03 marzo 2022

I mandurlin! Quei dolci che solo li!

 


Il paese, quel paese, si trovava poco distante dal suo luogo d'origine, le devastazioni dell'ultima guerra avevano indotto a creare un nuovo borgo, piuttosto che ricostruire sulle macerie ma era, come da sempre adagiato, come un gatto sornione, in quella vasta distesa piatta dove confluivano le correnti che, discendendo dalle montagne, si mischiavano con i venti in arrivo dal mare.
Il borgo negli anni si era esteso riappropriandosi di parte degli antichi quartieri a ridosso dell'argine del grande fiume e lì, in quella zolla di terra grassa e umida, se ne stava immerso in quel crocevia di umori e influenzato da fenomeni difficilmente riscontrabili altrove dove, nel caldo afoso delle estati e nella nebbia gelida degli inverni, assisteva imperterrito al ripetersi del miracoloso fenomeno della vita.
Quel paese era né più, né meno, simile a tutti i paesi della pianura, abitato da diverse centinaia di anime diverse, fatto e compiuto con tutto ciò che di solito si trova nei paesi di pianura.
Nel paese, il dottore, insieme al parroco, al notaio e al maresciallo dei carabinieri, era un'istituzione, una figura romantica, amata e rispettata.
Il dottor Arbaltini era il “medico condotto” e prestava assistenza sanitaria ai residenti nel territorio comunale, cioè, la Condotta. Di solito lo si poteva trovare in ambulatorio fino a tarda sera e, sovente, lo si incrociava in giro per il paese, a passo svelto, con in mano la borsa di pelle, da dottore.
Per sua abitudine faceva ogni settimana il giro di quei suoi assistiti che, per età o stato fisico, riteneva di dover seguire con particolare attenzione, andando a visitarli al loro domicilio.
Quel giorno, il dottor Arbaltini, aveva deciso di iniziare il suo giro di visite andando dalla signora Adelina, la Lina per tutti i paesani e anche per lui, che aveva avuto modo di visitarla pochi giorni prima per una distorsione ad un piede e voleva sincerarsi del suo stato.
Ah! La signora Adelina, la sempre disponibile e onnipresente Lina, lui l’aveva conosciuta e apprezzata fin da ragazzino, quella gioviale donna sempre sorridente, ma con quel carattere forte che gli aveva permesso di superare le dolorose prove alle quali la vita l’aveva sottoposta.
La casa dell’anziana signora si trovava un poco oltre le ultime case del paese dopo la strada che portava al ponte sul fiume.
Al tempo in cui quella casa era stata costruita, era molto più isolata ma, con il passare degli anni, il paese aveva continuato a crescere spingendosi sempre più vicino, con sempre nuove costruzioni,
Ormai avanti negli anni, l’Adelina, abitava da sola nel grazioso villino che davanti aveva un giardino alberato e ben tenuto, con le aiuole dove facevano bella mostra dei rigogliosi e profumati cespugli di rose antiche.
Dietro alla casa, verso il fiume, c’era l'orto, ben ordinato e suddiviso in parcelle regolari e costeggiate da piccoli sentieri dove, per l'appunto, pochi giorni prima l’Angiolina era inciampata e quasi caduta, mentre raccoglieva le verdure, procurandosi quella distorsione.
Il dottor Arbaltini, dunque, aveva fermato l’auto proprio di fronte al cancelletto del villino che trovò aperto, sembrava che lo stessero aspettando, ed entrò richiudendolo alle sue spalle. Il piccolo vialetto lastricato portava fin davanti all’ingresso della casa e anche il portoncino d’ingresso era aperto, appena accostato, segno che era proprio atteso.-
- Con permesso! Sono il dottore, Adelina. È in casa Lina?-
- Si dottore! Entra pure . . . sono qui, in cucina.-
- Buongiorno Lina, ma . . . cosa sta facendo in cucina? Perché è in piedi?-
- Beh! dottore, il piede non mi fa più tanto male e poi non riesco a stare ferma con le mani in mano.-
- Io mi ero raccomandato che rimanesse a letto, sa bene che non deve gravare sul quel piede.-
- Hai ragione dottore, e mi scuso tanto, ma giuro che appena avrò finito di preparare l’impasto dei mandurlin tornerò a letto fino a mezzogiorno, a riposare. Oh, sì! Riposeremo tutti e due: io e l’impasto, giusto il tempo che ci vuole per preparare me a formare i biscotti e il forno ad accoglierli.-
- Ah! Lina, le avevo prescritto per qualche giorno il riposo assoluto e mi ero raccomandato che se ne stesse a letto o in poltrona e invece? La trovo a impastare dolci!-
- Eh! Dottore, dici bene tu di stare a letto, ma io non ci riesco a stare ferma e poi devo assolutamente fare l’impasto per i mandurlin perché la fortuna ha voluto che riuscissi a trovare delle mandorle amare e dolci, fresche e di buona qualità Ferragnes, proprio come quelle che arrivavano dal Piemonte ai tempi di quando il paese era un porto dello Stato Pontificio, quelle giuste per fare i mandurlin.-
- Ma Lina, ho chiesto apposta alla Rosetta di venire a darle una mano per qualsiasi bisogno, che mi ha assicurato che sarebbe passata ogni giorno per aiutarla.-
- E per questo ringrazio te e la Rosetta, che è una giovane, tanto cara e premurosa e che viene tutti i giorni e oggi mi ha anche portato le uova fresche, così ho potuto montare a neve gli albumi e unirvi quelle buonissime mandorle e adesso, guarda qui! Guarda che meraviglia di impasto, sembra una nuvola nel cielo di aprile!-
-Insomma Lina, si renda conto che per lei non è uno sforzo da poco restare in piedi a impastare uova e mandorle.-
- Ma che sforzo, dai! E ritengo che sia possibile fare entrambe le cose senza fare sforzi né fare danni.-
- Ha! Va bene! E a me non resta che prendere atto della sua decisione e starmene buono e zitto, d'altronde col tempo ho imparato che quando una persona anziana sostiene che qualcosa è possibile ha quasi certamente ragione, per contro quando sostiene che qualcosa è impossibile molto probabilmente ha torto. Dunque non potendo fare niente per farle cambiare idea, continui pure nel suo lavoro.-
- Ma che lavoro, per me è un piacere e comunque, i mandurlin dell’Adelina, se permetti, li fa la Lina; cioè io e ricordati che al Ponte siamo rimasti in pochi a preparare questi dolcetti unici che, spero tu lo sappia, hanno una storia che viene da molto lontano. Pensa che storia eccezionale si portano dietro questi dolci, tanto semplici quanto buoni, forse creati in occasione dell’arrivo di un Papa.-
- Lo so! Conosco la storia, Lina, so bene che, secondo la tradizione, sarebbero stati proposti in occasione della storica visita di Papa Pio IX nel 1857 che, arrivato via fiume, se li gustò nel passeggiare sotto la via Coperta, il lungo porticato che serviva da magazzino per le merci del Porto Franco dello Stato Pontificio. -
- Già si racconta proprio così e tu, caro il mio dottore, che sei nato e cresciuto qui, saprai bene che la via Coperta venne costruita nel 1647 e con i suoi centodieci metri di lunghezza univa il porto al centro del paese. -
-Lo so, lo so Lina, il mio babbo mi raccontava che prima di essere distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, rappresentava il cuore commerciale di questo paese che allora si sviluppava tutto lungo la sponda del fiume.-
- Proprio così! caro il mio dottore e pensare che questi magnifici dolci non sono il risultato di elaborazioni dei pasticceri, sono in realtà il frutto della fantasia e del senso del risparmio di un giovane lavorante della pasticceria, che pensò di utilizzare gli albumi d'uovo rimasti per creare questi dolcetti e gli ingredienti indicati nella antica ricetta sono quelli ancora usati qui in paese: “zucchero bianco fine, mandorle dolci e amare, chiare d’uovo”.
-Certo Lina, lo so bene, come lo sanno tutti i paesani di qualsiasi età che, come dicono spesso, “se non sono così, non sono questi dolci qui”. Nel 1755 lo imparò anche il signor Carlo Goldoni che, sbarcato al porto, provenendo dalla Repubblica Serenissima, alla dogana del Lago Scuro non dichiarò la sua “. . . provvisioncella di cioccolato e di caffè.” che non gli venne confiscata perché già famoso e per le lodi che non risparmiò ai dolci squisiti che gli offrirono al caffè della via Coperta che stava a fianco del dazio.-
- E già, che storia, che passato. Sai dottore, che cosa mi raccontava la mia nonna?-
-Mo fiss-ciula Lina! . . . Scusi, volevo dire Accidenti Lina! Ci mancava anche la nonna, e dal momento che tutto serve per non parlare del suo piede, mi racconti pure dei ricordi della nonna.-
-Allora, la mia nonna materna mi raccontava che quando era un ragazzina, alla domenica dopo la messa, i genitori la portavano nel caffè pasticceria che c'era sotto alla via Coperta, dove si potevano gustare i famosi mandurlin. Era la rinomata caffetteria Apollo del Ferraguti che, sulla sua tomba in certosa volle inciso “ il re della secolare specialità mandorlini”. La caffetteria, oltretutto, stava vicino alla bottega del barbiere, conosciutissima per via del fatto che la barba ai signori la faceva una barbiera, fatto più unico che raro per quei tempi.
-Non divaghi Lina, già siamo passati dal piede, ai mandurlin e alla nonna, se adesso mi comincia ad elencare le botteghe che stavano sotto alla via coperta non ne veniamo più fuori.-
-Va bene, va bene! Allora, la nonna . . . ha! Ecco, capita che una volta, entrando nella pasticceria, vide un signore giovane ed elegante che, seduto ad un tavolino, scriveva su un quaderno mentre assaporava i dolcetti di mandorle. Lei curiosa si avvicinò e lui sorridendo le lesse alcune righe di ciò che stava scrivendo. La nonna non se le era più scordate quelle belle parole e me le ripeteva spesso, e dicevano “Io sono innamorato di tutte le signore, che mangiano le paste, nelle caffetterie.”-
- Detto questo cara Lina, adesso che abbiamo rievocato la storia patria e i ricordi d'infanzia, vogliamo tornare a interessarci della sua salute?-
- Ma che bravo il mio dottore! Che, oltre a prendersi cura dei suoi paesani, non trascura la storia e le tradizioni della sua terra d’origine.-
- E lei non deve trascurare se stessa e ricordarsi che, alla sua età e con i suoi problemi, non ultimo quel malanno al piede, deve rallentare un poco, così avrà davanti più tempo per fare molto altro ancora.-
- Ma va là dottore! Che arrivata a questa età, tutto quello che dovevo fare, l’ho fatto e in quel po’ di tempo che il buon Dio mi regala ancora, faccio quello che voglio, quando ne ho voglia e a modo mio, come del resto, ho sempre fatto. Non è facile cambiare vita dopo averla passata così, per una vita intera e poi, devo insegnare alla Rosaura, che è giovane e volenterosa, a fare i mandurlin, mica ci si può permettere di perdere le tradizioni di questo paese. I mandurlin del ponte si fanno, a Ponte, da più di 150 anni e vorrei che si continuasse a farli per molto tempo ancora.-
- Ah! Che lei faccia quel che vuole non lo metto in dubbio, ma quel piede è ancora un po’ gonfio e per guarire bene deve stare a riposo e ora, se permette, voglio proprio vederlo.-
- Ma stai tranquillo dottore, che i mandurlin li faccio con le mani, per cui al mio piede non rimane niente da dire e non sarà certo una storta presa nell’orto a farmi stare a letto.-
- Caparbia eh! Non vorrei mancale di rispetto, ma potrei dire . . . testona.-
- Lo so, non sei il primo a dirlo e non sarai l’ultimo e adesso siediti e prenditi una tazza di caffè che è ancora caldo, intanto io finisco di amalgamare l’impasto e poi ti faccio vedere questo piede a cui tieni così tanto.-
- Oh, Lina! Se non le volessi bene come alla mia povera mamma, me ne sarei già andato, ragionare con lei è impossibile!-.
- Oh, dottore! Se io non ti volessi bene come a un figlio, ti avrei già mandato a spasso e comunque stai attento, sono vecchia e mi potrebbe sfuggire il mattarello dalle mani . . . non so se mi spiego?-
- Ho capito, cara la mia signora testarda, faccia come vuole, ma se è vero che mi vuole bene, provi a far qualcosa che accontenti anche il suo dottore.-
- Ma certo che voglio accontentare il mio dottore, ci mancherebbe! Infatti i mandurlin li faccio anche per te, che so bene quanto ti piacciono questi dolcetti.-
- E va bene Lina! Faccia come vuole, io vado a fare il giro dei miei assistiti, che è meglio.-
- Ecco, bravo, vai pure a visitare i tuoi malati, che ti stanno aspettando e so bene quanto li hai a cuore. Quando avrai finito, ricordati di ripassare dalla tua paziente testona, che ti vuole un bene dell’anima e che ti farà trovare i mandurlin appena sfornati, caldi e fragranti.-