al bicchiere.
Acqua minerale frizzante e un bicchiere di marzemino.
Arriva la cameriera con l'acqua già aperta che, con velocità incredibile, ha già versato nei bicchieri.
Ci guardiamo .. . già aperta , ma neanche a Nairobi!
Arriva la Major con il vino, mostra la bottiglia , non conosco il produttore ma l'assagerò. Se ne va.
Torna con il bicchiere di vino già fatto lo appoggia al tavolo e se ne và.
Ma dai! neanche al dopolavoro ferroviario.
Ed eccolo lì! solito vino barricato che, a parte la forte impronta disegatura di faggio cotta, permette di riconoscere pochi altri gusti, non che non mi piace ma anche qui la moda.
La moda è la masterizzazione dell'enogastronomia d'assalto :tutti sulle barricate!
Il piatto unico arriva in tempo record e non fa mistero del suo viaggio dal frigorifero al tavolo passando per il microonde (porcellana gelata ai bordi ,pietanza da altoforno) non permette che di apprezzarne che la composizione.
Non ci addentriamo nella scelta dei dolci dopo la vista della crema di gelato e spezie del tavolo vicino che dimostra la sua provenienza da freezeer al momento di essere tagliata.
Andiamo direttamente al caffè ben servito con alcuni biscottini, ma in linea con chi lo ha preceduto: bollente, lungo, aroma bruciato .
Vorremmo prenderci il tempo per parlare del nostro e del posto ma e un continuo roteare della cameriera e dell'altra a chiedere se vogliamo altro e se andava tutto bene e se gradiamo non si sà chè, e che cosa e ancora.
Infine sono passate alle vie di fatto, sprarecchiando un pezzo alla volta ,tanto che l'abbiamo preso per un invito a liberare il campo.
Entrata ore 13 e 30 due piatti unici con porzione di tagliata ai ferri ripassata al microonde con giro d'olio ed erbe, 75cc di acqua minerale frizzante, un bicchiere di vino marzemino del trentino ,due caffè accompagnati da alcune scheggie di biscotto , pane e coperto, uscita 14 e 15 , spesa quarantotto euro .
Prendono carte di credito ma perdono clienti :due sicuramente.

12 dicembre 2008

Perchè l'ho cancellato dal mio navigatore


Trento 07-12-2008

Uno dopo l'altro li ho visti tutti nudi e reali: gli alberghi, gli impianti di risalita,i parcheggi,l'ospedale,i servizi pubblici ;anno dopo anno fatti di delusioni che si sommano e infine anche i locali tipici.
Infine anche il mio posto, già, perché dopo aver eletto da anni questo locale come il mio "posto fisso" ogni volta che sono in questa città per lavoro o vacanza (la primavera per il sole,l'estate per il fresco,l'autunno per i funghi,l'inverno per sciare e per le fiere, le sagre, i mercati) ho sbattuto la faccia su un aspetto che non avevo mai conosciuto nè previsto di trovare qui.
Tutte le volte che vengo nel "mio posto fisso",mangio,bevo e ricarico di birra tre bottiglioni tipici del locale con il suo logo e acquistati qui.
Domenica nell'aprire uno dei bottiglioni il tappo si è rotto,un tappo di plastica bianco da pochi centesimi;bè poco male mi dico e dico a chi stava al banco .
-Scusa puoi darmi un'altro tappo?
-noi non abbiamo i tappi-
-Allora(rido) vuoi farmi comperare un'altro bottiglione solo per un tappo o mi fai andare via con il bottiglione aperto?
-noi non diamo solo tappi e riempiamo i bottiglioni che si chiudono-
-Scusa (non rido) perdi la vendita e forse anche il cliente per il valore di un tappo di plastica?
-nessuna risposta ......braccia allargate.
Resto allibito . . .ho capito bene? e sì ho capito bene!
Non abbiamo mangiato, non abbiamo bevuto non abbiamo ricaricato i bottiglioni e credo che, forse ,non avrò più il mio posto fisso in questa città

Sintesi: Tipicità locali? campagna di accoglienza turistica?espressione di un territorio e dei suoi abitanti?
Ma allora non è vero che c'è crisi e dobbiamo essere più disponibili e adattarci alle condizioni di un mercato più difficile ,selettivo che sta perdendo consumatori,e che pertanto di tutto deve essere fatto per tenersi stretti i clienti ,coloro che permettono agli esercizi di sopravvivere.
C'è chi lo ha capito e chi no. Peccato.

01 dicembre 2008

Ode a "la Salamina"












Prima ad védrat int al piat,

o bèla salamina,

at sént int l’aria!...

L’è al tò profùm che, a curóna,

al t’zzircónda come ’na regìna.

Regìna di salàm ti t’jé!...

Délizzia rara,

vant e argój

dla nostra Frara.

Adéss t’jé lì ch’at fum

davanti a mi,

rutundéta e grasstìna,

ligàda strich da tuti i vèrss;

da sóta ad sóra

e anch par travèrss.

T’jé lì ch’at difendi ancóra

cal tesór ch’at gh’a déntar:

al balsam dal tò corp

che, come ’na sgnóra,

t’al fa desideràr…

A n’in póss più!...

At vój magnàr!...

At cucc un puchìn

par guardàrat bén bén;

e pò, pian pianìn,

a t’infilzz còl curtèll

a at vérz a mità:

j òcc i’m ssa slàrga, am tìra al pinguèl, am sùda al palà…

Al sugh tò lusént,

ch’al ’t cóla pr’i fianch,

jè làgarm d’amór

verssàdi par mi.

At ringràzzi, salàma!...

At ringràzzi, col cuór:

al tò sacrifìzzi

t’l’à fat con unór!.

29 novembre 2008

Gran dottori


Curar la salute degli altri con tutto se stesso,

un tempo era nobil missione, adesso è bottega.

Ippocrate sviene guardando chi gli giura adesso,

dottori per soldi,e chi soffre? M’importa na’ sega!


Sicuri, azzimati, si senton profeti a gran parolone,

a chi nelle diagnosi crede, già levano ogni speranza.

Saranno dolori e paure, che niente era l’inquisizione

Profeti dell’esperimento, conducon la macabra danza

.

La scienza, con malati ottusi, si scontra sovente,

se a cura perfetta, paziente non presta attenzione

si aggrava sol per un dispetto e non merita niente.

Gli venga taciuta la fine, parlandogli di guarigione.

22 novembre 2008

Abbinare necesse! 4


E' ovvio che come siamo capaci di esaminare il vino allo stesso modo dobbiamo esaminare il cibo.Si tratta sempre di un'analisi organolettica, cioè i nostri sensi che agiscono essendo messi in rapporto allo stimolo che esercita su di essi una certa quantità di sostanza. Quali sono gli elementi da valutare per il cibo?
Nell' analisi visiva sono due, praticamente riguardano l'aspetto estetico del piatto cioé i suoi colori ma anche la disposizione . Il detto che l'occhio vuole la sua parte vale ancora di più per il cibo che per il vino. Una cosa è se vi servono delle fette di prosciutto arricciate, con una fogliolina profumata accanto su un piatto di portata elegante, un'altra è se lo stesso prosciutto vi viene servito nella stessa carta in cui è avvolto. Quindi l'aspetto del cibo è fondamentale, ci invita a mangiare, ci dà il benvenuto informandoci che il cuoco ci sa fare, oppure ci può respingere. Nell' analisi olfattiva abbiamo i profumi di cottura che sono variegati, particolari, ci possono essere sensazioni di qualunque tipo, e poi c'è l' aromaticità naturale perché tutti gli alimenti hanno un proprio profumo. Quindi non solo esistono i profumi di cottura che la fiamma del fuoco, il vapore, la brace attirano sul cibo ma soprattutto quella che è l'aromaticità naturale del cibo a crudo. Altra cosa importante da valutare nei profumi è la temperatura: per il vino la temperatura di degustazione va da un minimo di 6°C fino a 18°C, ma il cibo possiamo mangiarlo dagli 0°C (es: gelati) fino ad arrivare ai 40°C (es: brodo). La temperatura più alta o più bassa influisce come sappiamo sulla percezione delle sensazioni, sulla volatilità dei profumi, sull'intensità e sulla persistenza degli aromi ed in particolare bisogna tener presente che le temperature molto basse o molto alte di un cibo non sono abbinabili al vino perché entrambe portano all'atrofia parziale e temporanea delle papille gustative e tattili dell'apparato boccale. E' molto meglio l'acqua che riporta ad una normale temperatura la nostra lingua per far scorrere nuovamente il vino. L'aspetto visivo insieme all'olfatto nel cibo influiscono in un modo incredibile sulle nostre sensazioni gusto-olfattive. Tutti sanno cos'è l' acquolina in bocca , quella sorta di secrezione ghiandolare che si forma in bocca quando noi sentiamo l'odore del pane appena sfornato, o di una frittura, o di un arrosto speziato, e sentiamo sensazioni di appetito anche se abbiamo già mangiato. E' una reazione puramente nervosa ma naturale. Questa acquolina è parte integrante della succulenza stessa del cibo. L'esame visivo e quello olfattivo restano certamente validi nella scelta di un vino, ma per l'abbinamento con un cibo ci serve soprattutto l' esame gustativo . Come per il vino anche per il cibo abbiamo i quattro sapori fondamentali che sono il dolce sulla punta della lingua, l' acido ed il salato sui lati, e l' amaro sul fondo, con in più le sensazioni di grasso e untuoso , due sensazioni tattili di natura diversa: entrambe vanno ad impastare la lingua, coprono e inibiscono le nostre capacità sensoriali nell'ambito della bocca (nel caso dell'untuosità quasi totalmente, per la grassezza solo parzialmente). C'è poi l' aromaticità naturale del cibo che si può aumentare a crudo oppure a cotto con le erbe aromatiche, le spezie e le droghe, che hanno sempre funzioni di copertura dei sapori, o arricchimento, o protezione igienica perché distruggono la flora batterica che può danneggiare l'alimento. Infine abbiamo la persistenza gusto-olfattiva , cioè quanto a lungo dopo la masticazione e la deglutizione il sapore del cibo si mantiene all'interno della bocca. Anche qui ci sono dei cibi che restano talmente a lungo che ci obbligano a ripulire la bocca per passare ad altre preparazioni, altri invece che scompaiono quasi immediatamente. L'elemento della persistenza del vino e quello del cibo è uno degli elementi di analogia , cioè se il vino ha una lunga persistenza deve essere abbinato ad un cibo cha ha la stessa identica persistenza. Al contrario una persistenza poco percettibile come quella di una bistecca non si deve accompagnare ad un Brunello che è troppo persistente, si deve andare invece su un Chianti leggero ad esempio dei Colli Senesi che è morbido, meno strutturato e soprattutto meno persistente. Le componenti gustative che ci interessano di più nel vino sono queste:
ACIDITA’, SAPIDITA’: Queste percezioni danno in bocca soprattutto sensazioni di freschezza e pulizia.
EFFERVESCENZA: è un carattere rafforzativo dell’acidità.
ALCOL, TANNINO: Hanno funzioni diverse, oltre a conferire una buona struttura al vino danno alla bocca note disidratanti e creano astringenza.
MORBIDEZZA, PROFUMI, AROMI: Danno insieme la piacevolezza del vino.

20 novembre 2008

Abbinare necesse! 3


Il vino si abbina al cibo per meglio qualificarlo, per farlo apprezzare ed esercitare sul cibo una funzione di supporto liquido e riuscire a bilanciare certe sensazioni estreme che il cibo può avere. In un perfetto abbinamento il cibo ed il vino debbono essere l'uno al servizio dell'altro senza sovrastarsi. Altra regola fissa è che è molto più semplice abbinare un cibo squilibrato piuttosto che un cibo senza eccessi. Nella tradizione della gastronomia si cerca si limitare tali eccessi mediante il sistema dei contorni, cioè affiancando al cibo base qualcosa che ne moderi certe sensazioni. Più un cibo è perfettamente equilibrato più avremo difficoltà ad abbinarlo, perché è come se inserissimo in un certo senso in un cerchio perfetto qualcosa che non trova spazio. L'abbinamento più facile si ha con vini abbastanza equilibrati, vini cioè che hanno sbilanciamento tra durezza e morbidezza, con cibi che hanno questi sbilanciamenti in senso opposto. Quando parliamo di abbinamento tradizionale oppure psicologico oppure a tema parliamo di quelli che sono gli abbinamenti standard. E' scontato un piatto tradizionale abbinato ad un vino locale ma oggi sono i più difficili perché i vini non sono più quelli di una volta.Anche un abbinamento riuscito con una tavolata di clienti potrebbe non essere ugualmente vincente se offerto ad altri. E' il caso in cui subentra il fattore psicologico. L'abbinamento a tema è quello più semplice ma è anche il meno usato dal sommelier, perché si tratta del caso in cui il cliente ordina in anticipo il vino e su quel vino si costruisce il cibo. "In un corretto abbinamento il vino dovrà armonizzarsi con il cibo contrastandone le sensazioni". Tutte queste sensazioni sono riferite ad un singolo alimento oppure alla preparazione di un piatto.Il metodo di abbinamento comunemente riconosciuto si basa su due criteri specifici: “il contrasto e l’analogia”

Contrasto perché alcune sensazioni del vino e del cibo bilanciano gli squilibri dell'altro, analogia perché in alcuni casi le sensazioni mantengono lo stesso rapporto, la stessa tipicità. Mettere in contrasto cibo e vino significa sostanzialmente cercare un equilibrio proprio dal punto di vista fisico, della struttura.Se un vino è troppo ampio intenso e persistente e abbiamo un cibo povero di sensazioni il vino lo sovrasterà completamente.Tutti i vini possono trovare un abbinamento anche se presi da soli non sono di spessore, e soprattutto in ambito locale vedono la migliore collocazione. Quando si parla di analogia è perché non tutto deve contrastare, in quanto se mettiamo in contrapposizione oltre alla fisicità anche gli aromi ed i sapori allora non va più bene. Dobbiamo cercare invece le affinità utili per costruire l'armonia gusto-olfattiva. Ad esempio il tartufo bianco di Alba non ha una grande struttura ma ha un intenso corredo aromatico, se lo mettiamo sulle uova che sono l'abbinamento principe non abbiamo bisogno di un vino potente bensì delicato e fortemente aromatico. Se al contrario quel tartufo lo mettiamo su un piatto di fettuccine all'uovo allora cercheremo nel vino anche la struttura.

19 novembre 2008

Abbinare necesse! 2


L'arte dell'abbinamento vino cibo è stata affrontata in maniera differente dalle varie scuole europee e in maniera molto più approfondita e completa in Italia.
La Scuola Inglese : Sostiene l'assoluta indipendenza da ogni scelta.”Ciascuno di noi deve lasciarsi guidare dal proprio gusto e dalle proprie preferenze, senza seguire regole prestabilite... solo il nostro gusto ci dice come assaporare e gustare ogni cibo, ogni vino".Concettualmente giusto ma... vedete voi un abbinamento un passito di Pantelleria con della carne alla brace ?
La scuola Francese : Basandosi sempre sul gusto personale ha elaborato delle regole che rappresentano una guida che non permette di compiere degli errori grossolani.
La scuola Italiana : Ha approfondito il tema dell'abbinamento cibo vino considerando tutte le caratteristiche olfattive e gustative sia del cibo che del vino.
Regola 1- Nessun grande vino liquoroso bianco va servito con carni rosse e selvaggina
Regola 2- Un grande vino rosso non deve essere servito con pesci crostacei o molluschi.
Regola 3 -I vini bianchi vanno serviti prima dei rossi (qui abbiamo molte eccezioni come un un vino passito con un dessert, un moscato d'Asti con il panettone ecc.)
Regola 4 -I vini leggeri vanno serviti prima di quelli robusti.
Regola 5- Vanno serviti prima i vini che necessitano di una bassa temperatura di servizio (spumante prima, rossi quasi a temperatura ambiente dopo)
Regola 6- I vini vanno serviti secondo una crescente gradazione alcolica
Regola 7- Abbinare ad ogni piatto il proprio vino, se si hanno pochi vini servire pochi piatti.
Regola 8- Servire i vini nella loro migliore stagione (novelli a fine anno, rossi in inverno bianchi in estate)
Regola 9- Separare ogni vino bevendo un sorso d'acqua.
Regola 10- Non servire un solo grande vino in un pasto, nè la bottiglia nè l'uomo devono essere da soli a tavola

18 novembre 2008

Abbinare necesse!


Riuscire ad abbinare sapientemente 'cibo' e 'vino' significa creare un'armonia di profumi e gusti, il modo migliore per poter esaltare le caratteristiche di entrambi.

Non dico di stabilire precise regole di abbinamento, ma esprimere o dare delle indicazioni è molto difficile in quanto sia il cibo che il vino sono sostanze complesse che possono dare sensazioni gustative ed olfattive molto diversificate.

Da un lato abbiamo le infinite possibilità fornite dal sapore dei cibi che dipende, sia dagli ingredienti usati, che dalle modalità di preparazione della pietanza (una maggiore cottura conferisce un sapore più amaro, l'utilizzo di spezie conferisce sensazioni aromatiche, ecc.).

Dall’altro lato siamo storditi dalle molteplici sfaccettature che possiamo cogliere dalle caratteristiche organolettiche di un vino.

Queste,a loro volta, dipendono dal vitigno utilizzato, dai diversi tipi di terreni e condizioni climatiche, oltre che dai diversi stili di produzione (per esempio l'invecchiamento in botti di legno rende un vino più corposo e morbido).

Questo ricco scenario comporta, da una parte, l'esigenza di ricorrere ad esperti, dall'altra, l'opportunità di indicare solo generalmente la tipologia di vino da utilizzare.

Ad ogni buon conto è universalmente condivisa,come regola generale, che in un buon abbinamento, il vino non deve predominare sul piatto e viceversa: il corpo del vino deve essere adeguato alla struttura della pietanza.

Semplicemente vale la formula che un piatto dal sapore delicato richiede un vino "leggero", mentre un piatto ricco richiede un vino ben strutturato.

13 novembre 2008

Certe notti


La mia compagna di vita a volte mi dice di sentirsi (a volte!?) come una vittima della repressione in Urss.
Certe sere, quando viene a letto, dopo un po’ scende e va a stazionare davanti al frigorifero.
Almeno a lei è stata concessa la facoltà di scegliersi il gulag siberiano .

09 novembre 2008

Luna di primavera da "Opus Incertum"




















Luna di primavera ,delicata, scopre
col suo chiarore ,quasi spiando,
la pelle tua che sfugge, come lepre,
al cacciatore che la sta aspettando.


Scivola il velo e la sua trama riga
un moto, appena, di imbarazzato riso,
che subito si smorza e che m’intriga
forzandoti lento, paziente ma deciso.

In quell’istante cadono i misteri
e ansante ti riveli, nell’affanno,
loquace dall’immobile che eri;
bugie sincere per la notte vanno.

07 novembre 2008

Una fabbrica di speranza

L'Associazione Trapiantati di Cuore S. Orsola-Malpighi di Bologna, è una organizzazione laica, apartitica, che non ammette discriminazioni di sesso, razza, nazionalità, religione, le sue attività si basano sui principi costituzionali della democrazia e della partecipazione sociale. Attualmente conta circa 400 associati e, tramite i volontari, si impegna su diversi fronti verso le esigenze sociali e sanitarie più sentite sul territorio e per fornire aiuti concreti a chi ne ha bisogno. L’Associazione è retta da uno Statuto ed opera attraverso un Consiglio Direttivo che viene eletto dall’Assemblea dei Soci nella convocazione annuale in concomitanza della “festa del cuore”, appuntamento annuale che è occasione di incontro e socializzazione. Questa Associazione di Volontariato è presente sul territorio dal febbraio 2003 ed è nata grazie all’iniziativa di persone trapiantate nel centro trapianti di cuore di Bologna; da allora ha operato, senza fini di lucro, nel settore dell'assistenza sociale e socio-sanitaria con azione diretta, personale e gratuita dei Volontari. ATCOM è aperta a chiunque, trapiantato e non, sia interessato e disponibile ad impegnarsi nelle attività statutarie perseguendone le finalità istituzionali, con spirito associativo e di aggregazione territoriale verso la donazione d’organi e i trapianti; per diventare socio è sufficiente sottoscrivere la richiesta di adesione che è libera e gratuita. L’Associazione garantisce il trattamento dei dati sensibili in osservanza della normativa vigente e con le stesse modalità e procedure delle Aziende Sanitarie Regionali. Gli obiettivi primari dell’Associazione sono ben definiti e fortemente perseguiti, ed hanno come base comune il fornire sostegno ai pazienti dalla fase dello screening per il trapianto, al periodo di attesa, fino al momento del trapianto stesso e anche dopo, sostenendo materialmente e psicologicamente i pazienti e collaborando con i familiari a risolvere in modo pratico tutti i problemi che si presentano. A più ampio respiro, si impegna nella progettazione e realizzazione, in collaborazione con le Istituzioni, le altre Associazioni e l’Azienda Universitaria Ospedaliera, di iniziative di sensibilizzazione, informazione e aggregazione sul territorio. L’operato dell’ATCOM, nello svolgimento delle sue attività, ha sempre avuto riscontri positivi, sia da parte dei pazienti che dalle strutture Sanitarie, perché portate avanti dai membri dell’Associazione che, in quanto trapiantati, hanno cognizione di causa per esperienza diretta. I volontari dedicano ai pazienti il loro tempo, non fanno gli infermieri e tanto meno i medici, ma sono i parenti di chi non ha parenti e si pongono accanto alla persona in stato di necessità, con discrezione ben sapendo quando e come offrire il loro aiuto . Questi operatori sono presenti nella sede operativa dell’Associazione presso il padiglione 14 attigua al Day Hospital di Cardiologia, per incontrare ed informare chiunque ne abbia necessità, per accogliere ed aiutare i pazienti soli e sostenere i famigliari angosciati, per chiarire i dubbi e le perplessità sul trapianto e sul successivo reinserimento nella normalità della vita sociale. L’Associazione è inserita nel programma trapianto cuore-polmone del Policlinico S.Orsola–Malpigli: un sistema a rete basato sulla piena integrazione operativa delle Strutture, dei Professionisti e delle Associazioni tra le quali ATCOM è l’unica ad interfacciarsi con la Struttura Sanitaria, condividendo lo stesso programma di Certificazione della Qualità. Ai soci effettivi, perché trapiantati o sostenitori per motivazione, tutti comunque tesserati, viene fornita una vasta gamma di servizi che l’Associazione tende ad ampliare continuamente, ricercando e stipulando convenzioni con strutture di ricezione e alberghiere, per fornire assistenza al pernottamento dei pazienti e familiari che ne hanno necessità. L’assistenza alla logistica per l’arrivo, la sosta e gli spostamenti all’interno della città e del Policlinico, ha reso necessario sensibilizzare e perfezionare un coordinamento con i parcheggi nelle adiacenze, per garantire la disponibilità di posti auto a tariffe agevolate. Si è provveduto, inoltre, a predisporre un veicolo navetta, attrezzato anche per il trasporto di disabili, che svolge giornalmente senza interruzione il servizio di collegamento tra i parcheggi esterni convenzionati e i vari reparti ed ambulatori all’interno dell’Ospedale. Infine, ma non meno importante, collabora con le strutture Sanitarie Specialistiche, di ricerca e farmaceutiche, per promuovere e contribuire all’attività di studio, formazione e ricerca nell’ambito dei trapianti d’organi in generale e di quelli di cuore/polmone in particolare. Chiunque, sia esso socio effettivo o sostenitore o simpatizzante, può aiutare questa Associazione e il contributo può essere sia operativo: collaborando allo sviluppo dei progetti e alla realizzazione delle diverse attività; che economico: con erogazioni liberali detraibili a norma di legge (c/c n. 65200271 c/o Banco Posta; IBAN: IT65D0760102400000065200271) e anche destinando il cinque per mille all’ATCOM indicandone il Codice Fiscale (91230770371) nella dichiarazione dei redditi. l’Associazione Trapiantati di Cuore è iscritta, dal 2006, al registro Regionale delle ONLUS (Associazioni non lucrative di utilità sociale).al n. 82143, in conformità alla legge n.460 del 4/12/1997 art 10, comma 8. La sede legale dell’ATCOM è situata in via Emilia Ponente n.56, presso la sede Comunale di Bologna dell’ AVIS. La sede operativa è presso il Day Hospital Trapianti presso il padiglione n°14 di cardiologia all’interno dell’Ospedale S. Orsola ;I recapiti dell’Associazione sono: telefono/telefax n.051 6363432 ; cellulare:333 4723916 ; indirizzo di posta elettronica ( E mail ) : atcuore@yahoo.it.
Tutte le notizie, gli aggiornamenti e informazioni più dettagliate sono a disposizione di chiunque visiti il sito internet: www.atcomonline.it.

02 novembre 2008

Fagoto de piton


Par oto che magna
On peto de piton de 2 chili, intiero
2 fete de sopressa co l'ajo, grosse 1/2 zm.
2 fete de speck grosse 1/2 zm.
2,5 eti de ricota
5 fete de panzeta
1 zeola
1 carota
1 sculiero de erbete miste secà (osmarin, salvia, timo,ec.)
sale
3 sculieri de ojo stravergine de oliva
1 goto de vin bianco seco
spago da cusina


Se fa cussì:
1. Tajare el peto de piton in modo da fare na specie de bisteca unica;
2. Masenare tuto insieme la sopressa, el speck e na feta de panzeta: fare on paston de sta roba smissiando ben co la ricota;
3. Destirare la bistecona de piton, salarla e spolvararla co na parte dele erbete;
4. Metarghe dessora el paston, assando tuto torno on paro de zm. de bordo;
5. Inpiegare a metà la feta e cusirla tuto torno col spago da cusina (inzegneve par l'ago, ma i ghe ne vende de fati aposta...);
6. Fissare do fete de panzeta par parte, jutandove co d'i stecadenti;
7. Spolvarare ben de sale e col resto dele erbete da tute do le parte el fagoto;
8. Tajare a tochi grossolani la zeola e la carota e metarle so na tecia da forno co l'ojo;
9. Fare rosolare a fogo vivo da tute do le parte el fagoto;
10. Metare in forno a 180° e cusinare ben, dopo verghe butà so la tecia el vin bianco. Ricordeve de girare ogni tanto el fagoto parché el ciapa colore da tute do le parte;
11. 2 ore e meza dovaria bastare, ma regoleve dal colore e ste 'tenti che no se brusa la panzeta (bagnare col pocio);
12. A cotura finia, cavàre dal forno e assare rafredare on poco e tajare fete de 1 zm. de spessore;
13. Intanto zontarghe on goto de brodo de dado al fondo de cotura e darghe on bojo zontandoghe 2 sculiarini de farina: basta du minuti;
14. Frulare tuto el pocio, che'l servirà par butarlo caldo de bojo so le fete del fagoto servie sol piato;
15. Sa ghi par le man del bon vin Raboso, la festa xe fata.

27 ottobre 2008

Cappuccet Red & the lup


One mattin Cappuccet Red's mamma dissed: "Dear Cappuccett, take this cest tothe nonn, but attention to the lup that is very ma very kattiv! And torn prest! Good luck! And in bocc at the lup!".

Cappuccett didn't cap very well this ultim thing but went away, da sol, with the cest.

Cammining cammining, in the cuor of the forest, at acert punt she incontered the lup, who dissed:"Hi! Piccula piezz'egirl! 'Ndove do you go?".

"To the nonn with this little cest, which is little but it is full of a sacc of chocolate and biscots and panettons and more and mirtills", she dissed.

"Ah, mannagg 'a Maruschella (maybe an expression com: what a cul that had) dissed the lup, with a fium of saliv out of the bocc.

And so the lup dissed:"Beh, now I dev andar because the telephonin is squilling, sorry."And the lup went away, but not very away, but to the nonn 's House.Cappuccett Red, who was very ma very lent, lent un casin, continued for her sentier in the forest.

The lup arrived at the house, suoned the campanel, entered, and aftersaluting the nonn, magned her in a boccon.

Then, after sputing the dentier, he indossed the ridicol night beret and fikked himself in the let.When Cappuccett Red came to the fint nonn's house, suoned and entered.

But when the little and stupid girl saw the nonn (non was the nonn, but the lup, ricord?) dissed:"But nonn, why do you stay in let?".

And the nonn-lup:"Oh, I've stort my cavigl doing aerobics!"."Oh, poor nonn!", said Cappuccett (she was more than stupid, I think, wasn't she?).

Then she dissed:"But...what big okks you have! Do you bisogn some collir?"."Oh, no! It's for see you better, my dear (stupid) little girl",dissed the nonn-lup.

Then cappuccett, who was more dur than a block of marm:"But what big oreks you have! Do you have the Orekkions?"

And the nonn- lup:"Oh, no! It is to ascolt you better".And Cappuccett (that I think was now really rincoglionited) said:"But what big dents youhave!".

And the lup, at this point dissed:"It is to magn you better!".And magned really tutt quant the poor little girl.

But (ta dah!) out of the house a simpatic, curious and innocent cacciator of frodsented all and dissed:"Accident! A lup! Its pellicc vals a sac of solds".

And so, spinted only for the compassion for the little girl, butted a terr many kils of volps, fringuells and conigls that he had ammazzed till thatmoment, imbracced the fucil, entered in the stanz and killed the lup.

Then squarced his panz (being attent not to rovin the pellicc) and tired fora the nonn (still viv) and Cappuccett (still rincoglionited).

And so, at the end, the cacciator of frod vended the pellicc and guadagned honestly a sacc of solds.

The nonn magned tutt the leccornies that were in the cest.

And so, everybody lived felix and content (maybe not the lup!)

22 ottobre 2008

Caccia grossa


Si Aggirava allora per il paese, una banda di ragazzini terribili, che era vista come la tempesta per i frutteti, e andava famosa per il fatto che non si cimentava più di tanto sui soliti giochi che facevano tutti gli altri bambini, ma per inventarsi e trovare sempre modi nuovi per divertirsi uscendo molto spesso dai confini del normale. Proprio in quel periodo avevano scoperto un nuovo modo per riempire le giornate, una nuova e interessante attività nella quale stavano impegnando tutto il loro tempo libero dalla scuola, dando il massimo di se stessi: il tiro con la cerbottana. Grazie ad un programma di documentari visti in televisione, sugli usi e costumi di certe popolazioni indigene delle foreste tropicali, avevano potuto scoprire l'uso che quelle facevano della cerbottana per cacciare, e la cosa aveva creato in loro non poco interesse. Trovate delle canne di plastica che si adattavano bene allo scopo, di quelle che già allora usavano gli elettricisti per infilarci i cavi degli impianti elettrici delle case, le tagliarono della lunghezza più appropriata dopo vari studi e non pochi tentativi, in modo da poter ottenere allo stesso tempo potenza e precisione sia nei tiri corti quanto in quelli lunghi. I proiettili, da fare partire soffiando in modo appropriato da un’estremità della canna, erano confezionati arrotolando su se stesse, delle strisce di carta ritagliate dai giornali, avevano talmente affinato le varie tecniche per la pratica dell'uso del tiro con cerbottana, da essere considerati veri esperti. I giovinastri, quando erano liberi dagli impegni scolastici andavano in giro con le loro armi, primitive si! ma che avevano elaborato e modernizzato in varie forme, ad esempio a canne multiple fissate attorno ad un corto pezzo di legno sagomato per tiri a ripetizione in rapida sequenza, oppure un'unica canna lunga fissata su di un'assicella con tanto di mirino regolabile per tiri precisi a lunghissima gittata I proiettili furono oggetto di studi ancor più approfonditi, si arrivò a confezionarli con materiali di diverso spessore e consistenza a secondo dell'uso specifico nonché per la stabilità della traiettoria o la consistenza del bersaglio; si andava dalla di carta di quaderno o giornale o rivista patinata fino alla carta oleata (quella usata dai bottegai per intenderci) o la stagnola. Alla fine quella masnada di piccoli lanzichenecchi avevano raggiunto un livello nell'uso della cerbottana decisamente alto e invidiabile, ed erano diventati talmente bravi e precisi tanto da sfidarsi continuamente cercando bersagli sempre più difficili. Si sa, per chi si considera un buon tiratore il bersaglio più ambito è quello in movimento, per questo quelli erano continuamente in perlustrazione alla ricerca d’uccellini sui rami o ranocchi e rospi negli stagni, oppure lucertole e ramarri tra i solchi dei campi, ed erano continue sfide durante le quali si sentivano protagonisti di battute di caccia. Fu in un giorno di autunno, forse ottobre o novembre, tant'è che già cominciavano a calare le prime nebbie, quando durante una delle tante battute arrivarono nei paraggi del podere della signora Elide e camminando arma al fianco sempre pronta, rasentando la recinzione la loro attenzione fu attirata da ciò che ci stava dentro. Appena fuori dell'abitato e a poche decine di metri dalle ultime case c'era ciò che rimaneva di un gran podere, ma che negli anni del dopoguerra a poco a poco si era ridotto solo alla grande casa con aia, e ad un po’ di terreno attorno. La ricostruzione del paese prima, e la nascita di fabbriche ed industrie poi avevano fatto sì che nel paese ci fosse sempre più bisogno di case e d’alloggi, così una fetta oggi, una fetta domani i proprietari del podere avevano tagliato e venduto gran parte dei terreni a chi voleva costruire edifici. Dei proprietari alla fine erano rimaste solo due donne, madre vedova e figlia da sposare ed erano anche le ultime persone rimaste ad abitare quella gran casa, dove un tempo vivevano abitavano e lavoravano parecchie famiglie di contadini. Oggi dove allora si ottenevano grandi raccolti dai seminativi e dai frutteti, restavano pochi ritagli di terra coltivati direttamente dalle due donne che ne ricavavano verdure e ortaggi vari, queste erano La signora Elide e la figlia Bianca che vendevano i loro prodotti per poter provvedere alle necessità quotidiane, inoltre, come in tutte le case di campagna che si rispettino, c'era attorno anche a quella un numero imprecisato fra galline ed altri volatili da cortile che scorrazzavano liberi e ben nutriti perché anch'essi allevati per essere poi venduti. Non c'è niente da dire, erano proprio delle belle galline quelle della signora Elide, le tirava su a granoturco ed erano molto ricercate dalle massaie, mettere in tavola un pollo di quelli era una garanzia di successo. Le galline vagavano libere dovunque, tanto la proprietà era recintata da un’alta rete metallica, però il pollame prediligeva stazionare nei freschi prati ombreggiati sotto agli alti salici dietro la casa, e fu in quel punto che li videro in quel pomeriggio, e per tutti loro fu un unico pensiero, come un lampo: non vedevano le galline della Signora Elide, ma le ambite prede di una battuta di caccia grossa. Viste da quella distanza con la luce di un pallido sole autunnale velato da una foschia polverosa che pareva di vedere tutte le cose dietro una lente, quelle galline sembravano grandi fiere degne della savana africana, e loro lì immobili a guardarle ammirati stringendo tra le mani le cerbottane, ed estasiati, con lo stesso sguardo che sicuramente ebbe Heminghwai la prima volta che guardò un branco di elefanti dietro il mirino della sua carabina, durante un safari nelle sue "verdi colline d'africa". Capirono allora che era arrivato il momento in cui fare il salto di qualità, se volevano essere indiscutibilmente i migliori, dovevano essere in grado di affrontare le prove più Con gran competenza strategica, si divisero in due gruppi e, con lenti e silenziosi ma calcolati movimenti, raggiunsero quelle che avevano individuato come le due posizioni chiave per raggiungere il massimo del risultato. Quando furono appostati caricarono le canne con i proiettili da caccia grossa e cioè quelli fatti con la carta oleata da pizzaiolo (di grande stabilità balistica e forza d'urto) e quelli con la carta stagnola (micidiali e devastanti nei tiri tesi), consapevoli del fatto che per scagliarli con la potenza necessaria alla distanza che li divideva dai bersagli, dovevano prodursi in un grande sforzo: sì ! li aspettava una dura prova, ma loro erano decisi e determinati a superarla. Il branco intanto, ignaro di ciò cui stava andando incontro, procedeva verso la porzione di prato in cui la delimitazione della rete formava un angolo retto, ancora poco e le belve da cortile si sarebbero trovate al centro dei tiri incrociati dei due gruppetti appostati e immobili. Uno sguardo, un gesto e in un istante si scatenò un inferno, simultaneamente otto bocche soffiarono tutto il fiato che avevano nelle cerbottane, facendo partire i micidiali proiettili che raggiunsero, cogliendole di sorpresa, le malcapitate galline. I cacciatori continuavano con movimenti febbrili a ricaricare e soffiare nelle cerbottane, mentre il branco polli riavutosi dalla sorpresa cominciò a correre ad ali spiegate cercando di portarsi lontano dal pericolo sbandandosi in varie direzioni, alcuni di loro visibilmente in difficoltà nei movimenti perché colpiti, altri stramazzavano inesorabilmente al suolo freddati dai proiettili. A quel punto il gruppo degli assalitori, sia perché stavano esaurendo le munizioni, che per non farsi trovare in flagrante dall'Elide che sicuramente sarebbe arrivata attirata dal gran baccano fatto galline, si ritirò com’era stato previsto dal piano, prendendo per i campi che già erano avvolti dalla nebbia e scomparirono definitivamente. L'Elide effettivamente sorpresa dallo schiamazzare dei polli e vedendoli correre si preoccupò e girò dietro casa per andare a vedere cosa fosse successo, e quando nella nebbia cominciò a distinguere le galline immobili a terra o che si muovevano a fatica, capì che quella era opera un cane randagio e affamato che, trovato il modo di superare la recinzione, aveva fatto quel disastro e se n’era scappato al suo arrivo. Nei giorni successivi giravano per il paese voci e chiacchiere relative all'accaduto, note di cronaca degne di non grande interesse, una: era la storia che la signora Elide andava raccontando a tutti della sortita di un cane randagio nel suo pollaio, e del fatto che non si spiegava però, come mai i polli, morti o feriti, non avevano addosso i segni lasciati dai denti dell’animale, ma da coni di carta stagnola più o meno lunghi. L'altra era che quella banda di scavezzacolli non gironzolava più attorno al paese con quelle canne in mano, anzi quelle pesti apparivano stranamente calmi e avevano tutta l’aria tranquilla e soddisfatta di chi sta gustando il riposo dopo aver raggiunto, da vincitore, il traguardo.

20 ottobre 2008

Etta


In un rifugio di montagna, viveva un tempo una giovane di nome Hildeghardekinderschwarzenpirlenscheider Gazzaniga ma conosciuta dai valligiani come Etta diminutivo di schiavetta per via delle preferenze enologiche del padre che tramandò alla figlia in forma anche più ampia. Un giorno mentre era nel bosco a raccogliere le pernici che aveva tirato giù a schioppettate, incontrò un vecchietto dai capelli bianchi che le disse:" Perché sospiri così Etta? Hai il fiatone per l’età o c’è qualcosa che ti tormenta?"

"La mia infelicità,come il mio fiatone, é così grande che non puoi nemmeno immaginare. Se almeno potessi avere una vigna,la mia vita sarebbe più bella; potrei accudirla e crescerla , così avrei uva da mangiare e mosto da cuocere e vino da bere... sarei proprio felice." Il buon vecchio scosse il capo e le disse:" Voglio aiutarti,torna a casa e vedrai." Etta se ne tornò,con la doppietta in spalla e le pernici alla cintura e,giunta davanti a casa sua non credette ai suoi occhi: nell’appezzamento dietro casa proprio lungo il fianco della collina c’erano lunghi filari di vite che si alternavano a olmi e ciliegi che sorreggevano il groviglio di foglie e pampini. Qualche giorno dopo,Etta tornò nel bosco a togliere scoiattoli e marmotte dalle sue trappole e all'improvviso il vecchio dai capelli bianchi le si presentò dinnanzi. "E allora Etta sei felice?" le chiese dolcemente. "Sì" rispose lei "sono felice disse strascicando un po’ le parole per via dell’effetto del vino, ma..." "Che vuol dire ma?" chiese il vecchio. "O sei felice o non lo sei, cosa ti manca?" "La cantina é mezza diroccata, vi piove dentro e d’estate fa troppo caldo mentre l’inverno è fredda. Se avessi una bella cantina,allora sì che sarei felice!" Il buon vecchio sorrise e disse:" Torna a casa ed avrai una sorpresa." Etta finito di accoppare due scoiattoli presi nelle trappole tornò verso casa e vi trovò una moderna cantina solida,impermeabilizzata e climatizzata piena di tini di botti e bottiglie con tanto di bancone per l’assaggio e la mescita. Etta si mise, per la gioia, a tracannare vino fino a svenire. Qualche giorno dopo, Etta ritornò nel bosco, camminando malferma per l’effetto dei continui corsi di specializzazione sul vino sospirando tristemente. All'improvviso il vecchio apparve e, fissandola le chiese:" Allora Etta sei felice finalmente?" "Sì" rispose la giovane."Come potrei non esserlo,ma..." "Ancora un ma?" disse con stupore il vecchio. Etta cominciò a piagnucolare: " Tutte gli altri osti e cantinieri hanno belle divise e belle posate e bicchieri da sogno. Non posso avere buoni clienti se non ho il look giusto ed il locale trendy."

"Non é niente" fece il vecchio. "Tornatene alla cantina, hai già ciò che desideri."Etta riuscì a trascinarsi fino a casa; aprì la porta della cantina e per la sorpresa rimase inchiodata sulla soglia. Sopra al tavolo, c'erano preziosi calici e pregiate caraffe e levatappi d’osso sacro di bue muschiato e posate d’oro tavoli apparecchiati con pietanze meravigliose. Sul bancone una bella divisa da chef, mentre un altra da maggiordomo era posato su una panca ed una terza da feldmaresciallo di sala era alla carta dei vini. Etta urlò dalla gioia e si affrettò a provarli e mise subito alla prova il tutto stappando e bevendo bottiglie di vino a più non posso. Trascorse qualche giorno ed Etta tornò nel tornò nel bosco; decisamente ubriaca vagava col capo chino e, quasi si scontrò col vecchio. "E allora Etta sei felice adesso?" esclamò. "Certo che lo sono"rispose la giovane. "Sono felice,ma..." "Che cosa ti manca ancora?" "Ho una azienda vitivinicola di pregio, un locale di tendenza, e clientela raffinata. Ma a che serve tutto ciò se sono sempre sola? Tutte hanno un fidanzato e si maritano, mentre io resto sempre sola!" "E sia!" acconsentì il vecchio dalla testa bianca. Etta non senza fatica riuscì a tornare a casa e davanti alla sua porta c'era un bel giovanotto. Era quello anche un famoso somellier che si contendevano i locali più esclusivi e le donne più affascinanti entrambi per via del tutt’uno tra la sua abilità professionale,predisposizione fisica e cognome: Grantirebuchon. Appena vide Etta egli le andò incontro e dichiarò: "E' ancora disponibile quel posto da assaggiatore ?”

Si! rispose Etta ,anzi vieni ben qui che ti faccio l’esamino: orale e pratica!

Etta si chiuse con il giovane nella cantina e ne uscì solo dopo un mese e il bel giovane, che chiaramente era riuscito a superare l’esame per il posto da assaggiatore, le aveva anche chiesto di sposarlo. Il giovane sommellier era anche il rampollo di una facoltosa famiglia di banchieri proprietaria di tutte quelle valli e paesi. Poco tempo dopo venne celebrato il matrimonio e, tutto il villaggio ballò e si ubriacò fino all'alba. Passò qualche giorno ed Etta tornò nel bosco. Il vecchio dai capelli bianchi le si fece nuovamente incontro e rivolgendole un sorriso le chiese: " Allora Etta sei felice finalmente?"

Etta gli lanciò uno sguardo corrucciato e gli rispose con tono altezzoso:" Come ti permetti screanzato vecchiaccio? Sappi che d'ora in poi io per te sono la signora Hildeghardekinderschwarzenpirlenscheider Gazzaniga in Grantirebuchon; moglie del padrone di queste valli e signora di tutti gli esseri che le abitano, te compreso!

17 ottobre 2008

pluviam

MISSALE ROMANUM
ORATIONES DIVERSÆ

_______________________

16. AD PETENDAM PLUVIAM

Oratio


DEus, in quo vívimus, movémur et sumus: plúviam nobis tríbue congruéntem; ut, præséntibus subsídiis sufficiénter adiúti, sempitérna fiduciálius appetámus. Per Dóminum.

Secreta

OBlátis, quǽsumus, Dómine, placáre munéribus: et opportúnum nobis tríbue plúviæ suffíciéntis auxílium. Per Dóminum.

Postcommunio

DA nobis, quǽsumus, Dómine, plúviam salutárem: et áridam terræ fáciem fluéntis cæléstibus dignánter infúnde. Per Dóminum.