29 settembre 2008
Ricordi di. . . cucina
22 settembre 2008
Uno yankee in cantina
Chi non ha mai sentito parlare del Clinton (non quello che fu presidente degli stati uniti), dell'Uva fragola o del vino Fragolino? Per molti, soprattutto se residenti nel Nord-Italia, l'aroma particolare dell'Uva americana evoca ricordi di fine estate, sapori di orti e giardini famigliari, dove non ne mancava mai qualche vite allevata a pergola, a estivo. Erano rustiche e davano questi vini che però avevano il ben noto sapore volpino e che risultavano inoltre scarsamente alcolici, poco stabili nel colore, talora più ricchi di alcol metilico. I primi ad essere utilizzati, i peggiori dal punto di vista della qualità, erano sovente ibridi naturali, derivati cioè da incroci spontanei: il Clinton da Vitis Labrusca x Vitis vinifera, l'Uva fragola che tutti conoscono, o Isabella, da un semenzale dello stesso incrocio allevato e propagato da Isabelle Gibbs. Ma quale consumo viene fatto di questi vini, che sono fortemente aromatici e non facilmente abbinabili? La risposta è: sono i tipici protagonisti della "merenda delle cinque" e vengono accompagnati solitamente con il cosiddetto "Pan Biscotto", una pagnotta di pane passata in forno per lungo tempo e che viene sbriciolata e inzuppata nel vino. Il Pan Biscotto una volta si faceva in casa, perché si metteva il pane ormai non più buono da mangiare nella stufa che serviva per iscaldamento domestico, e questo si tostava lentamente; ora sarebbe poco conveniente farlo nel forno delle nostre cucine e perciò lo si trova già fatto nei panifici. Assaggiamo per primo il Clintòn, ottenuto da uve omonime. Il colore è rubino piuttosto carico con sfumature violacee; nei profumi, dolci, domina la fragola, ma sono presenti anche spiccati toni vegetali, e nel sottofondo accenni di frutta di bosco nera,In bocca il vino è molto diverso: è di corpo medio ed è dominato da note asprigne. Sul Fragolino c'è subito un equivoco da dissipare: non è lo stesso Fragolino, abbastanza diffuso, che si trova imbottigliato e che è un vino aromatizzato al gusto di fragola. Questo è l'autentico, ottenuto da uva fragola, ed alla rimozione del tappo ci riserva una sorpresa: un'autentica fontana si sprigiona dalla bottiglia. Il vino è infatti effervescente, e spuma se è stato mosso durante il trasporto.
20 settembre 2008
Isabella dal sapore di fragola
18 settembre 2008
Quei vecchi filari
“Il tempo si comporta sempre da galant’uomo, passa senza guardare in faccia a nessuno e non fà differenze”, questo sentivo dire dagli anziani . Con il passare degli anni andando avanti con l'età, molte cose si scordano, ma se si ritorna giovanetti, in un mese d’estate, di un anno qualunque di quelli, è possibile vedere il filare di uva clinto, che si snodava perfettamente dritto seguendo l’orlo della scarpata, che andava a morire al margine della muraglia a secco. Questa, sosteneva lo sbalzo fra la strada principale e la proprietà, il filare correva attiguo alla capitagna, che segnava il limite della terra coltivabile. Di tanto in tanto, ad intervalli regolari, vi erano messi a dimora degli ontani o dei gelsi, che sostenevano i fili di ferro, che, a loro volta, reggevano i tralci delle viti. Se lasciate crescere spontaneamente, si sarebbero sviluppate appoggiandosi al terreno perché il loro fusto non ha consistenza sufficiente per svilupparsi in modo eretto. Fusto e tralci delle viti erano legati, con dei più o meno sottili rametti elastici di salice selvatico, al filo di ferro ben teso fra albero e albero e, fino a quando essi non marcivano, mai erano sostituiti. Per far rimanere il filo di ferro sempre ben teso fra un sostegno e l’altro e in linea retta, si cominciava, in un primo momento, tendendolo e, dopo, venivano messi solitamente a metà due paletti incrociati per tenderlo al massimo che venivano ruotati nel verso giusto.
14 settembre 2008
Punto croce
Beh! A dire il vero non lo sapevano bene neppure loro e, con il passare degli anni, passando la
moda del "punto croce", non ho più potuto, né voluto approfondire la mia conoscenza in materia.
Ricordo che passavano interi pomeriggi a cercare di infilare, con uno speciale ago, fili di cotone colorato nella trama di un pesante tessuto.
Ad onore del vero, il pesante tessuto assomigliava molto di più ad una rete da pesca a maglie molto fitte, e le smorfiose chine nel lavorarlo sembravano quei pescatori che tutti hanno avuto occasione di vedere, seduti sul ciglio di un porto a riparare le loro dopo la pesca.
In sostanza la cosa funzionava così: alle bambine di quell’età, allora, venivano di solito regalate stuoie che da un lato riportavano disegni colorati e le ricamatrici in erba, utilizzando fili di cotone dei colori più rassomiglianti possibile alle aree colorate del disegno, tessevano nodi passando da una parte all’altra della stuoia, fino a ricoprire completamente un lato della tela. Alla fine il risultato era un arazzo raffigurante le cose più disparate, dove i colori erano i fili di cotone tessuti intensamente col famoso metodo detto per l’appunto del “ punto croce”.
Con il passare del tempo sono arrivato alla conclusione che Il " punto croce" altro non fosse se non un espediente delle mamme che, tenendo le figlie fortemente impegnate in un’attività condivisibile solo con altre femminucce, serviva sostanzialmente a far loro evitare o ritardare il più possibile la frequentazione dei maschietti, quasi una forma di profilassi preventiva. Dall’altra parte, quella dei maschietti, esisteva una naturale diffidenza nei confronti delle bambine che aumentava fino al punto di tenersele ben distanti quando le stesse si cimentavano in quei loro giochi, che tanto poco avevano del gioco e tanto più dell'imitazione di mamme e signore in generale. Così andava allora in quel cortile e dalle mani delle piccole ricamatrici, dopo settimane passate sopra alle trame colorate, uscivano alla fine i lavori finiti con risultati più o meno buoni ma, in ogni caso, non di quell’eccezionalità che ci si aspettava, visto l'impegno profuso ed il tempo impiegato a scapito d’altri giochi o passatempi più normali. In paese molti di quei lavori potevano essere ammirati, oltre che nelle case dei genitori delle tizie da ricamo, nel negozio del corniciaio dove erano portati per essere trasformati in quadri da genitori, tanto orgogliosi quanto poco critici, che credevano di avere in casa una grande artista in erba. Travolte dalle vicissitudini di avversi destini le opere, che inizialmente trovavano posto nella migliore parete della stanza più importante della casa, con il passare del tempo e per effetto di un’osservazione più critica, venivano spostate in pareti ed in stanze che meglio si prestavano a valorizzarle fino ad arrivare, passo dopo passo ma inesorabilmente, a trovare posto in cantine soffitte o ripostigli, definitivamente nascoste e dimenticate. Poche sono le opere salvate ed arrivate a noi, oggi, poche campeggiano ancora su pareti più o meno nascoste. Da lì avvertono le nuove generazioni di bambine di quanto sia più importante ricordarsi di un sano nascondino, o un’innocente mosca cieca insieme ai maschietti, che cercare di dimenticare il tempo irrimediabilmente perso in un inutile " punto croce".
Scampata alla catastrofe
La vite - la pianta che produce l'uva - appartiene alla famiglia botanica delle Vitacee, e fra le decine di membri appartenenti a questa famiglia, il genere vitis è quello di principale importanza per la produzione di vino. Il più importante fra questi è la vitis vinifera - da cui proviene oltre il 99% del vino prodotto in tutto il mondo.
Si stima che il numero di varietà di vitis vinifera conosciute in tutto il mondo sia dell'ordine di qualche migliaio.
La vitis vinifera - nonostante sia il genere più importante e diffuso - non è l'unica specie utilizzata per la produzione di vino.
.Le altre specie più diffuse e adatte per la produzione di vino - seppure con risultati ben diversi da quelli della vitis vinifera - sono la vitis labrusca, la vitis riparia e la vitis rotundifolia, tutte originarie nel continente Americano.
Queste specie assumono comunque un'importanza strategica e fondamentale per la produzione di vino in quanto sono, contrariamente alla vitis vinifera, resistenti agli attacchi della temibile fillossera.
Per questa ragione le piante di vitis vinifera sono innestate su ceppi radicali di specie Americane - in particolare la vitis riparia - in modo da contrastare i devastanti effetti di questo parassita.
Non era perciò raro che venissero provati gli impianti di viti provenienti da altre parti del mondo, in particolare dagli Stati Uniti d'America.
Alla fine del diciannovesimo secolo, la vite da vino ha rasentato la definitiva estinzione a causa di un piccolissimo acaro, la fillossera, che devastò i filari in quasi ogni parte del mondo. La cronaca di quella terribile epidemia e la lotta per salvare la vite meriterebbero la penna di un romanziere.
Ci limiteremo a riassumerla per sommi capi, senza però dimenticare l'ingegno umano che trovò la soluzione consentendoci di continuare a degustare il vino.
Per comprendere da dove ebbe origine questo terribile avvenimento che tanto costò ai viticultori di allora, va ricordato come la coltivazione della vite fosse in Francia regolamentata da leggi di tutela già dalla seconda metà del '700.
Già da allora con estrema professionalità, si sperimentavano coltivazioni di nuovi vitigni, sempre alla ricerca di nuovi metodi che garantissero il primato dei "premiere cru" d'oltralpe.
Dopo il 1850, con l'avvento delle prime navi a vapore, il tempo di viaggio tra le coste statunitensi e quelle francesi si ridusse drasticamente: da oltre tre settimane a circa dieci giorni ! E fu così che, con ogni probabilità, alcune piante di vite infestate dalla fillossera, che da sempre viveva solo in America, giunsero in Francia con gli indesiderati parassiti ancora vivi.
La fillossera, non ancora individuata come un acaro parassita, era conosciuta negli Stati Uniti, come una malattia della vite americana che attaccava le foglie, danneggiando la pianta ma, come spesso fanno i parassiti che devono la loro alla sopravvivenza della pianta che li ospita, senza ucciderla.
La vite era stata coltivata con grande soddisfazione in tutta l'Europa, sino alla meta del 1800, fu in quel periodo che la Philloxera vastratix "sbarcò" nel vecchio continente, proveniente dall'america del nord.
I primi ad accorgersi delle devastazioni che l'insetto era in grado di provocare alla vite europea furono i francesi intorno al 1860. In Italia la fillossera giunse 20 anni dopo, e anche quì si propagò rapidamente.Gli sforzi profusi nella lotta di questo insetto furono per lunghi anni vani e, ad un certo punto, si pensò che la fillossera, che attacca le radici della vite europea e le fa marcire, avrebbe finito con il portare all'estinzione della vite autoctona.
Fu uno studioso, Gaston Bazille che, con lucido ingegno dettò la soluzione: visto che la fillossera attaccava le radici della vitis vinifera, ma non la pianta, mentre nella vite americana attaccava le foglie ma non le radici, "si innestino le viti sulle radici della vite americana". E così fu provato e la vite riprese a crescere rigogliosa !
Quando bevete un bicchiere di buon vino, talvolta rivolgete quindi un pensiero riconoscente a Monsieur Bazille, che sicuramente riposa nel Paradiso dei benefattori dell'Umanità, ma anche ai contadini che per ogni vite piantata, da più di un secolo, procedono pazientemente agli innesti sulle barbatelle di vite per consentirci, dopo qualche anno, di degustare il prodotto del loro duro lavoro.
06 settembre 2008
Figà a la venexiana
Par quatro de boca bona
8 eti de fegato de vedelo, a fete alte on zentimetro;
do bele zeole;
ojo stravergine de oliva;
na paela bela larga;
Se fa cussì:
1.Fare el desfrito, in’te sto caso, xe el 90 par zento dela riceta
2.So l’ojo, la zeola tajà fina la ga da ziaparse pian pianelo, fin a deventare squasi trasparente: jutarà on par de sculieri de vin bianco seco, a metà;
3.A desfrito fato, butare so la tecia el fegato tajà a fetele grosse du dii par du dii;
.4.Smissiare con on sculiero de legno, assando che el fegato el se rosola apena tuto torno: no’l ga da sfritegare !
5.Cavare dal fogo e servire de bojo;
6.Le boche fine lo compagna co arquante fete de polenta, bianca o zala, al gusto. No se magna altro.
7.Na graspeta jutarìa a tegnere zo ...le zeole.
05 settembre 2008
De gustibus . . .
Il piccolo frutto della pianta della vite è l'elemento fondamentale da cui inizia la grande avventura della produzione di vino, piccole bacche colorate dal cui succo nascono infiniti stili di vini. Non esistono testimonianze certe e attendibili sull'esatto modo in cui si è giunti alla scoperta del vino, e soprattutto, sulla scoperta degli eventi che da un piccolo chicco d'uva, ricco di dolce succo, portava alla produzione di una bevanda molto diversa dalla materia di origine.
Le diverse culture dei paesi in cui si produce storicamente il vino, fanno risalire la scoperta della bevanda di Bacco alle gentili concessioni fatte da benevoli dei al genere umano sia per la loro gioia sia per il loro sostentamento. Indipendentemente dalle reali origini di questa millenaria bevanda, mitologiche oppure frutto di semplici e rivoluzionari eventi naturali, o ancora dal risultato della fortuita incuria riservata al succo d'uva che con il tempo si trasformava per effetto della fermentazione.Il vino ha sempre avuto un posto di rilievo nelle culture dei popoli in cui era presente.E pensare che tutto ha origine da una “modesta” e certamente tenace pianta - la vite - i cui frutti, disposti in colorati grappoli, sono ricchi di un succo dolce e opportunamente acido capace di offrire, dopo una serie di straordinarie modificazioni chimiche, una bevanda di assoluto pregio e rilievo.
Il vino che non rimane mai immobile ma evolve continuamente, la sua evoluzione può essere notata tramite il suo colore, il sapore ed il suo profumo.
Ogni vino attraversa diverse fasi: acerbo, giovane, pronto, invecchiato e vecchio. Insomma ogni vino possiede un preciso ciclo vitale, che può durare qualche mese, ma può giungere sino a qualche decennio.
Se ci soffermiamo ad analizzare il colore possiamo dire che ad una colorazione corrisponde una determinata caratteristica gustativa.
Nei vini bianchi la colorazione deve essere giallo paglierino (ci sono varie sfumature dello stesso). Non è accettabile infatti un vino molto chiaro (povero), nè un vino bianco ambrato (vecchio, tannico, ossidato).
Per i vini rossi la scala cromatica và dal porpora, al rubino, al granato o aranciato (con sfumature intermedie).
In genere il porpora (pensate ai Cardinali) è il colore di un vino giovane, man mano che il vino invecchia perde parte del rosso per acquistare più color mattone, naturalmente se un vino giovane è color mattone significa che il vino non è buono.
Un esempio per capire meglio : un lambrusco essendo un vino giovane deve essere rosso rubino, un cabernet (3 0 4 anni) deve avere un colore rubino con riflessi granati o rubino granato, un barolo essendo un vino di quasi un decennio sarà rosso granato etc. A tutto ciò si sommano poi gli aromi ed i sapori ( profumi che ricordano la vaniglia) che vengono donati al vino dall'invecchiamento in botti di rovere (per il rosso). Nell'invecchiamento del vino diminuisce l'acidità totale (ciò è dovuto ad un tipo di fermentazione effettuata da batteri lattici che viene chiamata fermentazione malolattica). Questo tipo di fermentazione consiste nel trasformare l'acido malico in acido lattico ed anidride carbonica.
Grazie a questa fermentazione il vino sarà più morbido rotondo ed armonico, tale processo avviene spontaneamente in primavera in seguito ad un aumento termico per via di batteri che si mettono in azione (mentre ciò è gradito per i vini rossi e da evitare nei i vini bianchi che possiedono già buona morbidezza).