30 aprile 2008

Risoto co i scrizioi (o co i bruscandoli)



Par quatro che magna

4 eti de risi (vialon nano)

2 bei maziti de scrizioi o bruscandoli

2 spighi de ajo

1/2 zeola

oio stravergine de oliva

4 sculiarà de grana gratà

pévaro e sale, quelo che serve

Se fa cussì:

1.I scrizioi in talian i se ciama "stridoli" e in dialeto anca carleti. La xe na "pianta erbacea spontanea" che la cresse drio ai rivali; se usa i buti (germogli) e la se cata da aprile a majo.
I bruscandoli i xe i buti del "luppolo selvatico", on "rampicante" salvadego che cresse drio i fossi assà incolti; i se cata anca drio la ferovia. Stessa stajon d'i scrizioi.

2.Chi che ga la fortuna de catare ste erbete tacà a casa soa, ben, senò i le vende.

3.Fare on desfrito co la zeola e l'ajo (che dopo el se cava);

4.Butarghe drento le erbete zicolà par ben e assare scotare par du-tri minuti;

5.Butarghe drento i risi e menarli torno a seco par on par de minuti, po' cusinare come tutti i risoti co del brodeto vegetale liziero;

6.Ala fine stuare el fogo e butarghe drento in pignata el grana, menando in pressa par on minuto par maltecare; justare de sale e pévaro;

7.Metare sol piato, infromajare par ben e magnare (col grana dela fromajera...);

8.A sento el profumo anca solo a scrivare...


24 aprile 2008

Anche gli sportelli sono patrimonio dell'umanità ?


Bionde e becere, dietro al vetro si tendenavo l’una verso l’altra senza mai interrompere quello scoppiettante chiacchiericcio, un fitto pigolare modulato tra bassi sospiri e acute risatine.
Tra un avventore e l’altro o tra una stampa e l’altra, anche solo tra un timbro e l’altro, ma pure tra una digitata e l’altra e tra una sigla e l’altra o tra una videata e l’altra,riuscivano a mantenere quel loro contatto preferenziale senza soluzione di continuità.
Quasi conferenziando in seduta plenaria sostenavano e alimentavano argomentazioni di alto interesse pubblico (visto il posto) e senza mai abbassare la soglia di attenzione verso le stesse.
Ma bastava cogliere e un raro momento di silenzio per riappropriarsi della calma necessaria (impresa ardua visto l’ambiente) per concentrarsi nell’ascolto di loro due soltanto e cogliere il senso di quell’affannosa intercomunicazione.Giudiziavano! giudiziavano e giustiziavano chiunque passava dentro alle loro menti o davanti ai loro occhi, con equità, senza deroghe e riservando a tutti lo stesso trattamento.Una, la più bionda e bruttina, con voce bassa e sempre meravigliata, proponeva con regolare cadenza nomi o riferimenti precisi a persone e accompagnava ognuno di questi, nel pronunciarli, con un’espressione dedicata, quasi sempre una sorta di smorfia che però variava quasi impercettibilmente di caso in caso e ciò anticipava la critica che si sarebbe imbastita di seguito.L’altra, tendente al rossiccio e anonima, agitava le due braccine, dai gomiti alle mani, le cui dita sembravano antennine disarticolate, e roteava a tempo con gli arti il mento, che sembrava quasi indipendente dalla testa e disegnava ellissi nell’aria.Le labbra semichiuse nel tentativo di non mostrare il parlottare continuo, lasciavano uscire striduli versetti incomprensibili che, a giudicare dalle espressioni disarmoniche del volto, anche l’altra sembrava faticare a comprendere.Si capivano, tra le tante emissioni sonore, parole irripetibili cose da fare arrossire uno scaricatore di porto, con tutto il rispetto e senza offesa per la categoria tanto utile, termini che non ci si aspetta certamente di sentire dalla gentile bocca di una esponente del gentil sesso.A corollario delle argomentazioni non mancavano raffiche di insulti vari ben scanditi e sottolineati, con modulazioni vocali e mimiche facciali appropriate, che andavano tra lo schifato ed il rabbioso; ma ciò che più meravigliava era il fatto che abbinata a tanta animosità si conclamasse sempre più il fenomeno strano della fissità degli occhi.Le pupille erano fisse ferme inermi, sembravano finte, delle protesi inerti; quegli occhi parevano capitati li per caso, piantati in quei visi accidentalmente, privi di luce e di anima.Strana condizione per un essere vivente, che fa pensare a chi l’osserva se sia di origine genetica o evolutiva o solo i sintomi di una patologia rara, magari indotta dalla situazione in cui si trovavano; o si trovavano in quella situazione proprio perché dotate di tale caratteristica.Misteri privati in posti pubblici, che sono universi a loro stanti e con loro leggi, che si contrappongono a quelle della fisica e della natura in generale; paradisi per antropologi eccentrici e inferni per avventori accodati.

18 aprile 2008

Chi si contenta, gode?




Un giorno un grosso e lussuoso motoscafo attracca in un porticciolo di un piccolo paesino sulla costa del meridione. Scende un turista, industriale del nord-est che vuole acquistare del pesce da un pescatore lì presente, gli fa i complimenti sulla qualità del pesce, poi gli chiede quanto tempo ha impiegato per pescarlo.
"Poco tempo" risponde il pescatore del sud.
"Ma allora, perché non sei rimasto un altro po' per pescare di più?" chiede il turista.
Il pescatore gli spiega che quanto pescato è sufficiente a soddisfare i propri bisogni e quelli della sua famiglia.
Il turista gli chiede "ma cosa fai con il resto del tuo tempo?"
"Dormo fino a tardi, pesco un po', gioco con i miei bambini, e faccio la pennichella con mia moglie. La sera poi esco e vado ad incontrarmi con gli amici nel paese, bevo qualcosa con loro, e suoniamo e cantiamo insieme... insomma ho una vita intensa."
Il facoltoso turista del nord lo interrompe "Io ho conseguito un dottorato, alla Bocconi , e io ti posso aiutare!
“Io non ho studiato e le sarei molto grato” risponde l’umile pescatore del sud.Dovresti iniziare a pescare un po' più a lungo ogni giorno.
Cosi potrai vendere il pesce in più che hai pescato. Con il guadagno potrai comprarti una barca più grande.
La barca più grande porterà più soldi e potrai acquistare una seconda barca e poi una terza finche non avrai una flotta di pescherecci.
Invece di vendere i tuoi pesci alle persone, potresti contattare direttamente l'industria alimentare per vendere loro i pesci e forse un domani aprire un tuo impianto alimentare.
Potrai lasciare questo piccolo villaggio e trasferirti a Roma, a Milano o anche a New York.
Da li dirigere la tua grande industria."
"E quanto tempo ci vuole per arrivare a tutto questo?" chiede il semplice pescatore del sud.
"Venti, forse venticinque anni" rispose il turista intellettual-industriale del nord-est.
"E dopo?"
"E dopo? E qui che la cosa si fa interessante!" risponde il turista ridendo.
"Quando il tuo volume d'affari crescerà, potrai iniziare a vendere azioni ed a guadagnare milioni!"
"Milioni? Veramente? E dopo che avrò accumulato tutta questa ricchezza cosa farò?"

"Dopo potrai andare in pensione, ritirarti a goderti la vita, andare a vivere in un piccolo paese sulla costa, dormire fino a tardi, giocare con i nipoti, pescare un paio di pesci, fare la pennichella, e passare le tue serate a bere e a divertirti con gli amici!!!!".

17 aprile 2008

Lavorare meglio, lavorare tutti ! ?


Tutti i giorni, molto presto, arrivava in ufficio la Formica produttiva e felice.
Là trascorreva i suoi giorni, lavorando e canticchiando una vecchia canzone d'amore.
Era produttiva e felice ma, ahimè, non era supervisionata.
Il Calabrone, gestore generale, considerò la cosa impossibile e creò il posto di supervisore, per il quale assunsero uno Scarafaggio con molta esperienza.
La prima preoccupazione dello Scarafaggio fu standardizzare l'ora di entrata e di uscita e preparò pure dei bellissimi report.
Ben presto fu necessaria una segretaria per aiutare a preparare i report, e quindi assunsero una Ragnetta, che organizzò gli archivi e si occupò del telefono.
E intanto la formica produttiva e felice lavorava e lavorava.
Il Calabrone, gestore generale, era incantato dai report dello Scarafaggio supervisore, e così finì col chiedere anche quadri comparativi e grafici, indicatori di gestione ed analisi delle tendenze.
Fu quindi necessario assumere una Mosca aiutante del supervisore e fu necessario un nuovo computer con stampante a colori.
Ben presto la Formica produttiva e felice smise di canticchiare le sue melodie e cominciò a lamentarsi di tutto il movimento di carte che c'era da fare.
Il Calabrone, gestore generale, pertanto, concluse che era il momento di adottare delle misure: crearono la posizione di gestore dell'area dove lavorava la Formica produttiva e felice.
L'incarico fu dato ad una Cicala, che mise la moquette nel suo ufficio e fece comprare una poltrona speciale. Il nuovo gestore di area ebbe bisogno di un nuovo computer e quando si ha più di un computer è necessaria una Intranet.
Il nuovo gestore ben presto ebbe bisogno di un assistente (Cimice, già suo aiutante nell'impresa dove stava prima), che l'aiutasse a preparare il piano strategico e il budget per l'area dove lavorava la Formica produttiva e felice.
La Formica non canticchiava più ed ogni giorno si faceva più irascibile. "Dovremo commissionare uno studio sull'ambiente lavorativo, un giorno di questi", disse la Cicala.
Ma un giorno il gestore generale, al rivedere le cifre, si rese conto che l'unità, nella quale lavorava la Formica produttiva e felice, non rendeva più tanto.
E così contattò il Lombrico, prestigioso consulente, perché facesse una diagnosi della situazione.
Il Lombrico rimase tre mesi negli uffici ed emise un cervellotico report di vari volumi (e una parcella di vari milioni) che concludeva: "C'è troppa gente in questo ufficio." E così il gestore generale seguì il consiglio del consulente e licenziò la Formica incazzata, che prima era produttiva e felice.

MORALE:
Non ti venga mai in mente di essere una Formica produttiva e felice. E' preferibile essere inutile e incompetente. Gli incompetenti non hanno bisogno di supervisori, tutti lo sanno.
Se, nonostante tutto, sei produttivo, non dimostrare mai che sei felice. Non te lo perdoneranno.
Inventati ogni tanto qualche disgrazia, cosa che genera compassione.
Pero', se nonostante tutto, ti impegni ad essere una Formica produttiva e felice, mettiti in proprio, almeno non vivranno sulle tue spalle calabroni, scarafaggi, ragnetti, mosche, cicale, cimici e lombrichi.

13 aprile 2008

"Seppi di te", tratta dalla raccolta "Opus incertum"


Seppi che t’eri data come una foglia al vento,

dopo te n’eri andata per aspettare un treno.

Seppi che i tuoi pensieri non eran le mie gioie,

e anche la miglior vita riserva gravi sorprese.

Seppi delle tue lacrime cercando in altri sguardi,

è forse vero amore, se può evitare pianti.

Seppi che non volevi il figlio che ti ho chiesto,

se vita dai e ricevi, non bestemmiare invano.

Seppi che anche tua madre mi giudicava solo,

la voglia di dividere la vita, non separa.

Seppi di donne fatue e d’uomini improbabili,

cadendo sulla terra t’infanghi solo il viso.

Seppi ch’era una favola riletta ad alta voce,

il tuo istinto a vivere, quasi come una scusa.

Seppi del giorno dopo passato ad aspettare,

come lanciare sassi dentro una porta aperta.

Seppi che in ogni angolo rimase un poco di te

ma, ignoravo il sintomo e non curavo il male.

Seppi mostrarmi indegno imponendo il rispetto,

solo un pensiero languido istiga dubbi odiosi.

Seppi alla fine amarti soltanto perché non c’eri:

l’attimo sciocco e rapido per spegnere la luce.

11 aprile 2008

"Ricordo, Giulia d'Irlanda" tratta dalla raccolta "Opus Incertum"

"Is cuimhin liom an, lá Aoibhneas a bhí".

(Ricordo quel giorno, c'era la felicità)




C’era in Irlanda, quella delle vacanze,


c’è nel ricordo di quello sguardo pensante.


Rivedo nel sorriso poche volte usato,


l’anima nuova e nuda come la verità: indifesa.


Ancora come allora, di colpo, riconosco il viso:


senza tempo e, in piena luce, osservo


quel gesto di soave turbamento.


Ripetersi è diventato ansia e piacere,


e in ogni volta ritrovo quel senso

Quando ti volti e, molle o contratto,
il viso tuo mi porge altra occasione.




06 aprile 2008

Di vino, nemmeno lo spirito


Tutti, o quasi, sappiamo cosa è un microscopio: una specie di cannocchiale che rende tutto innumerevoli volte più grande di quello che è in realtà! Se lo si prende e gli si mette davanti una goccia di liquido, allora si vedono le centinaia di minuscoli organismi che lo compongono che si agitano come animaletti.Sembra quasi di guardare uno stadio di domenica, durante una partita di calcio e si vedono gruppi di organismi che , come le persone, saltano uno sull'altro e sono così feroci che si strappano a vicenda le bandiere e i cappellini e parti di striscioni, e ciò nonostante sono contenti e divertiti, anche se a modo loro. C'era in una moderna azienda un infallibile giovane tecnico enologo che svolgeva il suo delicato lavoro avvalendosi delle procedimenti tecnologicamente ed economicamente più moderni e dei ritrovati biologicamente più all’avanguardia che tutti conoscevano come Gustavo Bevendo, anche perché questo era il suo nome. Il giovane Gustavo Bevendo voleva sempre ottenere il meglio per la propria azienda e per se stesso e, quando incontrava particolari difficoltà o proprio non era possibile avere il massimo del risultato, non disdegnava di dover ricorrere a pratiche non troppo ortodosse. Un giorno stava guardando attraverso il suo microscopio una goccia di vino che aveva preso da una botte della cantina: che formicolio si vedeva! Migliaia di Tannini, Tartrati e Terpeni solo per dire i più, ma anche tanti altri che, come animaletti, saltavano si ricorrevano si picchiavano a volte si uccidevano divorandosi a vicenda.
«Ma questo è orrendo!» esclamò l’infallibile Gustavo Bevendo «non è possibile ottenere che vivano tranquillamente e in pace, in modo che ognuno si preoccupi degli affari propri?».
Meditò a lungo, ma non riuscì a trovare una soluzione, e allora ricorse ad uno dei suoi procedimenti non troppo corretti.
«Li trasformerò !» disse «così si potranno vedere diversi e forse si piaceranno e piaceranno a chi li berrà!» e versò nella goccia di vino un prodotto chimico di sintesi proveniente da laboratori industriali. Quella sostanza era qualcosa che stava tra gli idrocarburi e la diossina ma assumeva la naturalità delle deiezioni animali se opportunamente trattata con scorie radioattive, ma era versatile,molto efficace e poco costosa da sintetizzare: qualitativamente la "migliore". Nel giro di pochi istanti tutti quegli animaletti diventarono ancora più strani e mostruosi: i più esagitati andarono in depressione mentre quelli calmi diventarono rabbiosi, infine si colorarono di rosa, sembrava una città d’uomini selvaggi nudi.
«Che cos'hai lì?» gli chiese un altro vecchio enologo della cantina ormai dimenticato per la sua vecchiaia e la vecchiezza dei suoi metodi, che non aveva nessun nome, e proprio per questo era così distinto.
«Se indovini» rispose Gustavo Bevendo «te lo regalo, ma non è una cosa facile da indovinare, se non la si è già usata, e tu senz'altro non la conosci.»
L’enologo senza nome guardò attraverso la lente del microscopio, gli sembrava proprio di vedere un’intera città, in cui gli alcoli e gli antociani giravano nudi, e questo era ripugnante, ma era ancora più ripugnante vedere come si spingevano e si urtavano a vicenda come si pizzicavano, si mordevano e si facevano male. I tannini che stavano sotto di tutti dovevano arrivare sopra e i fenoli che stavano sopra dovevano passare sotto! “Guarda, guarda! Le gambe di quel flavonoide sono più lunghe delle mie! Paf! Via! C’é un enzima che ha un piccolo ammennicolo tra le gambe, ma non pare far piacere alle aldeidi che non ce l’anno e lo rincorrono arrabbiate!” e lo fecero a pezzi lo tirarono e lo divorarono a causa di quel piccolo ammennicolo. C'era un Acido malico fermo con un’aldeide, ed entrambi desideravano solo fermentare tranquillamente, ma l’aldeide fu trascinata via, polimerizzata e divorata dal famigerato metanolo e da tutti gli altri dannosi elementi di quella banda malefica.
«È proprio divertente!» esclamò l’enologo.
«Che cosa credi che sia?» gli chiese il giovane Gustavo Bevendo «riesci a scoprirlo?»
«Si vede bene» rispose l'altro «è senza dubbio una potente sostanza chimica per lo sterminio di massa di quelle messe al bando anche dall'ONU, si assomigliano tutte! È certo una terribile arma.»
«No, è il mosto delle due botti da cui si ricaveranno cinquanta milioni di bottiglie di grandi vini per l’esportazione nei nuovi mercati- disse orgoglioso il giovane e rampante moderno enologo.

02 aprile 2008

"Il Paese nuovo " tratto da: Un Paese di Pianura



Il sottopassaggio ferroviario era la porta della città, da lì si entrava e si usciva ed il viaggiatore che proveniva dal centro, attraversandolo, si trovava improvvisamente immerso nel verde di giardini e parchi che, proseguendo lungo la via, diventavano prati, campi e frutteti. Chiunque si trovasse a percorrere quell’ampia strada, in direzione del nord, foss’egli in bicicletta, motociclo, auto o qualsiasi altro mezzo di locomozione, nel procedere avvertiva la sensazione di stare quasi scivolando . La superficie liscia e perfetta dei lastroni di cemento armato di “Ventenniale” ricordo, formavano il manto stradale; erano larghi quanto la metà della strada che in centro era divisa da una cunetta continua. Il silenzioso incedere s’interrompeva solo quando si passava sopra ai giunti che dividevano i lastroni uno dall’altro alla distanza ci circa venti metri. Allora, in quel punto, si avvertiva un leggero sussulto del veicolo, accompagnato da un rumore che sembrava quello che fa il tappo di sughero, quando esce dalla bottiglia di vino vivace che si trovava nelle osterie di quelle parti. Ancora un cinque-seicento metri e i lastroni di cemento lasciavano spazio al manto nero di ruvido asfalto che, anche senza vederlo, si capiva d’esserci arrivati sopra per il rumore prodotto dai pneumatici, allorchè il sibilo strisciante si trasformava improvvisamente in un sordo e basso rotolante rullio. La segnaletica stradale,allora, non dava indicazioni chiare come quella odierna, per via dell’uso molto parco di cartelli stradali che facevano le amministrazioni competenti, ma, a chiedere del paese, chiunque rispondeva che bastava seguire i resti della vecchia ferrovia che correva parallela alla strada. Percorsi ancora tre chilometri dopo la curva, il paese ti veniva incontro, improvvisamente, alla fine di un lungo rettifilo e ti accompagnava fino al ponte che, attraversando il fiume ti faceva cambiare contemporaneamente Comune e Provincia ma anche regione e inflessione della lingua e dialetto, abitudini alimentari e non solo. Il paese era come tutti i paesi di quella pianura, abitato da qualche migliaio d’anime, fatto e compiuto con tutto quello che di solito ci sta nei paesi di pianura con qualche migliaio d’anime ma, ad essere precisi, con alcune caratteristiche abbastanza particolari e originali che si notavano subito. Una era senz’altro la modernità dell’urbanistica e l’attualità delle costruzioni, bella cosa per un certo verso, perché non si portava dietro correzioni o rifacimenti su errori e incongruenze del passato, meno bello il fatto di non avere un passato e, di conseguenza,di soffrire della mancanza d’identità storica. Un paese moderno perché solo in minima parte ricostruito nella zona storica;I bombardamenti della guerra l’avevano quasi completamente distrutto, e perciò la gente che aveva perso casa, averi e storia, aveva deciso, quasi a voler dimenticare quel recente e doloroso passato, di farne uno nuovo. Fu così deciso di spostare il nuovo centro del paese in una zona nuova poco distante dagli ultimi ruderi ed ecco che, in poco tempo, il paese nuovo aveva cominciato a prendere forma, seguendo idee nuove e più moderne a partire dal posto che era stato scelto dove non c’era niente, solo la campagna a perdita d’occhio come un mare, ad eccezione delle poche case di qualche podere isolato, niente che potesse condizionare quell’idea di nuovo. Bastarono poco tempo e tanta voglia di ricominciare per creare un reticolo di strade grandi e diritte, che s’intersecavano formando solo angoli retti e tra i quali trovava posto una gran piazza sulla quale si affacciava una altrettanto grande e moderna chiesa. La stazione ferroviaria anch’essa nuova che s’intravedeva in fondo ad un lungo viale alberato e poi il Municipio, le Poste, la caserma dei Carabinieri e ancora case, palazzi, vetrine e negozi che, posti in bell’ordine ai lati di strade perfette, si lasciavano ammirare da chi si trovava a passargli davanti. Tutto intorno, a perdita d'occhio, era un susseguirsi di campi coltivati, una distesa di campagna da fare perdere la bussola, i cui colori cambiavano al cambio delle stagioni, assumendo le tinte più vive e splendenti o quelle più tenui e cupe, passando per un’infinità di sfumature e tonalità. Si voleva un nuovo paese, tutti lo volevano fortemente e a forza di fatiche, sforzi e tanta caparbietà, il paese nuovo stava lì e continuava a crescere con caratteristiche proprie, talvolta anche uniche. Fu così che un po’ alla volta cominciò a notarsi quello che era il particolare più importante, l’altra caratteristica emergente e al tempo stesso forse la più evidente: gli abitanti, le persone, i cittadini, i paesani, uomini e donne, vecchi e bambini, gli esseri umani viventi, insomma la gente! Già, la gente! La gente, in quel caso, non era la solita gente, vale a dire quella che in genere stava in tutti i posti abitati, paesi o città che fossero, avevano un bel da dire quelli che sentenziavano “tutto il mondo è paese” un proverbio che s’infrangeva miseramente di fronte a “quella” gente.

Sembrava che il Divino Progettista, al momento di mettere mano al popolamento della zolla di terra compresa tra quelle coordinate geografiche, si fosse sbizzarrito in uno strano esperimento: volete un paese nuovo? Bene! Voi costruite le case nuove ed io le riempirò di anime nuove, e giù a lavorare al nuovo corso della storia. In quel periodo di forte ripresa economica si assisteva, un po’ dappertutto, anche ad una ripresa dell’incremento del genere umano ed il Creatore era chiamato ad un grande e faticoso impegno tant’è che, trovandosi in difficoltà a reperire risorse umane omogenee (non dimentichiamoci che si veniva da un lungo periodo di stenti, guerre e malattie) si trovò costretto, senza andare troppo per il sottile, a grattare il fondo del cassetto. Alla fine, seppur faticosamente, era riuscito a mettere insieme quanto bastava, anche se forse gli erano rimasti a disposizione i tipi più strani, più particolari e più distanti tra loro e tra tutti gli altri componenti il genere umano, ciononostante li aveva messi lì, a convivere e far vivere quel ritaglio di mondo. Parecchie persone (sia del paese sia di fuori) che nel corso della loro vita hanno avuto modo di viaggiare e conoscere tanti altri paesi, ed i loro abitanti, a diverse latitudini o altitudini o climi, concordano nell’asserire di non avere mai trovato concentrazioni così alte di persone, a dir poco originali, come ce ne stavano là! Roba che se l’avessero saputo il signor Darwin e tutti gli altri studiosi di antropologia che si sono cimentati, dopo di lui, alla ricerca di qualcosa di nuovo da dire sulle caratteristiche degli esseri umani, avrebbero fatto carte false per trasferirsi in quel posto ad approfondire i loro studi; Altroché attraversare oceani e continenti alla ricerca di nuovi mondi e nuovi popoli. Sta di fatto che in quel paese, c’era una concentrazione così alta di tizi, per così dire, “singolari”, che in posti altrettanto “singolari” dove ambientare storie “singolari”, si sarebbe faticato, non poco, a metterne insieme, al massimo, qualche paio e dopo lunghe e attente ricerche. A onore del vero bisogna anche dire che in quel posto ci sono nate e cresciute, o arrivate e stabilite, persone che in seguito si sono distinte e in taluni casi hanno addirittura assunto un’importanza tale da fare parlare di loro e del loro paese anche fuori dai confini nazionali, ma anche questi in fondo altro non facevano che sottrarre individui, anche se all’opposto, alla cosiddetta gente normale. Tutto questo accadeva senza distinzione di sesso, età, ceto, estrazione sociale, educazione o cultura ed inoltre mancava di una spiegazione logica o una ragione precisa, non c'erano coinvolgimenti o legami strani, oppure misteriosi disegni o condizionamenti particolari che portassero a questo risultato, all'infuori di un unico denominatore comune: il luogo. Allo stesso modo di come accade nelle pasticcerie (tanto per fare un esempio che tutti possano comprendere), quando il cuoco si accinge a cucinare una ciambella col proposito di ottenere un buon dolce, sta bene attento, nel preparare l’impasto, a dosare gli ingredienti avendo cura di rispettare le stesse quantità che gli hanno permesso di ottenere, in occasioni precedenti, il migliore risultato. Il più delle volte riesce nell’intento però! Già, c'è un però che in alcuni casi vanifica ogni sforzo, una variabile indipendente che, nonostante tutto, in alcuni casi, impedisce il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Il però discriminante, quella variabile che fa di solito la differenza, per il pasticciere è il forno dove mette a cuocere la ciambella, ogni forno ha le sue caratteristiche, ed ogni forno è estremamente sensibile, molto umorale e a volte meteoropatico, più imprevedibile del tempo in aprile o di una ragazza innamorata. Il forno se è tale da fare onore al suo nome dà il suo risultato al di là dell’impasto, degli ingredienti e dell’abilità del cuoco. Tornando ai fatti terreni c’è da dire che indagando sulla vita di quella gente, dalla loro nascita e prima, molto probabilmente arriveremo a scoprire che, come capita un po’ d’ovunque, in certi casi l’impasto" (facendo un parallelo tra pasticceria e genetica) era stato preparato in quel paese, mentre in altri casi “l’operazione” era avvenuta altrove. Una volta lì però, in quell’angolo del creato raggiungevano il proprio grado di cottura e, all’uscita, ogni ciambella…scusate ! Ogni individuo mostrava quella caratteristica impressa dal forno, che in alcuni casi si notava appena, mentre in altri era molto più evidente. Infine, come in tutte le cose terrene, esisteva come continua ad esistere l'imponderabile, al quale è difficile trovare spiegazioni e per poterne uscire, senza scomodare frotte di studiosi, bisogna farsene una ragione, magari affidandosi alla saggezza dei vecchi proverbi nei quali c’è sempre un fondo di verità e come per le ciambelle anche tra quelli sfornati lì, valeva il vecchio detto che Non tutte le ciambelle riescono con il buco, infatti in diversi si notava la normalità che valeva per tutti gli individui del resto del mondo. Quel posto,quel paese: era un crocevia di umori e influenze e fenomeni unici che ben raramente si sviluppano in un unico modo e in un unico posto. Parlando In quella grande spianata di terra confluivano le grandi correnti fredde che scendevano dalle montagne e incontravano i venti caldi che arrivavano dal mare e,non trovando ostacolo si scontravano in quel punto equidistante dal loro posto d’origine. Quando si toccavano cominciavano a ruotare vorticosamente dando vita ad un’unica massa che a sua volta veniva sospinta e modificata dalla umidità afosa delle estati e dalla nebbia gelida degli inverni che si riproducevano continuamente su quella terra piatta e fertile. Incominciava una danza fenomenale che nel passare dei secoli ha inglobato gli effetti buoni o malsani di ciò che gli uomini producevano in quel posto coltivando la terra o percorrendola con vari mezzi o producendo nelle fabbriche.Alla fine si è venuto a generare un microclima talmente unico e complesso che la grande causa modificatrice della vita di quell’area. Il tempo ha fatto in modo che si sviluppassero tutte le altre peculiarità del posto cosicché se gli effetti del grande calderone si modificassero nel tempo riducendo la propria importanza ,le forme di vita animale e vegetale presenti nel posto acquisiscono tramandandoli i caratteri originali tramite l’imprintig che si tramanda di specie in specie da individuo a individuo. Per questo l’uniformità non si modifica: chi c’è per nascita non è differente da chi arriva. Oggi assistiamo alla valutazione e rivalutazione dell’originalità il mercato impone scelte che portano alla ricerca continua del prodotto di nicchia, unico e non riproducibile altrove se non nel sua piccola zona di origine che viene protetta ed esaltata con marchi e registrazioni. Il giorno che si arriverà a fare questo anche con le persone,perché ci si arriva EH! Vedrete che si arriverà anche a questo, non c’è mai fine al peggio. Il giorno,dicevo, che si arriverà a riconoscere ed esaltare l’originalità delle persone controllandole,certificandole e proteggendole, non basteranno bolli e targhette da applicare agli indigeni del paese. Sono altrettanto sicuro del fatto che in un mondo dove tutto si copia in nome del profitto, quel prodotto sarà, in barba alla evoluzione delle tecnologie, al sicuro ed immune da qualsiasi contraffazione.


01 aprile 2008

Supa de Sbrise
















Par quatro che magna

-6 eti de sbrise (za curà). El saria el fungo
Pleurotus ostreatus
-1 zeola
-1 carota
-3 spighi de ajo
-30 grami de butiro
-2 sculieri de oio stravergine de oliva
-parsìnbolo tridà
-sale e pévaro
-pan vecio tajà a fete
-grana gratà

Se fa cussì:

1. Co oio e buro, so na paela larga e alta fare on bel desfrito de zeola e ajo (questo dopo el se buta via) co la carota tajuzà fina.

2.Tajare a tochiti i funghi e butarli in tecia, assando a fogo vivo par diese minuti,
smissiando spesso che no i se taca.

3. Zontare aqua de bojo, a seconda de quanto brodosa ca volì la supa (dovarìa

'ndare ben 2-3 goti).

4. Assare cusinare par diese minuti, incuercià, justando de sale e pévaro.

5.Intanto metì le fete de pan a brustolare: a seco, se ve piase magnare lizièro, o so on sculiero de oio se ve piase pì gustoso.

6. Inpiatare la supa, spolvarando col parsìnbolo e butandoghe drento le fete de
pan.

7. Infromajare par ben.