Le
uniformi contraddistinguono una forza armata e la caratterizzano:
l'uniforme è legata al compito che gli è stato affidato,
all'organizzazione, alla situazione in cui viene usata, alla
disciplina e alla mentalità del tempo. Viene influenzata dal clima e
ne conseguono tenute estive e tenute invernali, l'ambiente la
differenzia adattandola a quelli artici e alle zone tropicali e varia
seguendo l'evoluzione degli armamenti. Verso la fine del
milleottocento avvenne una forte spinta evolutiva nelle armi, con i
fucili a ripetizione che univano alla rapidità del tiro, maggiore
potenza e precisione, con le mitragliatrici capaci di sviluppare
un'azione intensa e micidiale per rapidità di tiro e per estensione
di bersaglio e e con l'aumento della potenza distruttiva e della
gittata delle artiglierie ma, ancor più importante, con la scoperta
delle polveri senza fumo, balistite e cordite, che non provocavano le
dense cortine fumogene, tipiche della polvere nera, nelle esplosioni.
Tali innovazioni portarono al superamento delle tattiche di
combattimento fino ad allora usate e sui campi di battaglia non si
mandarono più avanti le formazioni compatte, ma si impiegarono le
unità in formazioni libere. Il nuovo modo di fare la guerra indusse
a rendere meno visibili i singoli soldati e, ai vertici dei vari
eserciti, si cominciò a considerare la necessità di modificare le
uniformi fino ad allora in uso, passando dalle troppo evidenti divise
sui campi di battaglia sgombri dalle dense cortine di fumo, a delle
uniformi mimetiche, meno individuabili nell'ambiente. Il primo ad
adottare una uniforme cromaticamente inserita nell'ambiente fu
l'Esercito Russo, a seguito delle forti perdite subite nella guerra
con l'Impero Giapponese del 1904/05 a causa delle vistose divise sul
terreno sgombro da cortine fumogene. All'inizio del novecento la
divisa in uso nell'Esercito Italiano, benché regolamentata dalla
riforma del 1871, conservava ancora molte delle caratteristiche
introdotte alla sua nascita nel 1861, tutte le armi del giovane
Esercito Sabaudo, sia quelle a piedi, che quelle a cavallo e quelle
tecniche, risentivano ancora delle tradizioni dall'Armata Sarda e in
modo particolare nell'abbigliamento, in molti casi caratteristico e
appariscente. Ai cambiamenti in atto negli eserciti europei si
interessò un civile, il presidente del Club Alpino Italiano, Luigi
Brioschi che propose, per le truppe Alpine, una uniforme con foggia
più funzionale e di colore tale da confondersi con l'ambiente
circostante. Brioschi sottopose delle uniformi, confezionate a sue
spese, al tenente colonnello Donato Enza, comandante del Battaglione
Alpino Morbegno e al comandante del 5° Reggimento Alpini, il
Colonnello Francesco Strazza, che interessati al progetto, le fecero
indossare agli alpini di un plotone della 45°compagnia al comando
del tenente Tullio Marchetti, che durante la grande guerra sarà a
capo dell'Ufficio Stampa della 1^Armata. Nelle prove di avvistamento
apparve chiaramente la difficoltà di individuazione del plotone e in
quelle di tiro risultò difficile distinguere e colpire, a 600 metri,
le sagome con quei nuovi colori. In seguito venne sensibilizzato il
Ministero della Guerra che valutò tale innovazione in occasione
delle manovre dell'esercito, confermandone la validità. Vinte anche
le resistenze degli ambienti militari più conservatori, si giunse
all'adozione della nuova uniforme con la circolare del Giornale
Militare Ufficiale n. 458 del 4 dicembre 1908, per fanteria, alpini,
bersaglieri e artiglieria e con la successiva circolare n.97 del 3
febbraio 1909 l'uniforme venne estesa anche alla cavalleria.
L'uniforme del Regio Esercito assunse la colorazione grigio-verde
nello stesso periodo in cui anche negli altri eserciti si procedeva
all'adozione di tenute di tipo mimetico, così avvenne nell'Esercito
Imperiale Tedesco (Kaiserreichsheer) che adottò il feldgrau, un
grigio chiaro verdognolo e nell'Esercito Imperiale Russo (Russkaja
imperatorskaja armija) che, dopo la guerra con il Giappone, sostituì
il vistoso bianco delle giubbe con il verde oliva. L'Esercito Inglese
(British Army) adottò il monocolore kaki per le uniformi nel 1905,
di seguito anche l'impero Austro-Ungarico scelse per il suo Esercito
(kaiserliche und königliche Armee) prima un grigio-azzurro
l'hechtgrau per sostituirlo, nella grande guerra, con il feldgrau.
Ultimo, dopo qualche anno, l' Esercito Francese (Armée de Terre) che
soltanto nel 1914 deciderà di introdurre il drap Blue Clair, poi
conosciuto come blue horizon.
Uniforme
di marcia e di campagna del Regio Esercito modello 1909
All’inizio
del 1900 l’Italia aveva un esercito di leva; il sevizio militare
era obbligatorio, durava tre anni ed era rivolto agli uomini, dai 19
ai 38 anni, abili nelle tre classi di leva. Per tutti i soldati del
Regio Esercito l'uniforme da guarnigione in uso era rimasta, senza
grandi modifiche, il modello 1871 che si componeva di una giubba
turchina, ampia e comoda, "ma in modo che si acconci con garbo
alla persona", ad un petto con colletto in piedi su cui erano
applicate le stellette a cinque punte, istituite con Regio Decreto
del 3 dicembre 1871, era chiusa da una bottoniera nascosta di cinque
bottoni, mentre i calzoni erano in tela più o meno chiara a seconda
delle armi.
L'armamento individuale consisteva nel fucile
Vetterli-Vitali modello 1870/87 mono colpo calibro 10,35 x 47 mm,
completo della lunga sciabola-baionetta innestabile. Il nuovo
regolamento dei capi di vestiario venne divulgato con la circolare n.
386 del 22 settembre 1909 e iniziò la graduale distribuzione
dell'uniforme grigio-verde definita Uniforme di marcia e di campagna
del Regio Esercito modello 1909. Sarà impiegata in combattimento,
corredata di elmetto coloniale, nel 1911 in Libia e l'esperienza
fatta nella guerra contro l'Impero Ottomano (1911-12), favorì la
successiva revisione dell'armamento e dotazioni dell'esercito. Il
cambio delle uniformi venne completato, dopo un periodo di
accavallamento fra vecchie e nuove uniformi, a partire dal 1913 e la
nuova tenuta era composta da una giubba ed un pantalone di panno
pesante grigio-verde, con piccole differenze se destinata ad armi a
piedi (fanteria, alcune specialità di artiglieria e genio) o armi a
cavallo (cavalleria, artiglieria e carabinieri). La giubba veniva
indossata sopra un gilet, sempre in panno grigio-verde, con collo a V
ad un petto e con due taschini, chiuso con una fila di cinque
bottoni, sotto al gilet era indossata la camicia con cravatta a
solino bianco.
Il corredo era completato dalla buffetteria che
comprendeva cinturino, giberne, bandoliera verniciati in grigio-verde
ed inoltre, una borraccia in legno mod.1907 Guglielminetti, un
tascapane in tela a tracolla e lo zaino dove era riposto il corredo
personale, detto il “bottino”. Al momento dell'intervento
italiano nella prima guerra mondiale, nel Regio Esercito l'uniforme
divenne, in linea generale, uguale per tutti i componenti; con la
stessa foggia veniva vestito, sia il Re che l'ultima recluta e tutti
portavano, anche se con diverse differenze tra ufficiali e truppa, lo
stesso berretto, la stessa giubba, gli stessi pantaloni, le stesse
fasce gambiere.
L'equipaggiamento
da truppa nella grande guerra
Nella
prima guerra mondiale il militare di truppa del Regio Esercito
indossava una uniforme grigio-verde modello 1909 per truppa che si
componeva di una giubba a un petto chiusa da bottoni in cartone
pressato, non aveva tasche e sul bavero in piedi erano cucite le
mostrine, introdotte con Decreto Ministeriale il 24 aprile 1902, di
forma rettangolare e completate da una stelletta a cinque punte. Le
spalle della giubba erano rinforzate e all'attaccatura delle maniche
portava cuciti gli spallini o salsicciotti che avevano lo scopo di
impedire agli spallacci dello zaino o alla cinghia del fucile di
scivolare. Sulla vita scendevano due spacchi laterali provvisti di
bottoni e nell'interno, foderato in tela di cotone, c'erano due
tasche chiuse a bottone destinate a contenere i pacchetti
medicazione. I pantaloni erano lunghi e stretti alla caviglia da due
laccetti, venivano ricoperti inferiormente dalle fasce mollettiere
avvolte fin sotto il ginocchio, per le armi a cavallo erano previsti
dei gambali in cuoio nero chiusi da cinghie. Le fasce mollettiere
servivano per proteggere polpacci e stinchi da urti e graffi, nonché
a evitare che l'acqua penetrasse all'interno degli scarponi. Venivano
indossate sopra al bordo superiore degli scarponi e avvolte intorno
alla gamba fin sotto al ginocchio ma presentavano alcuni problemi
pratici, nell'ambiente di trincea assorbivano acqua e si gonfiavano,
interferendo con la circolazione e, una volta asciutte, tendevano a
cadere. I piedi venivano avvolti nelle “pezze da piedi”, strisce
di stoffa utilizzate come delle calze e li tenevano freschi d’estate
e caldi d’inverno, la loro forma poteva essere quadrata o
triangolare di circa 40 cm di lato, se quadrate o di circa 75 cm, se
triangolari. Le pezze, oltre ad essere più economiche e semplici da
realizzare, si asciugavano più velocemente dei calzini ed erano più
resistenti all'usura, l'inconveniente maggiore consisteva nelle
eventuali pieghe che si formavano facilmente durante la marcia,
causando rapidamente vesciche o escoriazioni. Le calzature
consistevano in stivaletti modello 1912 con gambaletto alto, in cuoio
naturale scurito dall'ingrassaggio per impermeabilizzarli, avevano
suole chiodate con bullette a testa tonda, per le truppe alpine erano
più pesanti e con una chiodatura rinforzata. Il copricapo per tutti
i militari durante il servizio, ad esclusione dei Carabinieri che
avevano la lucerna, gli alpini che mantenevano il cappello con la
penna e i bersaglieri il piumetto, consisteva in un cappello in
feltro con visiera e sottogola chiamato per la forma, “cupolino”
o “scodellino”.
Il soldato, sulla linea del fronte, era obbligato
ad indossare l'elmetto metallico Adrian modello 1915 di acciaio con
spessore 0,7 mm che all'inizio del conflitto veniva importato, in via
sperimentale, dalla Francia e distribuito in numero limitato (6 per
compagnia). Dal 24 aprile 1916 verrà adottato e prodotto in Italia
assumendo la denominazione di “elmetto metallico modello 1916”,
si differenziava di poco dal francese ma era di acciaio più
scadente, venne distribuito in larga misura e, a partire dal 1917,
era completato con una foderina antiriflesso in tela grigia. Altri
elmetti furono introdotti, come il pesante elmo Farina in acciaio
dello spessore da 1,1 a 1,7 mm, ideato dall'Ing. Farina fu costruito
a Milano in due taglie: il peso della piccola era di circa 1850 gr,
contro i 2250-2400 gr. della grande ne esistevano varianti con
piastre verticali para-nuca e para-fronte arrotondate. L'arma
principale era il fucile Carcano modello 91, e l’alone leggendario
che lo avvolse lo fece diventare un simbolo del nostro esercito,
sostituì il fucile Vetterli-Vitali Modello 1870/87 e nacque nelle
Fabbriche di Armi dello Stato. Il Carcano modello 1891 lungo divenne
ufficialmente il fucile standard della fanteria italiana il 29 marzo
1892 (resterà in uso fino al 1945), in seguito furono adottati il
moschetto da cavalleria (15 luglio 1893) e la carabina T.S.(truppe
speciali, 6 gennaio 1900). L'arma prendeva il nome da Salvatore
Carcano della Fabbrica d'Armi di Torino che lo progettò in
collaborazione col generale Parravicino dell'Arsenale di Terni, era
una carabina con sistema di caricamento Mannlicher a pacchetto con
otturatore girevole-scorrevole, pesava 3,850 Kg ed era lungo 1280 mm,
il funzionamento era a ripetizione manuale con serbatoio a
pacchetto-caricatore con piastrina di 6 colpi calibro 6,5 x 52 mm. La
canna era lunga 780 mm, aveva la rigatura con andamento destrorso con
tacca di mira regolabile e mirino fisso ed era montata su un calcio
costituito da un monopezzo in noce, faggio o frassino. Il soldato
veniva dotato anche di una baionetta innestabile sul fucile, con
l'adozione del fucile mod. 1891, la lunga "sciabola-baionetta
modello 1870" d'epoca risorgimentale venne sostituita da una
nuova, ridisegnata e concepita per un uso più funzionale alla nuova
strategia di combattimento. La “Baionetta Modello 1891”, aveva
una lama lunga 30 cm e la guardia terminava, nella parte inferiore,
con l’anello di tenuta per l'innesto sul fucile, l'impugnatura
aveva guancette in legno lisce tenute in sede da due rivetti, la
lunghezza complessiva dell’arma non superava i 41 cm ed era riposta
in un fodero di cuoio nero con finimenti d'ottone appeso al cinturino
da truppa mod. 1891. Nel corso della guerra vennero prodotte delle
baionette "Ersatz", ovvero semplificate per economizzare le
materie prime e velocizzare la produzione, potevano essere
completamente metalliche, fuse in un sol pezzo, oppure formate da un
manico metallico tubolare sul quale erano innestate lame di recupero
dei vecchi fucili Vetterli. I sottufficiali di truppa avevano in
dotazione anche una pistola a rotazione: il Revolver Bodeo mod. 1889
tipo A da truppa 1^ serie priva di ponticello e con grilletto
ripiegabile, soprannominata per la forma “osso di prosciutto”,
veniva portata nella fondina fissata al cinturino o alla bandoliera.
La buffetteria per le armi a piedi, in cuoio verniciato in
grigio-verde e destinata a rendere possibile o più agevole portare
le armi e le munizioni, comprendeva un cinturino al quale venivano
appese due coppie di giberne mod.1907 che contenevano 16 caricatori
da 6 cartucce ed erano agganciate ad una bretella di sospensione per
sostenerle, per le armi a cavallo e l'artiglieria erano previste
bandoliere a tracolla con porta caricatori a quattro tasche. Sempre a
tracolla veniva portato anche un tascapane mod. 1907 in tela
impermeabilizzata grigia che conteneva: una pagnotta, un fazzoletto,
un paio di calze di lana, gallette e vari generi alimentari in
appositi sacchetti, una tazza di latta. Appesa al petto trovava posto
una scatola di latta che conteneva la maschera a protezione unica per
la difesa dai gas, sulla scatola c'era una scritta ammonitrice: “chi
si leva la maschera muore tenetela sempre con voi”. Il fronte
Italiano era prevalentemente montano e si estendeva anche ad alte
quote, ai reparti esposti a quei climi rigidi venivano dati in
dotazione, oltre ai cappotti e alle mantelline in uso normale per
l'inverno, pesanti pastrani in pelle di pecora con pelo rivolto
all'interno completi di guanti, passamontagna e voluminose sovra
calzature per combattere il freddo. La guerra in montagna portò al
diffondersi di indumenti che, oltre a difendere dai rigori delle alte
quote, potessero mascherare il soldato nell'ambiente innevato. Si
provvide all'introduzione, nel corredo dei reparti combattenti in
quota, di gabbani in tela bianca impermeabile con cappuccio, di
passamontagna in lana con viso coperto e guanti monchini a moffola in
lana pesante pettinata, di scarponi con gambali in tessuto
impermeabile e di ramponi da ghiaccio a sei e otto punte da applicare
alle suole. La diffusione di tute mimetiche bianche, chiamate
costumi, venne successivamente integrata da un equipaggiamento più
specifico, a seguito dell'organizzazione di corsi per “skiatori”
che avevano in dotazione sci lunghi circa due metri e larghi otto
centimetri, con attacchi Huitfeld e due bastoni in bambù.
L'equipaggiamento era completato dallo zaino mod.1907 in tela
impermeabile grigio-verde, con rinforzi in cuoio e metallo, che
conteneva gli accessori per la pulizia personale e dell'arma, le
razioni di cibo di emergenza e ulteriori caricatori, un quarto di
telo da tenda per uso individuale o in gruppo di quattro teli a
formare una tenda completa e, molto importante per ogni soldato, la
gavetta mod.1896, completa di gavettino, cucchiaio e coperchio, che
diventava il piatto. La gavetta degli alpini e dell'artiglieria da
montagna, mod. 1872, era più che doppia, il regolamento prevedeva
che in montagna un soldato portasse il rancio per due e quello
sgravato del peso della gavetta portava la legna da ardere. Il
vestiario comprendeva panciere, corsetti di lana, guanti, sciarpe,
una coperta individuale che, arrotolata, veniva fissata con cinghie
sopra allo zaino al cui fianco veniva appeso il picozzino-zappetta.
Dal 1916 venne fornita una vanghetta da sterro, in lamiera di
acciaio, nell'impugnatura sette tacche numerate distanti una
dall'altra 5 cm per misurare e verificare con immediatezza lo scavo
compiuto, l'attrezzo ben riuscito per l'uso per cui era stato
progettato, in trincea, per la sua compattezza, diventava un'arma
micidiale nei combattimenti corpo a corpo. A tutti i militari di
truppa veniva consegnato un piastrino di riconoscimento, un primo
tipo venne adottato con circolare n. 207 del 5 novembre 1892,
consisteva in una lamina di zinco rettangolare che veniva cucita
nella giubba e riportava i dati del militare scritti con inchiostro
zincografico indelebile. La circolare n. 299 del 22 maggio 1916
dispone un nuovo tipo di piastrino costituito da una sottile custodia
rettangolare di latta cromata apribile, da portare al collo, che
conteneva un documento cartaceo ripiegato dove erano annotati i dati
del militare e le vaccinazioni.
Gli
Ufficiali
Gli
ufficiali del Regio Esercito indossavano una uniforme da
combattimento in panno grigio-verde in osservanza alla circolare del
comando supremo n. 3338 del 10 settembre 1915, in sostituzione della
divisa in cordellino che li rendeva facilmente distinguibili dalla
truppa. La circolare stabiliva che la giubba degli ufficiali fosse la
stessa della truppa e priva di tasche, ma in seguito fu concesso di
applicare esternamente alla giubba da truppa quattro tasche e nel
tempo le varianti furono comunque numerose, poiché le uniformi degli
ufficiali erano spesso confezionate da sartorie private. La giubba da
ufficiale aveva un taglio simile a quella in cordellino, con quattro
tasche esterne, due all'altezza del petto e due ai fianchi, applicate
a toppa con soffietto e chiuse con bottone, sul retro era provvista
di una finta martingala cucita e di uno spacco centrale. Le spalle
erano guarnite con controspalline semi fisse, chiuse con bottone e
portavano un riquadro di tela nera con ricamato il numero della
compagnia di appartenenza. Sul bavero venivano applicate le mostrine
mentre i distintivi di grado, costituiti da stellette ricamate in
canutiglia, vennero spostati dalle spalline alla parte anteriore dei
paramani, al fine di rendere meno visibile il grado da ufficiale dai
cecchini austriaci. Sotto la giubba di solito veniva indossata una
camicia di cotone bianco con collarino sostituibile, i polsini erano
chiusi da gemelli.
L'ufficiale indossava pantaloni in panno, corti e
stretti sotto il ginocchio, la parte inferiore delle gambe era
avvolta con fasce mollettiere e calzava stivaletti mod. 1912 con
suola chiodata, in alternativa venivano indossati stivali o gambali,
verso la fine della guerra gli ufficiali vennero autorizzati ad
indossare, a somiglianza degli eserciti alleati, un cinturone di
cuoio marrone all'inglese “Sam Browne”. Ad ogni ufficiale veniva
consegnata una tessera personale di riconoscimento, il documento
conteneva i dati anagrafici, la fotografia, il grado e l'unità che
l'aveva rilasciata. In battaglia gli ufficiali non portavano più la
sciarpa azzurra, la cui origine è da attribuirsi al duca Emanuele
Filiberto di Savoia “Testa di Ferro” nel 1572, eliminando così
l'antica consuetudine di mostrare al nemico i colori del loro
signore. Il copricapo di servizio era il berretto a chepì, che
rimarrà in uso fino al 1933, ma in linea avevano l'obbligato di
indossare l'elmetto Adrian grigio-verde con fregio frontale. Il
corredo dell'ufficiale e gli effetti personali erano contenuti nella
cassa corredo, affidata alle cure dell'attendente, che seguiva
l'ufficiale sui mezzi di trasporto dell'unità di appartenenza. Nel
corso della guerra gli ufficiali conservarono inizialmente la
sciabola, opportunamente brunita e appesa al cinturone,
successivamente vennero armati, fino al grado di maggiore, con
moschetto e bandoliera a due giberne. L'arma d'ordinanza era una
pistola, assicurata al correggiolo di cuoio passante intorno al collo
e conservata nella fondina appesa al cinturone mod.1914 da ufficiale
in cuoio grigio-verde. con fibbia brunita recante in rilievo l'aquila
di casa Savoia. All'inizio del conflitto erano in dotazione già
diversi modelli di revolver, nel corso della guerra vennero
introdotti nuovi modelli di pistole semiautomatiche e automatiche:
-La
rivoltella a rotazione Chamelot-Delvigne, denominata ufficialmente
Pistola a rotazione modello 1874, di fabbricazione svizzera con
calibro 10,35 mm, che nel dicembre del 1886 Carlo Bodeo modificò.
rendendola più sicura e facilmente smontabile. Diventò
ufficialmente la Bodeo modello 1889 da ufficiale calibro 10,35 con
ponticello e fu l'arma d'ordinanza in dotazione a ufficiali, dagli
ultimi anni del'800 fino alla prima guerra mondiale.
-Il
revolver Tettoni o Arma di rincalzo del Regio Esercito modello 1916
calibro 10,35 mm, costruita in Spagna dalla Hermanos Orbea, era una
pistola massiccia chiamata la “sfondaelmetti”.
-La
Glisenti modello 1910 calibro 9 mm, fu la prima pistola
semiautomatica d’ordinanza del Regio Esercito, si dimostrò un'arma
eccellente e semplice da maneggiare, venne soprannominata la Luger
dei poveri.
-La
pistola automatica Beretta modello 1915, della Fabbrica d'Armi Pietro
Beretta, brevettata il 29 giugno 1915, fu subito adottata dal Regio
Esercito, prodotta prima con calibro Glisenti 7,65 mm, poi 9 mm nel
modello 1917, venne adottata anche dalla Regia Marina al posto della
pistola Brixia modello 1913.
Gli
Arditi
Dopo
la pesante sconfitta del Regio Esercito a Caporetto e la rovinosa
ritirata fino alla linea difensiva del Piave, emerse la necessità di
ridare morale alle file di un esercito meno coeso a seguito di quei
disastrosi avvenimenti. Nel 1917 vennero creati i Battaglioni
d'Assalto, mutuati dalle Sturmtruppen, le speciali truppe d'assalto
dell'Esercito Tedesco, "per cambiare l'organizzazione della
battaglia offensiva". La nascita dei battaglioni d'assalto
deriva dalle sperimentazioni fatte sul campo da brillanti ufficiali
italiani, stanchi della guerra di trincea. Vennero messe in pratica
nuove tecniche di combattimento e anche l’uniforme fu studiata in
modo da essere più funzionale e distintiva. I militari indossavano
una “giubba per arditi mod. 1917” confezionata per i reparti
d'assalto, derivata dalla giubba mod. 1910 per bersaglieri ciclisti
ma a collo risvoltato e aperto, per permettere una migliore aerazione
del corpo, che portava cucite le stellette e le fiamme distintive di
quei reparti. La giubba era provvista di contro spalline semi fisse
ed aveva due tasche a toppa sul petto, sul retro c'erano due spacchi
laterali provvisti di bottoni e una grande tasca alla cacciatora
ricavata in fondo alla falda. Sulle maniche, oltre ai gradi, era
cucito il distintivo della specialità, un gladio romano con ricamato
in lana nera il motto F.E.R.T. di casa Savoia e circondato da una
fronda d'alloro e una di quercia, sotto la giubba veniva indossato un
maglione di lana grigio-verde con collo alto a coste. I pantaloni
erano del tipo per truppe da montagna, ampi e terminanti sotto al
ginocchio, stretti da due fettucce, mentre la parte inferiore delle
gambe era protetta da calzettoni di lana grigio-verde. L'Ardito
calzava stivaletti da montagna in cuoio naturale con suola chiodata e
indossava un elmetto mod. 1916 d'acciaio ricoperto da una foderina in
tela. L'armamento individuale era costituito dal moschetto mod. 1891
T.S. o da cavalleria, completo di baionetta a spiedo, pieghevole,
fissata stabilmente all'estremità della canna.
L'arma più
caratteristica in dotazione era il pugnale, ricavato dall'estremità
della lama delle lunghe baionette mod. 1870 del fucile Vetterli,
accorciate perché troppo ingombranti per il tipo di guerra che
conducevano. Disponevano però anche di armi speciali come la Fiat
mod. 1915 Villar Perosa, la prima pistola mitragliatrice, progettata
nel 1914 dal capitano Abiel Bethel Revelli di Beaumont, che aveva
caratteristiche del tutto rivoluzionarie: univa infatti alla
micidiale cadenza di fuoco, il munizionamento per pistola e la
possibilità di essere trasportata a tracolla. Al cinturino da
truppa venivano agganciate una coppia di giberne contenenti 8
caricatori per il moschetto, sostenute da passanti semi fissi della
giubba, sempre a tracolla veniva portato il tascapane mod.1907
grigio-verde per contenere le bombe a mano che, se poco diffuse
all'inizio della guerra, subirono una crescente importanza per
diventare uno degli armamenti più usati dagli assaltatori. Le bombe
a mano si dividevano in due tipi, quelle difensive con effetto ad
ampio raggio per cui il lanciatore doveva ripararsi e quelle
offensive, che erano lanciate allo scoperto e anche di corsa, dato lo
scoppio immediato all'urto, ma con un effetto di minor raggio.
Dall'inizio del conflitto ne furono introdotti vari tipi, i più
diffusi tra gli Arditi erano: il petardo Thévenot2 e la bomba
Excelsior Thevenot P2 detta la ballerina di progettazione francese,
il Petardo Offensivo con innesco Olergon, la bomba lenticolare
Spaccamela e quella a frammentazione SIPE (Società Italiana Prodotti
esplosivi) di produzione Italiana, la granata Carbone, versione
italiana della Zeitzunder austriaca. Gli Arditi portavano a tracolla,
nella sacca di tela o nella scatola di latta, la maschera polivalente
Z a protezione unica modello 1917, che aveva la forma di un imbuto in
tela gommata, ricopriva interamente le guance e incorporava gli
occhiali in celluloide. La maschera conteneva 60 strati di garza
tampone imbevuta di sostanze neutralizzanti e aveva sostituito la
monovalente Ciamician-Pesci, introdotta all'inizio della guerra e
inefficace contro il gas fosgene che, usato dagli austro-ungarici
negli attacchi al monte S. Michele il 29 giugno 1916, provocò circa
6000 vittime. Nell'ultimo
anno di guerra vennero distribuite maschere antigas M2, di produzione
francese a 32 strati di garza tampone imbevute di ricinato di ricino,
contro fosgene, cloro e acido cianidrico, arrivarono anche le più
efficienti SBR (small box respirator) inglesi in tela e gomma
sintetica con filtro di carbone attivo e occhiali in vetro.
L'uniforme indossata nel corso della grande guerra rimase in uso
nell'Esercito Italiano, quasi invariata, ancora per molto tempo, fino
alla riforma dell'esercito del 14 novembre 1933 a firma del
sottosegretario al Ministero della Guerra, generale Federico
Baistrocchi.