28 luglio 2008

"Andavo come Coppi"

-Buongiorno signor Parroco l’aspettavo da giorni per la benedizione della casa e quasi cominciavo a pensare che quest’anno mi toccava restare senza-.
-Cosa vuoi mai Adalgisa con tutti gli anni che ho messo assieme,faccio fatica a correre dappertutto,non sono più svelto come una volta-.
-Cosa dice signor Parroco lei non invecchia mai,sono tanti anni ormai che la vedo sempre così-.
-Ah bene!Ti ringrazio cara!sarebbe a dire che,se mi vedi da tanto tempo sempre così è perché ormai sono arrivato in cima alla vecchiaia,allora posso sperare,se il Signore non mi vuole con Lui prima,di cominciare a tornare indietro,chissà che non arrivi al punto di entrare in parrocchia non come prete ma come catechista-.
-Mi scusi signor Parroco non volevo dire che per me Lei è sempre stato vecchio,ma che è sempre uguale,sempre lo stesso come se il tempo per Lei non passasse-.
-Sì,sì,mettila pur così,tanto la realtà resta quella che è,e la vita va come deve andare, a Dio piacendo. Dai su,che facciamo meno chiacchiere che voi donne siete tutte così,vi lamentate quando non arrivo e poi mi fate perdere del tempo a parlare-.
-Si accomodi pure signor Parroco Le posso offrire qualche cosa?posso esserle di aiuto-?
-Eh!cara Adalgisa,sei sempre premurosa e un bicchiere di acqua con un dito di vino l’accetto volentieri,che ho fatto una corsa in bicicletta che non mi sarebbe stato dietro neanche una Lambretta-.
-Ma non si è portato dietro il chierichetto-?
-Sai cara, piuttosto che andare dietro a un vecchio prete,i chierichetti preferiscono andare dietro a un pallone,ma del resto io faccio tutto da solo,nelle mie faccende non mi serve aiuto-.
-Tenga l’acqua col vino intanto,signor Parroco,così si leva la sete-.
-Grazie Adalgisa,sei sempre gentile,adesso bevo e poi prendo la borsa con tutti i miei attrezzi e ti benedico la tua bella casa-.
-Senta signor Parroco,non per mettere il naso nei suoi affari,però vedo che se ne và in giro con la tonaca strappata,cosa le è successo-?
-Ah!la tonaca,si!È successo questa mattina alla via Lunga,stavo andando a benedire alla possessione Sant’Ilario e mentre andavo per la strada,nel silenzio della campagna mentre ascoltavo le voce della natura,ben!ma non mi arriva improvvisamente,da dietro,Gastone!il fattore della Melata,che mi ha fatto quasi prendere un colpo-.
-Ho capito chi dice signor Parroco,Gastone,quello grasso e antipatico,e allora-?
-Ecco, proprio lui,che ha bene o male i miei stessi anni, ma anche una Bianchi Granturismo che è una bellezza;Bè! quel damerino coi mezzi guantini,intanto che mi sorpassa,non mi fa l’occhiolino con stampato in faccia un mezzo sorrisino che sembrava voler dire:”Tirati in là pretone asmatico con quel ferrovecchio”-.
-Hoooo!che screanzato!E lei signor Parroco cosa ha fatto-?
-Io!io non ci ho più visto e,anche se avevo sulla bici la borsa con i miei attrezzi e sulle spalle i miei anni,ho cominciato a spingere sui pedali della mia vecchia Taurus da donna,che sarà anche vecchia,ma fila come un treno-.
-Heee!Come avrei voluto esserci,che dicono che lei da giovane era un ciclista coi fiocchi-.
-Io da giovane sono stato campione dei seminaristi,e mica a chiacchiere,allora ero magro come un chiodo ma avevo uno sprint che bruciava-.
-Allora gli sono arrivato a ruota e lui,il damerino,ha cominciato ad andare sempre più veloce e quando si voltava per vedere dove stavo,aveva sempre quel sorrisino che . . . che il Signore mi perdoni-.
-Heee!signor Parroco chissà la fatica-?
-La fatica dici?Lui spingeva e correva e io sempre lì, sempre attaccato alla sua ruota,che dopo un po’,quando si voltava,se lo era tolto il sorrisino dalla faccia,anzi cominciava a tirare fuori la lingua-.
-Heee!E allora cosa è successo-?
-E' successo che quando siamo arrivati alla rampa dell’argine il damerino era scoppiato,cotto,ed io mi sono cavato la soddisfazione di sorpassarlo anzi,e chiedo scusa al signore,l’ho umiliato perché mi sono alzato sui pedali e sono partito come Coppi sullo Stelvio-.
-Heee! signor Parroco,ho capito che la vostra passione vi trascinato a fare una gara,ma lo strappo nella tonaca come è successo-.
-Cara Adalgisa devi sapere che mentre pedalavo,là sull’argine,mi sembrava di toccare il cielo con un dito e nella contentezza mi sono dimenticato della tonaca,che si è infilata nella ruota dietro della bicicletta e si è strappata,lei:la tonaca !Invece io non sono riuscito a tenere in strada la taurus e sono voltato giù dall’argine-.
-Heee!Si è fatto male Signor Parroco-?
-Ma no,va là!Qualche graffio e qualche livido,il peggio lo ha avuto la tonaca,anzi visto che ti sei offerta di essermi di aiuto,facciamo così:io do una bella benedizione alla tua casa e tu fai un bel rammendo alla mia tonaca-.

17 luglio 2008

"La sentinella" da "Tipi Rimati"


Batte forte il piede, a dire che alla meta è arrivato,

e di scatto gira i tacchi, ripercorre un altro lato.


Piedi e mani articolati danno il ritmo nel percorso,

corpo ritto irrigidito, tutto espanso: petto e dorso.


In un plastico molleggio, perde ogni aspetto umano,

angolato tiene il gomito ch’è tutt’uno con la mano,


questa è, solido poggio che dell’arma regge il peso,

l’altra: un pendolo, oscilla, alla fin del braccio teso.


Il compasso delle gambe scatta con tempo meccanico,

l’espressione sul suo viso mostra un velato panico.

Il Capo stazione


Tutto il paese era una continua evoluzione, cambiava di giorno in giorno, diventava sempre più grande. Presto arrivò a sfiorare le poche costruzioni del vecchio paese, quelle poche che erano rimaste dopo la guerra e l’abbandono, e per dare modo alle nuove costruzioni di avere nuovi spazi dove sorgere si dovette procedere alla demolizione degli ultimi ricordi. Quel giorno, sulla grande spianata che un tempo era stato il piazzale antistante la stazione ferroviaria del paese, davanti a quello che rimaneva degli edifici che la componevano, nonostante il tempo che rovesciava acqua dal cielo e freddo da dove spirava il vento, c’era quasi tutto il paese.

Era un giorno diverso dai soliti, non per il clima, poiché in mezzo alla grande pianura ogni fenomeno che arriva dal cielo, in qualsiasi stagione, freddo o caldo che sia, è sempre esagerato, nella bassa non esistono mezze misure; Perché c’era qualcosa nell’atmosfera o, forse, nella gente che non era possibile definire, qualcosa che immalinconiva più della pioggia. Quel giorno portavo, sopra agli abiti pesanti, la mantellina azzurra di tela gommata con il cappuccio e, ai piedi, le galoscie di gomma però, nonostante il riparo sotto il grand’ombrello che teneva il nonno, continuavo a sentire la pioggia che mi bagnava girandomi attorno, quasi arrivasse da tutte le direzioni. Il nonno era bagnato fradicio da capo a piedi, come del resto tutti quelli che stavano lì, in quel pomeriggio ad aspettare ammutoliti, con gli occhi fissi in un punto; Un gran silenzio sottolineato dal cupo sottofondo della pioggia e, solo a tratti, interrotto solo dai rumori del lavoro degli operai che, nonostante il tempo inclemente, continuavano ad affaccendarsi faticosamente con picconi, mazze e lunghi cavi intrecciati d’acciaio. Quel giorno si offriva, al pubblico presente, uno spettacolo irripetibile che, complice la natura che ci metteva la scenografia più adatta per l’occasione, sarebbe anche stato indimenticabile: la demolizione della torre dell’acquedotto dell’ex-stazione. Svettava in mezzo al piazzale un alto cilindro in muratura e cemento, sormontato da un altro ancor più grande, ma sempre in mattoni rossi, che era il serbatoio dell’acqua e sul quale restavano, ancora leggibili, i resti della grande scritta a caratteri neri in campo bianco che indicava il nome del paese. Fino all’ultima guerra, quella era stata la stazione ferroviaria del paese, nonché l’ultima prima del ponte che, attraversando il fiume, collegava in quel punto il nord al resto del Paese con una linea ferroviaria tra le più importanti e trafficate. Fu che, a seguito dei numerosi e terribili bombardamenti aerei nel corso dell’ultima guerra mondiale, il ponte e la linea ferroviaria andarono distrutti e con loro anche la maggior parte degli edifici del paese, solamente la stazione, miracolosamente, rimase quasi intatta al suo posto, dopo, non potendola più usare per ciò che era, le stanze e tutti gli altri locali furono destinati ad accogliere gli sfollati, rimasti senza un tetto dove trovare riparo e conforto. Finita la guerra la linea ferroviaria fu ricostruita seguendo un nuovo tracciato e fu costruito anche un nuovo ponte, cosicché l’area e gli edifici dell’ex –stazione furono utilizzati come depositi e magazzini fino a quando non servirono più a nessuno. L’abbandono e l’incuria, col passare del tempo, li portarono ad un lento ma inesorabile degrado, fino quando diventarono un pericolo per la gente che passava di là.

La torre dell’acquedotto, specialmente, stava in piedi per miracolo, diroccata e puntellata da una selva di pali, addirittura in certe giornate di vento, a guardarla bene, sembrava che oscillasse sotto le folate più forti, facendo accelerare il passo, per la paura, a chi si trovava a passare a fianco. Proteste, pericolo, necessità di nuove aree e poi ancora, discorsi e carte bollate che fecero il resto; Fu così che si arrivò a quel giorno, quando eravamo tutti là ad aspettare il momento in cui la torre della stazione sarebbe caduta definitivamente. Ricordo che davanti a tutta la gente stava un signore molto anziano che, ormai piegato dagli anni, rimaneva fermo, immobile come impietrito sotto la poggia battente, non aveva l’ombrello con cui ripararsi ma portava uno di quei grandi impermeabili cerati, con mantellina e cappuccio, di quelli neri usati dai ferrovieri, la pioggia gli scendeva dal cappuccio sul viso e pareva, anche per l’espressione dolorosa che aveva, che a scendere fossero le lacrime di un pianto silenzioso. Riuscii a capire, da alcuni commenti sussurrati a mezza voce dalla gente che mi stava attorno, che doveva essere il vecchio capo stazione e n’ebbi la conferma da mio nonno il quale, successivamente, mi spiegò che quello era stato un uomo importante ai tempi in cui quella stazione era funzionante, bella, moderna e sempre piena di bella gente affaccendata a partire e ad arrivare, ma anche sempre piena di grandi quantità di merci da caricare o scaricare. Mi raccontò che, quando quel giovane capo stazione arrivò in paese per insediarsi alla direzione della stazione ferroviaria, era un uomo di bell’aspetto e forte nel fisico, era uno dei più valenti capi-stazione, si andava dicendo allora, scelto di proposito per completare il quadro di modernità ed efficienza di quella che era un piccolo, ma prezioso, fiore all’occhiello per le Regie Ferrovie. Il capo stazione prese alloggio nel piccolo appartamento, a lui riservato, sopra alla biglietteria e, quando gli impegni di lavoro glielo permettevano, non perdeva occasione per partecipare alla bella vita, offerta dalla gaudente società borghese di allora, la sua presenza era ambita nei circoli frequentati da industriali, commercianti e latifondisti del posto, e ancor più se lo disputavano le giovani di buona famiglia in cerca di un buon partito. Nei ricordi della gente si racconta che quel gran bel giovane, alto ed atletico, aveva un buon carattere e anche buone maniere, insomma un vero gentiluomo che, si diceva, fosse entrato in servizio nelle Regie Ferrovie, dopo aver servito nel Regio Esercito come Ufficiale del Genio. I ricordi della gente a volte diventano leggende, e quella leggenda racconta che il giovane capo stazione aveva infranto molti cuori femminili, ma che, alla fine, non si era mai deciso a prendere moglie e aveva trascorso tutta la vita accasato solamente alla stazione ferroviaria, quella che era stata l’unica compagna fedele e alla quale, dopo ogni storia d’amore infelicemente conclusa, lui tornava a cercare tranquillità e consolazione. Il giorno in cui, con la demolizione della torre di mattoni rossi, se n’andava definitivamente una parte importante della sua vita, non volle mancare, rimase fermo per tutto il tempo ad aspettare la fine, restò piantato là davanti fino a quando, con un fragore assordante, la torre venne giù, abbattendosi su alcuni edifici diroccati che gli stavano in fianco e trascinandoli con sé nella distruzione. Io non ebbi modo di vederlo, ma in molti dissero che se n’andò da quel posto parecchio tempo dopo che se n’erano andati tutti e sentii dire che lasciò il piazzale camminando faticosamente, quasi trascinandosi. Come si è detto, i ricordi diventano leggenda e visto che lui leggenda già lo era, non fu difficile voler credere che, come di solito succede in tutte le storie di amori che non possono finire, anche lui non se la sentì più di vivere dopo avere perso il grande amore della sua vita. Pochi giorni dopo sui cantonali del paese dove di solito erano affissi gli annunci del Comune e i necrologi, apparve anche quello che informava della morte del vecchio capo stazione.

09 luglio 2008

"Il pescator sportivo" da "Tipi Rimati"


Lungo il greto del torrente, tra i sassi, si aggira,
lo sportivo pescatore che, nei gorghi, l’esca tira.

Mimetizza i suoi vestiti coi colori dell’ambiente
che già noti, da lontano, la presenza appariscente.

Usa attrezzi ultramoderni, esche colorate, strane,
nel cestino porta-pesci, non ci trovi neanche rane.

Ogni quattro lanci a vuoto cambia amo, filo, esca,
ogni tre, cambi, consulta, il prontuario della pesca.

Alla sera, stradeluso, pianta tutto e scappa via,
anche questa volta niente:pescherà, alla pescheria.

07 luglio 2008

Peoci maridà co le vongole

Par quatro che magna

-2 chili de peoci e 2 chili de vongole “veraci”;
-4 spighi de ajo e 1 zeola;
-ojo stravergine de oliva;
-pevaronzin rosso in pòlvare o pévaro, secondo i gusti;
-almanco on litro de vin proseco fresco assè;

Se fa cussì:

1-Métare in purga le vongole in aqua freda par na note;
2-La matina drio, fare on desfrito co l’ajo ( ricordeve de cavarlo, dopo) e la zeola tajà fina,doparando na pignata che possa tegnere tute le cape;
3-Netàre par ben i peoci e resentare le vongole;
4-Butare in pignata peoci e vongole, zontandoghe ½ goto de proseco,spolvarare col pevaronzin, incuerciare a assare sarà par 15 minuti: le cape le se verzarà come par incanto !
5-Cavàre el bendedio dala pignata e magnare tuto. Chi che se ne intende insupa del pan biscotosol brodeto de cotura: na fola…
6-El resto del proseco va bevù, se intende: meza onbra ogni tanto