16 settembre 2023

Questa estate, spiaggia libera!

 


La creatura che tolleriamo al nostro fianco solo perché ha delle anatomie sollazzevoli ci sveglia alle sei. Invece di abbatterla con un cazzotto, come prima reazione istintiva, ci produciamo con un immenso sforzo, in un tanto melenso quanto falso:

 - Sì, amore -

Con ben tre ore di sonno addosso ci laviamo i denti col rasoio e pisciamo nell'armadio a muro. La morosa ci ridirige a ceffoni. Carichiamo zaini da trekking con creme presole, post sole, costumi di ricambio, frutta, panini, acqua, spray antizanzare, thermos, asciugamani, ombrellone e con 35 chili di stronzate inutili usciamo di casa. Il sole non è ancora sorto. 

Montiamo sull'ignobile cesso che la morosa voleva comprassimo, uno scooter a due posti che costa come un battaglione di ciao ed esiste solo nel nord Italia. "Praticissimo nel traffico" per due mesi l'anno, il resto è un inferno di intemperie, gelo e raffreddori. Solo il tre febbraio, mentre ogni minimo spiffero nella tuta è una lama d'orrore che ti criogenizza la pelle, comprendi quanto l'acquisto sia stato scaltro.

Si parte.

Attraversi strade deserte, sorpassi pezzi di motociclisti che i pompieri stanno ancora ricostruendo a bordo strada ascoltando in cuffia la musica di Tetris dopo che i centauri, esaltati dal rettilineo, hanno sfiorato i 200 prima di essere proiettati nella troposfera dai dissuasori. 

Arrivi, parcheggi. Togli l'abbigliamento da astronauta necessario a pilotare il cesso, indossi le infradito e arranchi nella sabbia. Ti accampi vista mare che il sole fa capolino. Tutto ciò che vuoi è rimetterti a dormire per dimenticare in quanti modi la vita riesce a violentarti, ma la ciccina di fianco flauta

 - No, tesoro, prima devi metterti la crema che ti scotti -. Ti lubrifichi come un bodybuilder.

 - Ora la metteresti a me? -

A quanto pare la tua ragazza è tetraplegica. Ti alzi. Per farlo sollevi un inspiegabile vortice di sabbia che ti si incolla addosso grazie alla crema precedentemente disposta. Oltrepassi la soglia della disperazione e vuoi solo dormire. Ti giri. Il tuo asciugamano si é ricoperto di sabbia, lo sbatti e il vento ti spalma addosso mezzo litorale. Provi a riposizionarlo. Arriva attorcigliato. Riprovi. È un origami di un cigno. Riprovi. E' padre Pio. Al quinto tentativo vorresti solo cacarci dentro e incendiarlo, ma la morosa si alza e ti aiuta deridendoti. Sei già sudato come una bestia. Crema solare, sudore e sabbia si mescolano ai tuoi peli ascellari creando una poltiglia abrasiva che ti scortica la pelle. Ti distendi. Chiudi gli occhi.

- Bagnetto! -  squittisce la femmina 

- Bagnetto! Bagnettobagnettobagnetto! -

Valuti se stordirla con un calcio a girare, ma rinunzi. Attraversi decine di metri di spiaggia arroventata saltellando come un orango, dopo sette secondi il dolore ti fa sballare e salti a pié pari sul bagnasciuga, atterrando sulla striscia di conchiglie non ancora abbastanza tritate che ti trafiggono le piante dei piedi. In una credibile interpretazione del lago degli ippopotami avanzi tra granchi morti, bottiglie di plastica, rifiuti d'ogni sorta, legno e colonie di tetano. Ridotto come eretico passato per la santa inquisizione entri in acqua. Lo sbalzo termico si fa via via piú orrendo fino ad arrivare ai testicoli, ove milioni di spermatozoi entrano in sonno criogenico.

- Allora, che aspetti? - 

Trilla lei, sguazzando felice - Hahaha! Non mi dirai che è fredda! Dai, buttati! -

Trattieni il fiato e salti in avanti. Il corpo si libera dal putridume oleoso per infilarti in un banco di alghe da cui emergi uso cecchino vietnamita. Sguazzi e il refrigerio ti fa star bene. Galleggi, chiudi gli occhi. Il benessere viene interrotto dalle grida stridule di lei-

 - MEDUSA! ODDIO CHE SCHIFO, UNA... NO, DUE... TRE! QUATTRO! Sono dappertutto! Portami a riva, ti prego! -

Ti carichi sulle spalle la poverina e attraversi un branco di meduse che ti ustionano caviglie, polpacci, pancia. Riattraversi l'inferno di magma sabbioso e la riporti sana e salva alla sua settimana enigmistica. Ti distendi. Chiudi gli occhi. Nell'aria risuona il grido di guerra del popolo: 

- DEEEEEEEENIIIIIIS - È pronunciato dal capo urukai, un'obesa quarantenne simile al gabibbo la cui massima aspirazione è apparire tra il pubblico di Uomini e donne. Sbraita il nome del suo putto. Guardi. Denis è un ragazzino di dieci anni che corre con un pallone.

- DEEEEEEEENIIIIIIIIS - ripete la femmina urlante - DEEEEEEEENIIIIIIIS -

Deve urlare il nome di suo figlio, deve emettere il nome stile radiofaro aeronautico, che va a mescolarsi ai vari LUCAAAAAA, MARCOOOOOO, CARLOTTAAAAAA creando una pregevole cacofonia uditiva.

Dalle retrovie appare il popolo della spiaggia. Famiglia cicciomostra con torma di cani che si avventano contro la torma dei cani di un'altra famiglia in un crescendo di ululati, guaiti, ringhi e latrati a cui si sommano le urla dei padroni che tentano di trattenere le bestie dal massacrarsi, ma è complesso giacché le mani sono occupate da mercanzie, neonati e ombrelloni.

- DEEEEEEEEENIIIIIIIS - procede la krapfendonna - DEEEEEENIIIIIIS -

Ti passano davanti tanga, topless e silicone in tutti i formati. Le guardi per un secondo di troppo e la tua dolce metà sibila

  -Ah! E' così che ti piacciono? -

Valuti se sopprimerla, poi passi i successivi venti minuti a sproloquiare cazzate a cui non crede neanche lei ma che quietano il bagaglio di insicurezze che si porta dietro.

- DEEEEEEEENIIIIIIIS - grida il parabordi umano - DEEEEEEEEENIIIIIIIIS -

Una vecchia si toglie il vestito e non capisci se ha il reggiseno o le ginocchiere. Arrivano in successione: massaggiatori cinesi, venditori romeni, venditori africani, zingari elemosinanti, sei cani che ti annusano e uno che tenta di pisciarti sullo zaino tra le risate estasiate dei padroni. Quest'anno il telegiornale ha già segnalato nei vari servizi  una  crescita esponenziale di furti in spiaggia seguita da accoltellamenti seriali di vigili, bagnini, gestori e stewart che cercano di allontanare gli abusivi, quindi per fare il bagno tocca fare a turno o al ritorno non trovi neanche la sabbia.

Inizi tu. L'acqua ora è tiepida, grazie alle vesciche di tutti i presenti. Chiedi permesso e ti fai spazio per raggiungere un fondale accettabile, oltrepassi la barriera di materassini galleggianti a forma di orca, coccodrillo, banana, papera. Schivi il canneto di boccagli da cui eruttano scatarrate e sei finalmente libero. T'immergi, chiudi gli occhi, riemergi.

Gorgogliando bestemmie ritorni a riva e percorri il litorale in cerca della tua dolce metà facendoti largo. Ti sfiorano discorsi su Berlusconi, immigrazione, reddito di cittadinanza, uscita dall'euro, Travaglio, Guzzanti, Beppe in Internet ha detto che. Fendi orde di rabdomanti che agitano al Dio sole iPad, iPhone, tablet e portatili supplicando un segnale wifi decente con cui postare sui social le foto delle loro gambe. Calpesti un castello di sabbia. Il dolore è assoluto e totale. Guardi. C'era un pezzo di cemento armato dentro.

- DEEEEEEENIIIIIIIS -

Ponderando l'idea che tutto sommato Unabomber aveva le sue ragioni, raggiungi la partner semi ustionata all'ora di pranzo. Dopo aver sbranato le provviste ti metti in coda per un caffè al baracchino.

- Quant'é due caffé?- 

- Dieci euro! -

Scontrino pre-battuto di un euro. Alzi gli occhi, c'è il logo della Lega tra le bottiglie di Aperol. Accerchiato da cani urlanti, bambini schizoidi e genitori isterici sorseggi il tuo goccio di lava, fumi la sigaretta e torni al tuo posto, trovandolo occupato da un gruppo di vecchi che ha costruito una specie di tenda da tornei medioevali. Noti solo in quel momento che dalla sabbia spunta una siringa intramuscolo senza ago.

- Sai . . . - inizia pacata la tua ragazza  - Forse non mi piace tanto, la spiaggia libera -

Rimanete immobili, consapevoli che quando una donna osa ammettere la remota possibilità di errore un vostro qualsiasi movimento facciale la farebbe esplodere come Semtex.

- Perchéééééé . . . ?- 

Domandate, candidamente melliflui. Una madre appoggia il neonato su un tavolino del bar e schiude il pannolino, rivelando uno tsunami di merda.

-Bè, c'è un po' troppa gente -

- Diciiiiiii . . .? -

Un tizio finisce la sigaretta e getta il mozzicone sulle mattonelle. La spegne col piede scalzo. Lancia un urlo e saltella tenendosi il piede. E' così facile riconoscere gli elettori di Beppe, qui.

- Cioè, alla fine abbiamo risparmiato cinquanta euro di ombrellone -

Annuite. In effetti l'anno scorso stavate in una spiaggia semideserta con un'amica di nome Maria e la giornata è finita a fare l’amore sbronzi tra le dune con falò e dormita in tenda. Perché ripetere l'errore? dai, in spiaggia privata ci vanno solo gli snob. In coda al ritorno ascoltate senza fiatare i motivi per cui lei ha scelto di venire qui, meglio comunque della vostra decisione di spendere anche folli somme per uno sdraio e un ombrellone.

- Ma per curiosità....!? - osate  - La Maria dov'è andata? -

Litigata di gelosia fino a casa.

Ciao Professore

 


A ricordare la scomparsa del professor Claudio Rapezzi, già direttore della Cardiologia del Policlinico Sant'Orsola -Malpighi di Bologna e professore Unibo e Uni Fe


Il saluto dei colleghi.


Claudio

Tra le voci che girano attorno a un genio prima o poi arriva quella che sia morto. E’ ovviamente una notizia infondata. Certe persone non muoiono mai, o meglio, non lo fanno nel senso che crediamo.

Claudio Rapezzi ha abbracciato tutta la cardiologia, iniziando con i piccoli cardiopatici congeniti per finire con adulti dal cuore troppo grande, per geni sbagliati e scorie del tempo. Poteva dissertare di dislipidemie, cardiomiopatie, coronarie e aritmie senza apparente fatica. Sollevava allo stesso modo uno stetoscopio e una Tac. Guardando per pochi secondi un elettrocardiogramma, Rapezzi poteva scrivere la cartella clinica di un malato mai visto, dalla diagnosi alla prognosi (avrà mai guardato il proprio Ecg?).

Chi di noi ha avuto il privilegio di conoscerlo ha provato i momenti Rapezzi. Sono quegli attimi in cui tu sei seduto davanti a un uomo che racconta diapositive. Ti accorgi subito che non è semplicemente bravo: c’è qualcosa di soprannaturale in quella capacità di sintesi, nelle associazioni fulminanti, nei lampi di intelligenza verticale e di affilatissima ironia. E’ in quei momenti che provi ad accendere tutti i neuroni specchio che hai, e per un attimo ti illudi che funzioni. Mai però quanto vorresti, e tra l’ammirazione serpeggia un filo di invidia, quasi rabbia impotente. Per dirla col tennis, Rapezzi era ingiocabile. Per questo è un Maestro, ti fa godere e ti ispira, vicino e inarrivabile.

Tutte le morti sono premature, alcune più di altre. Claudio Rapezzi era curioso e impertinente come un bambino e aveva accumulato una mole enorme di pubblicazioni e conferenze senza uscire dall’incubatrice. Da quella grande casa di vetro Il piccolo Claudio continua a gridarci di essere curiosi come lui, come deve esserlo un buon dottore.

Un altro malizioso pettegolezzo su Claudio era che non avesse figli, anche questo infondato. Infatti, c’è in giro per il mondo una sua progenie di cardiologi, dall’epigono inconsapevole all’ingenuo scimmiottatore, passando per allievi indebitati fino al collo, felici. Lui lo sapeva. Per questo era molto gentile con chi, al termine delle sue presentazioni, gli chiedeva le diapositive. Nella generosità di quel gesto seminale, provava la tenerezza di un Federer che regala la racchetta a un bambino.

La peggior disgrazia che possa capitare a un genio è quella di essere compreso. E’ forse per questo che Il professor Rapezzi ha speso gli ultimi suoi anni accademici non a Bologna, ma presso l’università di Ferrara (con tutto il rispetto per la città di Bassani, Antonioni e tanta brava gente studiosa e operosa).

Si dice addirittura che Claudio fosse appena andato in pensione. Che parola brutta e irriguardosa. Non si va in pensione, semplicemente si smette di giocare per i punti. Federer l’ha appena fatto, salutando la carriera e tutti noi in doppio con Nadal. Perché allora Rapezzi non ci ha chiamato? Avremmo potuto tirare slice e slide e poi finire a piangere dopo la partita, senza nemmeno troppo coprirci con un asciugamano, senza vergognarci, proprio come fanno i bambini quando la mamma li chiama in casa che sta facendo buio.

Sai Claudio, crediamo di sapere dove ti sei nascosto. Sei in quello sgabuzzino del settimo piano del padiglione 21, la cardiologia del professor Bruno Magnani. Abbiamo ragione di credere che tu sia chiuso lì dentro con Gabriele Cristiani per fare la diapo perfetta. L’ultima. Fai pure con calma e quando hai finito mandacela per favore. La nasconderemo tra le nostre mostrandola alla prima occasione.

15 settembre 2023

L'ULTIMO RE

 

Il ricordo che oggi rimane di Umberto II, il "re di maggio" ultimo sovrano d'Italia, è offuscato dal complesso periodo storico in cui visse ed intriso di profonde malinconie.

Descritto come il migliore fra i Savoia re d'Italia, Umberto non ebbe mai il tempo per divenire protagonista della storia e pagò per tutti le colpe della sua dinastia, su tutte quelle del padre, Vittorio Emanuele III, che nei suoi riguardi nutrì sempre sentimenti contrastanti, tra l'ammirazione per la sua popolarità e la totale sfiducia, cedendogli il trono solamente quando non si poteva fare altrimenti, tragicamente tardi per poter salvare la monarchia.

Eppure, se al referendum del 2 giugno 1946 la repubblica vinse solo con una sottile maggioranza, per un risultato di gran lunga superiore alle previsioni del sovrano, Umberto dovette evidentemente avere qualche merito. Si deve poi considerare l'emotività di quel voto, a guerra appena conclusa, quando nella coscienza popolare erano ancora ben impressi gli errori di Vittorio Emanuele, vale a dire la fuga da Roma e l'incapacità di opporsi al regime di Benito Mussolini.

Quasi tutti erano concordi nel ritenere Umberto migliore di suo padre; Montanelli votò per tale ragione a favore della monarchia, conoscendo di persona il sovrano e provando nei suoi confronti una stima sincera, ma soprattutto si schierò nel referendum a favore di quell'istituzione che aveva creato l'Italia; De Gasperi, infine, considerava Umberto una bravissima persona.

Amabile, elegante nei modi, rispettoso e ligio al proprio dovere, il "re gentiluomo" mise sempre da parte i propri interessi personali a favore del bene del nostro paese, preferendo la triste via dell'esilio in Portogallo, dove visse dal 1946 sino alla morte, avvenuta nel 1983, piuttosto di un'inutile guerra civile che avrebbe causato ulteriori danni a seguito degli eventi già così drammatici del secondo grande conflitto mondiale. Questa decisione non scontata, che aprì ad un periodo di pace e di ricrescita, non va dimenticata.

La partenza da Roma, a seguito dei risultati del referendum istituzionale, avvenne in un'atmosfera surreale, sotto un cielo grigio che minacciava temporale.

Era il pomeriggio del 13 giugno 1946 e l'immagine affascinante del principe ereditario che aveva rapito il cuore di ogni giovane donna lasciava spazio ad un re segnato dal fardello della storia e dalle decisioni così difficili da prendere in quei pochi giorni di fine primavera, momenti che segnavano l'epilogo di una lunga pagina di storia nazionale, ma se si vuole anche di novecento anni di dinastia. Come doveva essere difficile accettare un così amaro destino mentre all'aeroporto di Ciampino un aereo lo attendeva per raggiungere Lisbona. Umberto indossava un dimesso abito grigio con la cravatta nera a lutto dell'Italia, che porterà durante tutto l'esilio. Con il volto segnato dalle rughe, il viso pallido e tirato, riuscì ad abbozzare un sorriso poco prima di partire per un viaggio che non lo avrebbe mai più riportato nell'amata patria.

Umberto nacque la sera del 15 settembre 1904 nel castello di Racconigi, un borgo contadino a metà strada fra Torino e Cuneo, nel periodo della cosiddetta "età giolittiana", quando il protagonista della politica italiana era il piemontese Giovanni Giolitti.

Mite, dolce e sensibile, il futuro sovrano fu costretto alla ferrea disciplina militare impartitagli a villa Savoia da numerosi precettori per volontà di Vittorio Emanuele, che si pose sempre nei confronti del figlio non come padre, bensì come re, con severità e distacco.

Del rapporto tra Umberto e suo padre durante l'infanzia rimane solo una foto, probabilmente la più affettuosa, che ritrae un attimo di tranquillità familiare, sebbene Vittorio Emanuele non nascondi sotto il cappello un'espressione tesa e quasi insofferente a causa di quella posa forzata. Un'intervista del periodo dell'esilio ci narra di quei ricordi legati alla giovinezza.

La madre Elena del Montenegro, da cui prese le morbide fattezze, gli occhi neri e l'altezza, ma soprattutto la bontà e un profondo spirito di sacrificio, era invece una figura rasserenante e comprensiva, capace di donare al primogenito l'amorevolezza e la dolcezza di cui aveva bisogno. Ella aveva adottato gli stessi modi semplici anche nel suo ruolo di regina, al contrario di quelli solenni di Margherita di Savoia, moglie di Umberto I

Galante e raffinato, vestito sempre in modo impeccabile e alla moda, i capelli scuri ben pettinati, la barba rasa perfettamente per evidenziare i dolci lineamenti, Umberto era un uomo che incarnava lo speranzoso futuro di una nazione, mentre Vittorio Emanuele era ormai un vecchio re sfiduciato e oppresso sin da ragazzo da complessi di inferiorità dovuti alla sua statura, condizionata dall'unione tra Umberto I e la regina Margherita, cugini di primo grado.

La popolarità del figlio era forse invidiata dal padre, orgoglioso e testardo al punto da tenere sino all'ultimo il potere come a voler dimostrare che solamente lui era in grado di governare, anche quando all'estero si faceva ormai maggiore affidamento su Umberto piuttosto che sul sovrano.

Vittorio Emanuele non si curava di quello che si diceva su di lui e sulla sua famiglia, fermo nella convinzione che "in casa Savoia, si regna uno alla volta". Cinico sino a disprezzare tutti, dubbioso sulle capacità politiche del figlio, il re non gradiva nemmeno l'attivismo politico della nuora Maria José, donna di cultura in contatto con i politici e gli intellettuali antifascisti.

Umberto e la principessa Maria José del Belgio si sposarono l'8 gennaio dell'anno 1930 nella cappella Paolina del Quirinale, in una vera e propria sontuosa cerimonia regale alla quale partecipò buona parte dell'aristocrazia internazionale, tra cui, oltre ai membri di casa Savoia e del ramo cadetto Aosta, il re Alberto I del Belgio con la famiglia della sposa al completo, a cominciare dal futuro Leopoldo III come testimone di sua sorella Maria José; vi erano poi re Boris di Bulgaria che poco dopo sposerà una sorella di Umberto, le sorelle della regina Elena, infine il duca di York, che nel 1936 salirà al trono inglese con il nome di Giorgio VI. I coniugi, al termine della funzione religiosa, furono ricevuti in Vaticano da papa Pio XI, segnale di una progressiva riconciliazione fra l'Italia e il Vaticano ad un anno dai Patti Lateranensi. La visita riempì di gioia il principe Umberto, molto credente a differenza di suo padre.

Umberto, la cui infanzia era stata repressa nel rigore militare e nella severa educazione, visse il matrimonio come un'imposizione che ostacolava il suo complesso percorso di crescita e di ricerca di una propria dimensione. Come detto però, i due coniugi apparirono sempre uniti agli occhi del popolo ed insieme ebbero tre figlie femmine e l'erede maschio Vittorio Emanuele.

Il regno di Umberto non è da considerarsi solamente nel breve periodo, poco più di un mese, intercorso fra l'abdicazione di Vittorio Emanuele III, avvenuta il 9 maggio del 1946, sino alla partenza per l'esilio il 13 giugno successivo, dunque come l'ultimo dei Savoia o come una sorta di Luigi XVI finito, anziché sulla ghigliottina, lontano dalla patria in completa solitudine. Bisogna invece porre l'attenzione ai due anni che seguono la decisione del padre di cedergli i poteri come Luogotenente del regno, ma anche al suo ruolo di principe ereditario.
Interessante è analizzare, oltre a capire se vi fu veramente, il sentimento di antifascismo da parte di Umberto, certamente distante nei modi e nell'ideologia dal duce, ma allo stesso tempo impossibilitato a prendere posizioni nettamente in opposizione al padre, il quale, sebbene controvoglia, aveva avvallato il regime e accettato la diarchia.
Umberto, che non aveva mai nutrito entusiasmo per il fascismo, sembrò adeguarsi come la maggior parte degli italiani e degli uomini di potere a quello che si rivelò la rovina del paese; chiaramente bisogna tenere però in considerazione la sua posizione di rilievo, che gli avrebbe permesso di opporsi, ed in questo caso la mancata azione concreta risalta con maggiore evidenza.
Come sempre Umberto fu vittima di quell'assoluto rispetto per suo padre, al quale doveva obbedienza non solo come genitore ma anche come re, che per tutta la vita non gli permise di compiere delle scelte. La volontà da parte di Vittorio Emanuele di tenere lontano il figlio dalla vicende politiche è inoltre interpretabile, oltre che come una mancanza di fiducia, come la scelta di non coinvolgere la monarchia in un rapporto troppo stretto con il regime, distinguendo quindi la propria posizione politica, ormai compromessa, da quella dell'erede.

Non riuscendo ad imporsi e a prendere convinte decisioni, Vittorio Emanuele vedrà concludersi il proprio regno nel peggiore dei modi, consapevole di non essere stato in grado di evitare al paese le atrocità della guerra, di essersi arreso con troppa facilità alla follia dei due dittatori. Assisterà da lontano, costretto all'esilio, alla fine del regno sabaudo.

Quando ormai era troppo tardi, il 25 luglio 1943, a conflitto ormai perso e a seguito del bombardamento di San Lorenzo, il re, ricordandosi dei sui poteri, fece arrestare Mussolini, affidando il ruolo di capo del governo al maresciallo dell'esercito Pietro Badoglio.

L'8 settembre venne firmato l'armistizio, con il re che a questo punto rischiava di finire catturato dai tedeschi. Si decise allora per la fuga, un gesto certamente non oneroso che lasciava la capitale al proprio destino, nella più assoluta anarchia. Il monarca, nell'estremo tentativo di dare continuità allo Stato e difendere gli ideali unitari, decise di trasferirsi al sud, in territorio non invaso da tedeschi o Alleati, temendo per l'incolumità della famiglia reale e al fine di evitare che il paese fosse rappresentato unicamente dalla mussoliniana repubblica di Salò.

L'ultima sera prima della partenza, al Quirinale, in una situazione irreale, vi erano solamente Vittorio Emanuele, la regina Elena e loro figlio Umberto, che obbedì a suo padre pur essendo intenzionato a restare a Roma. In cuor suo il principe si sentiva in dovere di rimanere nella capitale, difendendola anche a costo della vita. Il coraggio non gli mancava, ma era incapace di disobbedire. La madre lo supplicò di partire, Vittorio Emanuele glielo ordinò. Forse quel gesto avrebbe avuto, qualche anno più tardi, la sua ricompensa.

Ancora una volta Umberto dovette sottomettersi alla volontà di Vittorio Emanuele, non essendo il suo momento per regnare. Eppure quella notte fece di tutto per seguire le proprie convinzioni, continuando, anche mentre le automobili lasciavano Roma verso Pescara, a supplicare inutilmente il padre, finendo per essere rimproverato duramente anche da Badoglio. Rassegnato, quasi in lacrime, Umberto ripeteva: "Mio Dio, che figura!". Nemmeno a distanza di molti anni, durante l'esilio, si permise però di parlare male del padre e della sua scelta.

A seguito della liberazione di Roma, dopo che Vittorio Emanuele aveva firmato l'atto di luogotenenza col quale trasferiva i poteri al figlio, Umberto poté finalmente fare ritorno nella capitale.

Ufficialmente sul trono vi era ancora Vittorio Emanuele, ostinato a mantenere il potere proprio fino alla fine, incapace di farsi da parte nonostante durante la giovinezza avesse cercato di evitare di dover assumere quel ruolo, per poi farsi carico di ogni responsabilità con il regicidio di suo padre.

Nella posizione che occupava, Umberto era ancora molto legato all'obbedienza e impossibilitato a muoversi liberamente e con decisione, tuttavia il suo atteggiamento nei due anni di luogotenenza dimostrò una spiccata intelligenza, ponendosi in ascolto di ogni diversa visione e con spirito di collaborazione, favorendo le condizioni di pace ad un paese che nel 1944-45 di tutto aveva bisogno fuorché ulteriori scontri.

Significativo fu il suo primo atto politico, avvenuto quando Badoglio diede le dimissioni. Umberto provò ad affidargli nuovamente l'incarico di formare un nuovo governo, trovando però un clima di sfiducia da parte dei partiti di sinistra, che vedevano nel maresciallo un rappresentante del passato.

Umberto sapeva che la riconferma di Badoglio avrebbe trovato il sostegno, a livello internazionale, del Primo ministro britannico Winston Churchill, conservatore puro e quindi difensore della monarchia, allo stesso tempo era però a conoscenza dell'unanimità dei partiti antifascisti nel ritenere opportuno un radicale cambiamento. Decise così di affidare l'incarico a Ivanoe Bonomi.

Ulteriore segnale di distacco dal passato fu la nomina del marchese Falcone Lucifero a ministro della Real Casa, un uomo che era stato vicino a Matteotti e che si allontanò dalla politica con l'ascesa del fascismo.

Quando si era ormai in prossimità del referendum istituzionale, nel pomeriggio del 9 maggio 1946, Vittorio Emanuele III si decise ad abdicare in favore del figlio, cercando vanamente di salvare la monarchia.

La cerimonia, che si svolse presso villa Maria Pia a Posillipo, fu breve e triste, intrisa di malinconia e profondi rimpianti, con l'anziano sovrano che appariva sereno, sforzandosi però nel trattenere una forte commozione evidenziata dal tono della voce con cui leggeva la formula di abdicazione. Vittorio Emanuele e la moglie Elena si preparavano a partire per l'esilio in Egitto, ospiti di re Faruk; Umberto diventava, tardivamente, re d'Italia.

Umberto si recava così a visitare diverse città italiane, da solo, senza la moglie che ancor meno di lui credeva in una vittoria al referendum. Al sud veniva accolto con entusiasmo e calore, da folle che lo acclamavano sentendosi ancora legate alla dinastia e in particolare alla sua persona. Al nord era insultato, coperto di ingiurie e provocazioni, tuttavia il sovrano non perse mai la calma e la sua infinita compostezza. Appariva però stanco e prostrato dalla tensione, precocemente invecchiato. Fu un gentiluomo sfortunato che pagò colpe non sue, assistendo inevitabilmente, il 2 giugno, alla più dolorosa delle sconfitte.

Il suo merito più grande fu quello di accettare con correttezza e signorilità il risultato, contribuendo a scongiurare disordini, scontri e una possibile guerra civile, non ascoltando chi gli consigliava di recarsi a Napoli dove la monarchia era forte.

L'esito della votazione si rivelò superiore alle aspettative, con il paese diviso nettamente in due, il nord repubblicano, che ottenne 12.717.923 voti, contro il sud monarchico fermo a 10.719.284. Inizialmente sembrò addirittura che avesse vinto la monarchia, sino a quando non arrivarono, copiosi, i voti delle regioni del nord Italia. Si parlò di brogli, di possibili falsificazioni, ed ancora oggi i dubbi sulla correttezza di quel verdetto non sono risolti, ma Umberto non sollevò alcuna polemica, lasciando il paese senza proteste.

Cominciò così il lungo esilio in Portogallo, presso villa Italia a Cascais, dove trascorreva molto tempo sulla spiaggia, contemplando l'Atlantico, in preda a insanabili nostalgie. Nel suo testamento espresse la volontà di donare la reliquia della Sacra Sindone, di proprietà di casa Savoia, al pontefice.

Si spense il 18 marzo 1983 in un ospedale di Ginevra a seguito di una lunghissima agonia, sussurrando negli ultimi istanti, all'infermiera che gli teneva la mano, la parola "Italia".