". . . GUAI ALL' UOMO CHE NON TENDE L'ARCO OLTRE LA PROPRIA IMMAGINAZIONE . . ."
18 settembre 2008
Quei vecchi filari
“Il tempo si comporta sempre da galant’uomo, passa senza guardare in faccia a nessuno e non fà differenze”, questo sentivo dire dagli anziani . Con il passare degli anni andando avanti con l'età, molte cose si scordano, ma se si ritorna giovanetti, in un mese d’estate, di un anno qualunque di quelli, è possibile vedere il filare di uva clinto, che si snodava perfettamente dritto seguendo l’orlo della scarpata, che andava a morire al margine della muraglia a secco. Questa, sosteneva lo sbalzo fra la strada principale e la proprietà, il filare correva attiguo alla capitagna, che segnava il limite della terra coltivabile. Di tanto in tanto, ad intervalli regolari, vi erano messi a dimora degli ontani o dei gelsi, che sostenevano i fili di ferro, che, a loro volta, reggevano i tralci delle viti. Se lasciate crescere spontaneamente, si sarebbero sviluppate appoggiandosi al terreno perché il loro fusto non ha consistenza sufficiente per svilupparsi in modo eretto. Fusto e tralci delle viti erano legati, con dei più o meno sottili rametti elastici di salice selvatico, al filo di ferro ben teso fra albero e albero e, fino a quando essi non marcivano, mai erano sostituiti.Per far rimanere il filo di ferro sempre ben teso fra un sostegno e l’altro e in linea retta, si cominciava, in un primo momento, tendendolo e, dopo, venivano messi solitamente a metà due paletti incrociati per tenderlo al massimo che venivano ruotati nel verso giusto.
Quando il filo di ferro arrivava alla tensione voluta, si bloccava uno dei due paletti con un rametto di salice allo stesso filo di ferro, così fissato non si sarebbe srotolato.La strada interna era larga quanto bastava per far transitare , il carro a due ruote, il carro grande ed altri macchinari, che servivano per lavorare la terra.La strada aveva due solchi nei quali non attecchiva un sol filo di erba perché era continuamente schiacciata dai cerchioni di ferro delle ruote dei carri, che vi passavano sopra.La parte del terreno, che andava verso il basso e che formava la scarpata messa nella parte destra, dirigendosi in fuori rispetto alla casa, non era mai lavorata né con il badile, né con il piccone.La si lasciava allo stato incolto lasciandovi crescere spontaneamente la gramigna, che sottoterra è tutta radici fittissime e avrebbe saldamente fissato il terreno.Gli uomini falciavano l’erba in questa lingua di terra in forte pendenza, e dovevano far doppia fatica: una per il falciare faticoso ed una per farcela a tenersi eretti.La parte dei campi interna alla strada, quella che si apriva verso l’alto, era erpicata, seminata, zappata ed era separata da un piccolo fossato, che avrebbe guidato l’acqua piovana in eccedenza verso il punto adattato allo scolo e defluire senza rovinare i campi, la strada campestre e la stessa scarpata.In quei tempi passati, quando si presentavano tanti problemi, che oggi non esistono più, era premura di tutti i contadini di coltivare, oltre ai filari di uva che fruttava di più per ricavarne del vino, anche qualche vitigno di uva clinton.A quei tempi le difficoltà per la campagna erano molte e, oltre alle malattie provocate da batteri, potevano aggiungersi: gelate, eccessiva pioggia, grandinate, siccità e altre calamità.Per le viti di uva clinton non serviva né verderame né zolfo. In fin dei conti, coltivare questo tipo di viti sarebbe costato meno fatica ed il raccolto era sicuro, ma i grappoli erano minuti e i grani radi e, così, si sarebbe potuto raccogliere poca uva da pigiare.L’uva clinton, era indenne dai batteri, se le altre viti fossero state intaccate dalla fillossera, avrebbe ovviato alla penuria di vino quel poco di clinton, che si era vendemmiato. Non avendo bisogno di alcuna cura, era uso mettere a dimora anche una sola vite qua e là, nei posti più isolati. Bastava conficcare un palo in terra o sistemare una lunga pertica fra due alberi e legare fusto e tralci. Per la raccolta dei pochi grappoli di queste viti isolate, si andava o con una cesta portata a mano, che era confezionata con sottili rami di salice selvatico oppure portare con l’arconcello due ceste appese ai suoi ganci.L’unico attrezzo indispensabile era la forbice da potatura o un piccolo coltello.
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