27 novembre 2019

I CARRISTI FERRARESI


La mattina, presto, del 24 aprile 1945 un grande via vai di partigiani si notava per le strade, era un nuovo rumore che svegliava la città, si respirava un'aria nuova; prima, a piccoli gruppi, poi sempre più numerosi i Ferraresi, che da tre giorni vivevano chiusi nei rifugi, un po' alla volta uscirono alla luce del sole. La notizia, come tutte le belle notizie, si sparse in un baleno: la città era in mano ai Partigiani, i tedeschi erano fuggiti verso il Po, gli alleati stavano per arrivare.
Di fatto, verso le 8:00, alcuni drappelli dell'esercito inglese, superato il volano all'altezza del ponte di San Giorgio, entrarono proprio nel giorno dedicato al patrono della città di Ferrara, semidistrutta ma ancora viva e vitale per acclamare la fine della guerra e la riconquistata libertà, abbracci e fiori vennero riservati alle truppe alleate che con la loro banda scozzese si produssero, seri e compassati, in piazza del duomo. Insieme ai reggimenti inglesi arrivarono anche unità del ricostituito Esercito Italiano e tra questi dei Ferraresi che ritornavano a Ferrara come liberatori .
Nei reparti del Raggruppamento Motorizzato Friuli anche dei Ferraresi sui mezzi corazzati alleati che, dopo avere compiuto il proprio dovere nelle unità del Regio Esercito ora, con lo stesso impegno, facevano parte delle truppe alleate.
I Ferraresi inquadrati nelle unità corazzate del Regio Esercito avevano combattuto nei vari teatri di guerra e tanti si erano distinti, primo fra tutti Francesco Tumiati nato a Ferrara nel 1921 da una nota famiglia Ferrarese che, seguendo le orme del padre, eminente avvocato, si era iscritto alla facoltà di legge.
Nel 1941 Tumiati decise di arruolarsi volontario, mandato in Nord Africa torno in Italia per seguire un Corso Allievi ufficiali.
Sottotenente assegnato al 32esimo reggimento carri fu sorpreso dall'armistizio a Cantiano nella zona tra l'Appennino centro-settentrionale e il mare Adriatico.
Il Sottotenente si diede alla macchia seguito da un gruppo di suoi carristi e ben presto divenne con il nome di Francino comandante del distaccamento “Pisacane” della Brigata Garibaldi  a Pesaro.
Per 8 mesi guidò i suoi Partigiani in azioni audaci contro i nazifascisti. nel maggio del 1944 durante un massiccio rastrellamento Francino, questo il nome che aveva assunto Francesco Tumiati da partigiano, venne catturato dai tedeschi è sottoposto ad un processo sommario.
Sollecitato a tradire i suoi compagni in cambio in cambio della propria salvezza rifiuto ogni compromesso e perciò fu immediatamente fucilato.
Ferrara nel dopoguerra ha dedicato una strada a Francesco Tumiati la via antistante il vecchio palazzetto dello sport.
Ricordiamo riportandoli di seguito  i carristi Ferraresi decorati, le Medaglie d'Argento al Valor Militare: Bardasi Armando da Argenta carrista del primo reggimento carri, Bassi Walter da Copparo sergente maggiore del 132° reggimento, Gatti Cesare da Mesola sergente maggiore del 132° reggimento, Marzola Edmondo da Ravalle sergente del 132° reggimento, Marchi Corosmino carrista dei reparti carri d'assalto, Romagnoli Rino da Argenta carrista del primo reggimento carri. 
Le Medaglie di Bronzo al Valor Militare: Favaro Paolo da Ferrara del 132° Reggimento carri, Manferdini Edmondo da Ferrara e Marchi colosimo da Copparo della seconda compagnia carri d'assalto, Nicastri Giuliano da Ferrara caporal maggiore del 11° battaglione carri, Fabbri Attalo da Codigoro carrista dell'8° battaglione carri, Zanotto Domenico da Ferrara Sergente del 132° reggimento.
Le Croci di Guerra assegnate ai carristi ferraresi: Baldini Renzo caporal maggiore del 132° Reggimento, Bassi Walter da Copparo Caporal maggiore del 3° carri d'assalto, Carli Carlo da Comacchio Sergente del 31° Reggimento, Gueze Enrico da Portomaggiore Sottotenente del 133° Reggimento, Guidetti Rodolfo da Ferrara tenente del 32° reggimento, Piazzi Ermippo da Fossanova San Marco caporal maggiore del 2° Battaglione carri, Tortonesi Carlo Caporale del 3° reggimento, Veronese Serindo da Goro caporal maggiore del 132° reggimento e il carrista Zanotto Domenico da Ferrara.
A Ferrara la Sezione dell’ A.N.C.I. ( Associazione Nazionale Carristi d'Italia) ha sede in viale Giovecca, all'interno della Casa della Patria, insieme alle altre Associazioni d’Arma presenti sul territorio.
Un passato tanto importante non può dimenticato, e abbiamo il compito di conservare il ricordo dei tanti concittadini che si sono distinti nella recente, seppur dolorosa, storia.
I soci aderenti all’A.N.C.I. responsabili di questo importante compito si sono impegnati  da riuscire ad ottenere dal Comune la concessione dell’intitolazione di uno spazio ai “Carristi d’Italia”, individuato nella zona di Villa Fulvia dove, tra non molto, verrà organizzata una cerimonia solenne per celebrare l’intitolazione ai tanti carristi e fra questi i tanti Carristi Ferraresi che hanno dato lustro e onore alla propria città.
Il prossimo 25 aprile 2018, alle manifestazioni per la commemorazione della giornata nazionale della liberazione a cominciare dall'alzabandiera solenne in piazza del Duomo parteciperanno, con le autorità, le Associazioni d’Arma e tra queste sarà presente, con il Labaro portato dal presidente Gianluigi Roncagalli, la sezione ANCI di Ferrara che auspica di poter vedere riunirsi insieme ai propri associati, i tanti Ferraresi che hanno prestato servizio nella specialità carrista . 
Con lo stesso spirito e impegno, oggi, in tempo di pace, gli Associati dell'A.N.C.I. a Ferrara svolgono attività sociali e culturali portando alle nuove generazioni la conoscenza è il ricordo, tenendo ben presente che senza un passato di cui andare fieri è difficile costruire un futuro insieme.
In fine, questa informazione giornalistica, oltre ad essere una doverosa testimonianza, va annoverata nell’impegno che  la sezione A.N.C.I. di Ferrara porta avanti da tempo, per trovare la famiglie e i discendenti dei carristi Ferraresi che hanno dato lustro alla loro terra in un momento tanto grave, e chiunque fosse interessato ad avere maggiori informazioni può rivolgersi, oltre che alla redazione di questo quotidiano alla sezione Sezione di Ferrara dell’A.N.C.I. telefonando al numero 348 9020007 o inviando una mail agli indirizzi di posta elettronica:  carristiferrara@gmail.com  -  anciferrara@assocarri.it.

La Grande Guerra tecnologica: il carro armato



“Farò carri coperti, securi e inoffensibili; i quali intrando intra i nemici con le sue artiglierie, non è sì grande moltitudine di gente d’arme che non rompessimo. E dietro a questi potranno seguire fanterie assai illese e senza alcun impedimento .”

Leonardo da Vinci descriveva così il suo Carro Coperto presentando il progetto, nel 1485,  a Ludo-vico il Moro signore di Milano.
Molto tempo prima, nel 401 a.c., Ciro Il Giovane aveva introdotto nel suo esercito i carri falcati, che avevano, applicate alle ruote, delle lame ad ala di falco e permi-sero al condottiero di trionfare nella battaglia di Cunassa.
Trascorsero ancora secoli prima di ritornare a parlare di carro armato, che però
secondo la moderna concezione doveva essere:
-un veicolo militare corazzato da combattimento,
-un veicolo idoneo a muoversi su terreno accidentato per mezzo di cingoli,
-un mezzo armato di un cannone e di una o più mitragliatrici,
-un mezzo capace di sviluppare una buona velocità su strada e fuoristrada,
-un mezzo con l’attitudine al superamento di ostacoli
-un mezzo con capacità protettiva dell’equipaggio.

Tali caratteristiche definiscono  un Sistema d’Arma
 l'associazione tra l'arma vera e propria e più dispositivi ausiliari, adatti alle condizioni di battaglia, che permettono di aumentarne le prestazioni,
comparve per la prima volta nel corso della Prima guerra mondiale durante la battaglia della Somme.
L'idea generica di un simile mezzo bellico, però risale addirittura al 18°secolo.
Nel 1770 l'inglese Richard Edgeworth aveva sviluppato l'idea di inserire delle ruote in movimento all'interno di un nastro avvolgente
nel 1898, Crispino Bonagente un maggiore dell’artiglieria del Regio Esercito, progettò un sistema di trazione a piastre collegate che brevettò nel 1911 col nome di rotaie a cingolo per il traino delle artiglierie da fortezza, sistema che fu adottato dai diversi eserciti per il movimento dalle artiglierie.
Nella Guerra di Crimea furono utilizzati sui campi di battaglia i primi trattori a vapore che, traspor-tando fanti armati, riuscivano a percorrere tratti di terreno accidentato.
I diversi tentativi per realizzare i sistemi Cros-Country, migliorarono con l’invenzione del motore a scoppio a combustione interna, che fu adottato negli Stati Uniti per la realizzazione del trattore dell’Holt Company su un sistema di trazione a cingoli.
 nel 1889 l'americano Simms, realizzò un veicolo da combattimento che montava un motore Daimler; aveva una corazza antiproiettile e un armamento composto di due mitragliatrici. Il veicolo militare fu proposto allo Stato Maggiore Inglese che lo rifiutò giudicandolo costosissimo e di dubbia utilità in battaglia.
Nel 1911 Gunter Burstyn, un tenente del genio dell’Esercito Austriaco (kaiserliche und königliche Armee), progettò un veicolo con caratteristiche interessanti rispetto all'epoca, il Burstyn Motorgeschultz, o torpedine terrestre, che era dotato di cingoli e aveva un armamento composto da un can-none a tiro rapido Skoda da 3,7 cm e due mitragliatrici da 7 mm.
Il progetto, e un modello del mezzo, furono presentati al Ministero della Guerra a Vienna, non fu accettato a causa di problemi finanziari.
Nel 1912 un caporale dell’Esercito Australiano tale L. A. De Mole, che aveva però buone cognizioni tecniche, propose al Ministero della Guerra Britannico un progetto per la costruzione di un veicolo su cingoli in grado di muoversi su superfici irregolari, ma il progetto non ottenne  alcun interesse.
Lo scoppio della Grande Guerra segnò il passaggio alla guerra moderna, dalle guerre “napoleoniche” per il modo di affrontarsi degli eserciti, si passò a una rivoluzione delle strategie, fortemente influenzate dalle risorse di mezzi messi in campo. L’industrializzazione entrava fortemente in campo, la ricerca di nuovi mezzi e il loro forte utilizzo decretava la nascita della guerra tecnologica.
In ogni nazione belligerante s’intensificò in ogni direzione la ricerca di nuove tecnologie che potessero risolvere l’immobilismo della guerra di posizione nei campi trincerati dell’Europa, il carro armato divenne per tutte un obiettivo più o meno primario.

La Gran Bretagna
Nel 1914 il colonnello dell’Esercito Britannico Ernest Swinton presentò, dopo l’inizio della guerra, il progetto di un carro armato per favorire la guerra di movimento, vista la situazione del fronte che si cristallizzava nelle trincee.
Il colonnello riuscì a organizzare una dimostrazione alla quale parteciparono anche Winston Churchill, allora primo Lord dell’Ammiragliato e David Lloyd George, che diventerà primo ministro, i quali rimasero impressionati dal potenziale del mezzo e s’impegnarono allo sviluppo del progetto che partì dalla Royal Navy.
Il progetto fu battezzato Tank (cisterna) per sviare i servizi segreti nemici, facendo credere che si volesse sviluppare un semplice sistema di rifornimento idrico per le truppe. Il progetto fu portato a termine dal Landships Committee che aveva posto una serie di punti da raggiungere.
Il mezzo da combattimento con dieci uomini di equipaggio a bordo doveva viaggiare a non meno di quattro miglia orarie (6 km l’ora) e superare ostacoli alti più di un metro, essere in grado di attraversare fossati e trinceramenti larghi almeno 2 metri, avere una protezione che lo rendesse immune dai proiettili delle armi portatili e avere un armamento di più mitragliatrici, inoltre doveva coprire un raggio d'azione di almeno 30 km. Apparve chiaro fin da subito che il veicolo che si voleva realizzare era la naturale evoluzione dei veicoli militari blindati già esistenti ma con una versatilità da inoltrarsi su terreni dove gli altri veicoli si fermavano.
Alla fine dei lavori fu realizzato tra luglio e settembre 1915 un veicolo armato corazzato su cingoli che soddisfava le richieste e fu prodotto dalla William Foster e Co., il primo vero modello di tank denominato Little Wyllie, il progenitore di tutti i carri armati .
Il carro era alimentato da un motore Daimler da 105 cv, con due serbatoi di benzina posti nella parte posteriore.
Il prototipo era armato con sei mitragliatrici Madsen e un cannoncino da due libbre Vickers. La maggior parte dei componenti meccanici, compreso il radiatore, furono presi da quelli del trattore d'artiglieria pesante Foster-Daimler.
Il veicolo non aveva una vera corazzatura d'acciaio, lo scafo era formato da diverse placche in me-tallo saldate insieme spesse al massimo 10 mm, all’interno vi trovava posto un equipaggio formato da sei uomini e la velocità massima era di due miglia l’ora (circa 3,2 km/h).
Little Willie fu la base per realizzare il successivo tank Mother o Mark I Whippet da cui, grazie all’esperienza fatta sui campi di battaglia, cominciò un percorso evolutivo che portò alla realizza-zione dei modelli progressivamente migliorati MK II, MK III, MK IV e V.
La conformazione delle lamiere e delle piastre di corazza e il potenziato armamento di questi carri permisero di differenziare la produzione a seconda delle esigenze d’impiego, due furono le varianti chiamate Male (maschio) di 28 Ton. e Female (femmina) di 27 Ton. Una conservava i cannoni QF 6 pounder e tre mitragliatori Hotchkiss da 303 cui se ne aggiunse un quarto impiegabile da una postazione frontale.
L'altra versione era dotata di quattro mitragliatrici Vickers raffreddate ad acqua più due mitragliatrici Hotchkiss ed era più leggero di circa una tonnellata. I cannoni posti ai lati del carro Male, in posizione in gondola, erano navali a tiro rapido, la gittata raggiungeva i 1800 metri con una celerità di 20 colpi al minuto. L’equipaggio era di otto uomini e aveva un motore Daimler-Foster da 105 cv che permetteva di raggiungere una velocità di 6,5 Km orari.
Nello stesso periodo fu progettato uno dei primi carri armati superpesanti, del peso di oltre sessanta tonnellate, ma non ne fu costruito neppure un prototipo. Formato da una grossa casamatta in ferro senza torretta, aveva un armamento costituito da un cannone posizionato anteriormente e 8 mitragliatrici, due per ogni lato.
La particolarità di questo carro era di essere dotato, oltre ai due cingoli principali, di un altro paio di cingoli più corti e piccoli posizionati tra i principali, nel caso che questi fossero colpiti o inutilizzabili, ma potevano servire anche a superare ostacoli come trincee o grandi ostacoli.

La Francia
L’Esercito Francese, benché a conoscenza del progetto inglese, era più propenso alla produzione di artiglieria campale, il sostenitore della necessità di avere mezzi corazzati fu il colonnello Jean Baptiste Eugène Estienne, considerato il padre dell’arma corazzata francese (Régiment de Chars de Combat), che riuscì in un'opera di convincimento delle alte gerarchie, in particolare verso il primo Capo di Stato Maggiore, generale Joseph Joffre, convinto assertore della offensiva ad oltranza (l’“Elan Vitale” francese) che autorizzò lo sviluppo di vari progetti.
L’Esercito Francese commissionò 400 esemplari, nascevano così i primi carri armati francesi: il carro Schneider nel 1916 e il carro Saint Chamond nel 1917, riconoscibile per l'installazione, nella parte anteriore, di un cannone a tiro rapido L12 CTR da 75 mm. Il Carro Saint Chamond, con peso di 23.400 kg, era lungo 8,83 m (compreso il cannone), era dotato di un motore Panhard et Lesasser che sviluppava 90 CV, la velocità massima era di 8,5 km/h con autonomia di 59 km. L'equipaggio era composto da nove persone.
Questo carro fu presto abbandonato a causa del grande pezzo di artiglieria che ne limitava la manovrabilità ed era più lungo e più pesante dello Schneider CA1 che fu presentato ufficialmente il 16 giugno 1915 di fronte al Presidente della Repubblica francese Raymond Poincaré e al generale Joseph Joffre, Capo di Stato Maggiore dell'esercito. I lavori furono momentaneamente sospesi quando giunse la richiesta dell'esercito di dotare i trattori di un dispositivo tagliafili Breton.
La struttura di base del CA1 era ispirata da quella del trattore agricolo Holt di produzione statunitense ma spinto da un motore Schneider da 60 CV e nel complesso appariva molto simile a una casamatta. La corazzatura era costruita sopra il telaio a foggia di ridotta corazzata, con una struttura pensata per resistere ai proiettili ordinari calibro 8 mm a una distanza di 15 metri.
Lo spessore delle piastre, imbullonate al telaio, era di 11,5 mm, che diventavano 17 mm nella parte frontale, arrivando a un minimo di 5,5 mm sul fondo dello scafo. Il carro CA1 era dotato di un por-tellone d'accesso posteriore a due battenti, feritoie e finestrini e un lucernaio per evacuare i fumi.
Per il superamento degli ostacoli, come le trincee e per evitare l'affossamento, il carro era dotato di uno sperone anteriore e di due code posteriori, aveva un equipaggio di sette uomini ed era armato con un cannone Schneider Blockhaus SoBS da 75 mm e da due mitragliatrici da 8 mm Hotchkiss.
Su richiesta dell’Esercito fu inoltre adottato un carro leggero per sostenere la fanteria e realizzato dalla Renault, l’Auto Mitragliatrice a Cingoli modello FT 1917 che fu il più famoso carro armato francese utilizzato durante la Prima guerra mondiale. I primi “Char Mitrailleur” avevano una torretta ottagonale a cielo aperto, in seguito rimpiazzata da una torretta rotonda di acciaio curvo (torretta Girod, da una delle fabbriche che producevano il carro) che poteva ospitare alternativamente un cannone Puteaux SA 18 calibro 37 mm o una mitragliatrice Hotchkiss M 1914 calibro 7.92 mm. 
Questo carro fu il primo ad avere una configurazione cui si adattarono in seguito tutti i carri armati, di grande manovrabilità e buon armamento, con una corazzatura che andava dai 16 ai 22 mm, aveva un equipaggio formato da un pilota e un cannoniere o mitragliere a seconda dell’armamento e riusciva a raggiungere i 12 Km orari.
Furono prodotti 3.500 esemplari di questo modello e si trattava del primo carro armato con una tor-retta girevole a 360°. Durante il corso della guerra fu prodotto e utilizzato in massa tanto che in una sola occasione furono usati 480 carri nei pressi di Soissons nel luglio del 1918. Dopo la guerra, il carro FT 17 fu esportato in numerose Nazioni e anche l'Italia acquistò esemplari del FT 17 da cui in seguito fu sviluppato e prodotto in Italia il modello Fiat 3000.

La Germania
Lo Stato Maggiore tedesco sulla linea degli altri eserciti, commissionò un suo progetto di carro ar-mato, al gruppo di progettazione “Allgemeines Kriegsdepartement Abt.7 Verkehrswensen”, guidato dall’ingegnere Joseph Vollmer, venne richiesto un mezzo con un carico utile di 4 tonnellate, un mo-tore unico da 80/100 cv e una velocità di 12 km/ora su strada e 6 fuori, armato con un cannone in caccia ed uno in ritirata e mitragliatrici su tutti i lati.
Il risultato cui arrivarono fu il Deutsche Gelandewagen  A7V, detto anche Sturmpanzerwagen, che aveva la metà dell’armamento richiesto e il motore raddoppiato a causa del peso di quasi 34 tonnellate e che fu messo a disposizione dell’esercito (Kaiserreichsheer) solo alla fine del 1917.
Il carro tedesco era un mezzo semplice, anche se di concezione moderna per via della separazione tra il treno di rotolamento e lo scafo, e tra il vano motore e l’alloggiamento dell’equipaggio che era composto da 18 Panzergrenadieren.
Lo scafo, che poggiava sopra alla cingolatura, aveva una pianta rettangolare e frontalmente la struttura era costituita da due piastre a V per deflettere meglio i colpi delle artiglierie. Le parti che componevano la corazzatura erano imbullonate e, nella parte frontale, era di ben 30 mm di spessore.
Malgrado fosse costruito dalla Krupp, uno dei migliori produttori di acciaio, la profonda crisi eco-nomica in cui versava l'industria tedesca non aveva permesso di utilizzare leghe speciali ma solo acciaio dolce. Il conseguente aumento obbligato della corazzatura faceva aumentare talmente il peso da limitare la manovrabilità del mezzo.

La Russia
Nell'Impero Russo già da prima della guerra si stava lavorando in gran segreto alla progettazione di un veicolo corazzato e tra il 1914 e il 1915 fu realizzato un prototipo: lo Zar, chiamato anche Netopyri (pipistrello). Il progetto era stato proposto allo Zar Nicola II nel 1914 dal capitano Nikolai Lebedenko, ingegnere militare.
La realizzazione progredì in segreto: gli elementi erano costruiti in una fabbrica situata a Mosca e poi trasportati e assemblati in una radura nei pressi di Dmitrov, per via delle dimensioni fu infatti previsto che il veicolo venisse assemblato solo in prossimità del fronte.
Il veicolo corazzato era basato non su cingoli, come la maggior parte dei veicoli corazzati pesanti, ma su una configurazione a ruote a triciclo.
La struttura assomigliava a un gigantesco affusto da cannone ed era costituita da una griglia di travi d'acciaio che sostenevano la cabina e la torretta. Le ruote anteriori a 120 raggi avevano un diametro di circa nove metri, mentre la posteriore era un rullo composto di tre ruote con un diametro di 1,50 metri. Le dimensioni delle ruote erano pensate per superare ostacoli notevoli, come trincee e fossati, ed erano propulse ciascuna indipendentemente da un motore aeronautico Sunbeam di 240 cv di potenza.
Il prototipo pesava 40 tonnellate ma era previsto un peso di 60 T per il definitivo che avrebbe avuto un equipaggio di quindici uomini e un armamento composto da un cannone da 150 mm e due mitragliatrici Maxim da 7,62 mm, era stata inoltre programmata l'aggiunta di ulteriori armamenti nella parte inferiore dello scafo. 
La corazzatura variava dal minimo di 5 mm a un massimo di 10 mm di spessore. Il carro non entrò mai in servizio e il progetto fu presto abbandonato dopo il primo test, poiché i costi erano molto e-levati e inoltre aveva problemi di manovrabilità, risultava sotto potenziato ed estremamente vulnerabile al fuoco dell'artiglieria. Alla prima prova effettuata in condizioni simili a un campo di batta-glia, emersero tutti i difetti e il prototipo finì impantanato nel terreno dove fu abbandonato.

L’Italia
L'Esercito Italiano promosse lo sviluppo di un progetto di carro armato che si ispirava a quelli utilizzati sul fronte Europeo, fu incaricata dallo Stato Maggiore la FIAT, che nel 1916 iniziò lo studio di un nuovo mezzo da combattimento, affidandone la progettazione agli ingegneri Carlo Cavalli e Giulio Cesare Cappa.
Il primo ufficiale italiano incaricato di interessarsi alla modernissima arma fu il capitano di Artiglieria Alfredo  Bennicelli che è idealmente considerato il fondatore dei carristi italiani.
Nei primi mesi del 1917, per ordine del Ministro della Guerra Zupelli, si recò in missione nelle Fiandre per visionare i primi esemplari di carro armato impiegati da Francia e Inghilterra e ottenne dalla Francia un esemplare di carro Schneider allo scopo di sperimentarne le caratteristiche sul fronte italiano.
Le prove svolte a Tricesimo diedero buoni risultati per cui l'Italia richiese altri esemplari ai francesi, riuscendo, faticosamente, ad ottenere alcuni Renault FT 17.
Il 1° settembre 1918 fu costituita a Verona una Sezione Speciale Carri Armati che prendeva il nome di Reparto Speciale di Marcia Carri d'Assalto comandato dal maggiore Corsale. In poco tempo si perfezionò il progetto del carro armato italiano Fiat 2000 modello diciassette e il prototipo fu presentato alle autorità militari il 21 giugno 1917, la meccanica era definitiva, la corazzatura e l'arma-mento furono sviluppati nei mesi successivi.
Il prototipo aveva un cannone in torretta troncoconica a cielo aperto e quattro mitragliatrici in caccia, tre su ogni fiancata ma nessuna in ritirata, era munito di grandi feritoie non scudate a causa delle numerose armi installate.
Nel 1918 il modello completo e definitivo del Fiat 2000 era costituito da una grande casamatta di corazze imbullonate e inclinate, spesse 20 mm ai lati e 15 superiormente e sul fondo dello scafo. L’interno era diviso in due ambienti: motore e tutte le componenti meccaniche contenute in un vano inferiore; sopra a questo c’era il vano di combattimento.
L’armamento primario era costituito da un cannone d’accompagnamento da 65/17 Mod. 1908/1913 opportunamente modificato e installato in una torretta emisferica, formata da quattro spicchi di lamiera e un cupolino. La torretta brandeggiava su 360°, mentre l’ampio settore di tiro in elevazione, da -10° a +75°, permetteva di usare il pezzo anche per il tiro curvo come un obice.
L’armamento secondario era costituito da ben sette mitragliatrici Fiat-Revelli Mod. 1914 calibro 6,5 mm, erano disposte ai quattro angoli della casamatta, centralmente sulle due fiancate e una posteriormente.
L’equipaggio di dieci militari prendeva posto nel vano di combattimento e per la guida a sportelli chiusi il pilota disponeva di un periscopio. I sette mitraglieri disponevano, oltre che delle aperture delle rispettive armi, anche di otto feritoie con sportello.
Il motore a benzina, di origine aeronautica, era un Fiat A12 posto nella parte posteriore del vano motore. Esso erogava 250 hp sufficienti a spingere le quasi 39 tonnellate del carro alla velocità massima di 7,5 km/h, ne permetteva il superamento di una trincea di 3,5 m, un gradino di 1 m e una pendenza di 40°, inoltre era in grado attraversare guadi fino a 1 metro d’acqua di profondità. L’autonomia, nonostante un serbatoio da 600 litri, era limitata a 75 km.
Il treno di rotolamento si discostava dal cingolo avvolgente dei tanks inglesi ed era notevolmente superiore a quelli, troppo corti, dei carri Schneider CA1 e Saint Chamond francesi inoltre era completamente protetto dalle gonne laterali corazzate, come sull’A7V tedesco, ma differenza di questo la protezione non ne comprometteva la mobilità.
I cingoli erano costituiti da piastroni di acciaio nervati larghi solo 45 cm, il che comportava un’eccessiva pressione. Le sospensioni a balestre poggiavano su quattro carrelli oscillanti per lato, ognuno munito di due rulli, ai quali si aggiungevano i due rulli fissi alle estremità, per un totale di dieci rulli per lato.
La fine della guerra impedì, di fatto, l’impiego sul campo dei due esemplari costruiti e, in seguito, ridusse l'interesse per i mezzi corazzati rallentandone la realizzazione.
Nello stesso anno i due carri furono riuniti a Torino, dove nel dicembre 1918, in seno all’arma di artiglieria, fu formata la Prima Batteria Autonoma Carri d'Assalto, progenitrice della Specialità Carristi, composta di due sezioni ciascuna dotata di un carro Fiat 2000 mod. 17 e di tre carri Renault FT 17.
Nel febbraio 1919 la batteria fu inviata in Libia per contrastare la guerriglia e l'unità prese parte alle operazioni nella zona di Misurata, con un solo carro poiché l'altro esemplare era rimasto a Roma per l’addestramento.
Lo stesso anno la batteria rientrò in Italia senza il Fiat 2000, che fu lasciato a Tripoli, ma nel teatro di guerra nelle colonie, caratterizzato da lunghe distanze nel deserto, il carro si rivelò troppo lento per poter efficacemente contrastare le scorrerie dei guerriglieri.
Del Fiat 2000 di Tripoli si sono perse le tracce, l’altro l'esemplare rimasto presso l'8° Reggimento Artiglieria di Roma fu trasferito, nel 1924, al neonato reparto carri armati del Colonnello Enrico Maltese a Pietralata successivamente fu trasferito al Forte Tiburtino.
Nel 1934 il FIAT 2000 fu esibito in occasione del campo Dux a Roma ai Parioli con livrea grigio verde e le due mitragliatrici in torretta sostituite dal cannone Vickers-Terni 37/40.
L’ultima notizia del carro risale al 1936 quando fu trasferito nella caserma “Corrado Mazzoni” di Bologna, sede del 3° Reggimento Fanteria Corazzata e utilizzato come monumento. Oggi non esiste più un esemplare di carro Fiat 2000 mod. 17.

Gli Stati Uniti d’America
Al momento dell’entrata in guerra il 6 aprile 1917, l’Esercito Statunitense non aveva sviluppato organicamente un progetto di carro armato, ma si era orientato su trattori corazzati come i Killen-Strait e Bullock Creeping Grip in alcuni casi sperimentati senza particolare successo nella guerra con il Messico, e venduti in buon numero all’Inghilterra.
L'American Expeditionary Forces (AEF) dell’U.S. Army, si dimostrò nel 1918, soprattutto negli ultimi mesi, uno degli eserciti più forti e organizzati di tutto il conflitto, giunse in Europa senza veicoli corazzati, il suo comandante, generale John Pershing organizzò nel corso delle operazioni sul fronte francese il Tank Corps; tra i comandanti vi era George  Smith  Patton (1885-1945) che accumulò esperienza riguardo l'utilizzo dei carri armati e sarà, nel corso della Seconda guerra mondiale, uno dei maggiori strateghi delle unità corazzate.
L’AEF adottò quasi subito il carro francese prodotto dalla Renault, e negli Stati Uniti fu messo in produzione su licenza francese ma con delle modifiche e degli accorgimenti che lo distinsero da quello francese. 
Il veicolo fu impiegato come un valido supporto della fanteria basti pensare che ne furono impiegati 200 esemplari durante l'attacco americano a Saint-Mihiel nella battaglia della Mosa nell’ottobre 1917.
Alla fine della Prima guerra mondiale gli inglesi avevano prodotto 2.626 carri armati i francesi 4.800, i tedeschi non riuscirono a costruirne oltre 20 esemplari anche per non essersi mai convinti della reale utilità di tale mezzo da combattimento, gli Stati Uniti 84 su licenza francese e l'Italia produsse due esemplari più pochi altri su licenza francese che non entrarono mai in linea. In totale furono prodotti nell’arco del conflitto che va dal 1916 al 1918, 7.728 veicoli corazzati.

                                   1916          1917          1918                   Totale

Regno Unito         150            1277          1391                   2818
Francia                  -                800          4000                   4800
Germania              -                  -                20                       20
Italia                     -                  -                  6                         6
USA                      -                  -                84                       84

L’impiego sul campo
Nel romanzo Niente di nuovo sul Fronte Occidentale, Eric Maria Remarque racconta l'angoscia provata dai soldati nelle trincee davanti alla nuova arma. La paura e lo sgomento che provarono i soldati quando si trovarono dinanzi i carri armati, macchine che non avevano mai visto e che rende-vano ancor più disumana la guerra.

" . . . Avanzano nella loro corazza, rotolano in lunga fila, ed ai nostri occhi esprimono più di ogni altra cosa l'orrore della guerra. I pezzi che ci fulminano con il loro fuoco tambureggiante, noi non li vediamo; le ondate di nemici che ci assaltano sono uomini come noi; ma questi tanks sono macchine, i cui cingoli sono una catena infinita come la guerra stessa; sono la strage, quando, macchine senz'anima, rotolano nelle buche e poi ne risalgono e non si fermano mai, flotta di corazze mugghianti e fumiganti, bestioni d'acciaio invulnerabili, che stritolano i morti e feriti[…]

Davanti a loro ci raggomitoliamo nella nostra pelle sottile, di fronte alla loro violenza colossale le nostre braccia sono fuscelli, le nostre bombe a mano fiammiferi …".
Anche le condizioni in cui operavano i soldati dei tank che, alla loro comparsa erano stati definiti le “navi da terra”, erano sicuramente molto difficili, in genere lo spazio interno del veicolo era occupato centralmente dal motore che, in quasi tutti i carri, non era separato dal resto del veicolo e generava una rumorosità tale da indurre gli occupanti a comunicare solo a gesti.
Era molto spiacevole stare in un ambiente chiuso e privo di ventilazione, l’equipaggio respirava aria contaminata dal monossido di carbonio, dai vapori nocivi derivanti dal carburante e dagli esplosivi alla cordite.
La temperatura poteva raggiungere i 50 gradi, causando perdita di conoscenza o il collasso dei carristi non appena si affacciavano all’esterno ed altrettanto alto era il pericolo di forti ustioni dal malaugurato, ma molto frequente, contatto con parti del propulsore e i tubi di scarico che diventavano incandescenti,
I soldati all’interno del carro armato dovevano quindi operare, per i propri compiti, sballottati a causa del terreno accidentato non avendo postazioni che li proteggessero e trattenessero ai loro posti, in un ambiente fumoso e surriscaldato.
Le corazzature laterali non essendo spesse come quelle frontali erano spesso trapassate dai proiettili delle mitragliatrici pesanti che una volta entrati rimbalzavano sulle pareti interne generando panico tra gli occupanti e ferendoli, inoltre i serbatoi di carburante erano collocati lateralmente o in alto, sotto le corazze superiori, anch’esse di spessore minore che, se trapassate dai proiettili, s’infiammavano facendo esplodere il veicolo.
L’equipaggiamento in dotazione ai carristi oltre al casco avvolto da una spessa protezione di gomma, comprendeva anche una maschera anti frammentazione, era una composizione di piastre, forate per gli occhi, sotto di cui c’era una maglia di ferro fino al mento, serviva per proteggere il soldato dallo Spalling, un fenomeno che può essere tradotto, in senso lato, come frammentazione, cioè il distacco di schegge metalliche a seguito dell’onda d’urto rilasciata dai proiettili che colpivano all’esterno il carro.
L’energia generata da un colpo sulle lamiere senza riuscire a disperdersi sulla sua superficie, tra-smetteva la forza del colpo al lato interno dell’abitacolo e della piastra che, in quel punto, esplodeva proiettando schegge sull’intera squadra del carro.
Ancora più difficili le comunicazioni tra i singoli carri che potevano essere solamente  visive e tra le unità corazzate e i comandi  (piccioni )
Fu il 16 settembre del 1916 che nelle trincee tedesche, a Flers Courcelette, un soldato all’improvviso gridò: “Arriva il diavolo!”. I camerati accorsero a vedere, e secondo quanto avrebbe ricordato un mitragliere, si videro venire incontro 32 “grandi mostri di acciaio che si avvicinavano lentamente, a fatica, dondolando ”.
In quei giorni di settembre, nonostante gli equipaggi non avessero ancora perfezionato l’addestramento, furono impiegati 32 Tank inglesi contro le linee tedesche nella battaglia della Somme, una serie di cause non fece raggiungere il risultato sperato, già poco dopo la partenza dalle proprie linee, il 50% dei carri era fuori combattimento.
I Mark IV finirono impantanati o caddero dentro le trincee o, in generale, ruppero i motori sollecitati oltremodo durante il combattimento e solo l'eroismo e l'abnegazione dei primi carristi riuscirono ad aver ragione di queste gravi lacune strutturali.
Nell'aprile del 1917 i francesi impiegarono ben 128 carri durante l'offensiva sull’Aisne, lungo il noto Chemin des dame, ma anche in quell'occasione i risultati non furono entusiasmanti, così come avvenne il mese seguente a Bullecourt.
Gli inglesi ancora una volta utilizzarono i carri in maniera inadeguata durante la terribile carneficina di Passchendaele (terza battaglia di Ypres) combattuta sotto un torrenziale diluvio che trasformò la zona in un’immensa palude dove s’impantanarono tutti i Tank portati in linea.
L'importanza del carro armato e il suo valore tattico si dimostrarono nella battaglia di Cambrai, dove gli inglesi ottennero il primo vero successo, il neonato Critiche Tank Corps che era arrivato a dotarsi di ben 474 esemplari, riuscì a superare le difficoltà contribuendo in maniera decisiva al successo dell'offensiva.
Nella battaglia fu impiegato un numero tale di carri da creare una grande massa di attacco, il 20 novembre furono schierati 200 carri su un fronte di 8 Km.
L'attacco fu preceduto da un bombardamento di preparazione da parte delle artiglierie, poi dalla cortina fumogena sbucarono i tank, generando il panico nei difensori. 
I carri, seguiti dalle fanterie, ottennero un successo decisivo a dimostrazione che i carri armati erano un mezzo fondamentale .
Nel frattempo anche i tedeschi avevano inviato al fronte i carri A7V e il 24 aprile 1918 ci fu il primo scontro tra carri armati che la storia registra.
Durante la seconda battaglia di Villers-Bretonneux avvenne il primo scontro tra carri armati,

La battaglia di Villers-Bretonneux (24 Aprile 1918)
Alle 7.00 del mattino del 24 Aprile, quattro divisioni di fanteria, coperte da speciali proiettili fumogeni e sostenute da 13 A7V , attaccarono con decisione i dintorni di Villers-Bretonneux e le difese della vicina Cachy.
L'apparizione dei carri armati tedeschi portò scompiglio e panico tra i difensori: gli inglesi, infatti, non pensavano che anche il nemico potesse disporre di propri veicoli corazzati.
In breve, molti soldati britannici furono falciati senza pietà dalle mitragliatrici dei veicoli nemici, mentre la fanteria tedesca neutralizzava i superstiti.
Alle 10.00, appena tre ore dopo l'inizio dell'attacco, Villers-Bretonneux era stata occupata quasi completamente e gli A7V, seguiti dalla fanteria, avevano sfondato le linee inglesi di circa 10 Km.
Giunta notizia dell'assalto nemico, le compagnie britanniche presenti nel Bois d'Aquenne cercarono di riorganizzarsi e di passare al contrattacco.
Nella foresta era presente un piccolo distaccamento corazzato, composto da tre Mark IV e comandato dal Capitano J.C. Brown.
Una delle unità era guidata dal Luogotenente Frank Mitchell,  Brown ordinò a Mitchell di supportare la fanteria, intenta a consolidare le proprie posizioni di fronte al nemico.
Mitchell partì con il suo veicolo in direzione di Cachy, accompagnato anche dagli altri due carri armati.
Dopo tre quarti d'ora di marcia, i tre mezzi corazzati raggiunsero finalmente il settore dei combattimenti.
All'improvviso, un A7V tagliò la strada al veicolo di Mitchell; questi non credette ai propri occhi: un carro armato tedesco!
Passata la sorpresa, il Luogotenente informò della notizia anche gli altri tank e si gettò all'inseguimento del mezzo nemico.
Per la prima volta, due veicoli corazzati si affrontavano in campo aperto, l'uno contro l'altro.

L'A7V, guidato dal colonnello Biltz, si accorse degli inseguitori e attaccò con violenza il Mark IV di Mitchell, aprendo il fuoco con il suo cannone da 57 mm.
Il colpo andò a vuoto, e gli inglesi risposero subito; ma anche loro mancarono il bersaglio.
Iniziò una lunga serie di manovre e contromanovre, con un fitto e vicendevole scambio di colpi, ma nessuno dei due equipaggi riusciva a mettere fuori combattimento l'avversario.
Al termine di un duello serrato e avvincente, Mitchell riuscì a centrare mortalmente il carro armato avversario.
Biltz e i suoi uomini abbandonarono l'A7V ormai inutilizzabile e si unirono alla loro fanteria.
Vinto il suo primo scontro, il Mark IV di Mitchell si scagliò contro altri due tank nemici, sopraggiunti nel mezzo della battaglia.
Forse spaventati dal fato del veicolo di Biltz, i due A7V si ritirarono dalla scena a rotta di collo: uno di loro, però, fu fermato da un proiettile dell'artiglieria britannica, che mandò in frantumi buona parte della sua corazza.
Ancora vincitore, Mitchell andò in aiuto degli altri due Mark IV, impegnati contro la fanteria nemica; in breve, i tedeschi furono messi in fuga.
Nel frattempo, un aereo da ricognizione informò la guarnigione di Cachy che numerosi contingenti nemici stavano avanzando verso di loro, appoggiati da svariati carri armati. A Cachy si trovava un piccolo drappello di Whippet, comandato dal Capitano T.R. Price.
Egli prese subito l'iniziativa e partì immediatamente in direzione delle truppe d'assalto tedesche; strada facendo si congiunse con Mitchell e i suoi veicoli.
I Whippet e i Mark IV attaccarono insieme la fanteria nemica, seminando morte e terrore.
Pur perdendo alcune unità, Price e Mitchell inflissero pesanti perdite ai tedeschi e li costrinsero rapidamente alla ritirata.
Nell'inseguimento, Mitchell si imbatté nuovamente in un A7V: dopo un breve scambio di colpi, il veicolo tedesco si ritirò in buon ordine.
Due o tre ore più tardi, il carro armato di Mitchell concluse la sua corsa: un colpo d'artiglieria, infatti, distrusse completamente i suoi cingoli.
L'instancabile equipaggio del Mark IV scese allora dal proprio mezzo, ormai inutilizzabile, e si unì ai difensori di una vicina trincea. La prima battaglia tra mezzi corazzati della Storia era giunta al termine.

Una curiosità, Mitchell, l'eroe di Villers-Bretonneux, sopravvisse alla guerra e inviò, insieme ai membri del suo ex equipaggio, una richiesta formale all'Ammiragliato per ricevere un premio in denaro: il loro Mark IV, infatti, aveva abbattuto un A7V a Villers Bretonneux.
La Royal Navy, da cui dipendeva formalmente il Corpo Corazzato, riconosceva una ricompensa ai componenti degli equipaggi di navi che avevano affondato vascelli nemici.
Il War Office rifiutò il reclamo di Mitchell, giudicando un carro armato come "un'arma di terra", che non aveva nulla a che fare con le operazioni marittime, l'era delle prime "navi da terra" era finita.
Il 4 luglio 1918, a Le Hammel, il generale John Monash comandante in capo dell'Esercito Australiano mise a punto una strategia che divenne comune in seguito nell’uso dei carri armati, fece lanciare un attacco preventivo e contemporaneo dall’artiglieria, dall'aeronautica e dai carri, prima di fare uscire le fanterie allo scoperto e giungere sulle linee avversarie distrutte, questo non si era mai verificato prima.
Era chiaro che il tiro distruttivo e prolungato dell'artiglieria non bastava per ridurre all'impotenza le linee nemiche, pertanto il generale Monash per primo decise di non impiegare la fanteria nella prima fase dell'attacco evitando l'ennesima strage.
In novantatre minuti vinse la battaglia sgombrando il campo avversario e gettando le basi per una successiva avanzata dal 18 al 26 luglio, durante la quale 336 carri Schneider CA 1 insieme ai Saint Chamonde e ai Renault FT 17 furono schierati a supporto delle truppe franco-americane.
L’esperienza maturata sul campo dimostrò che i carri armati, impiegati in questa maniera, erano un’arma vincente per riprendere la guerra di movimento e fare arretrare le linee tedesche.
L’8 agosto 1918 fu la giornata nera dell'esercito tedesco, ben 604 Tank alleati permisero alle forze schierate un'avanzata su circa 35 km di tutto il fronte occidentale.
John Frederick Fuller (1878-1966), ufficiale dell’Esercito Britannico nella Grande guerra, considerato l’iniziatore della scuola britannica sull’impiego dei mezzi corazzati, diede uno sviluppo impor-tante alla teoria della tattica messa a punto dalla fanteria nel corso della Prima guerra mondiale. Fino ad allora si erano utilizzate delle truppe di fanteria per creare sfondamenti locali, che dovevano essere sfruttati immediatamente, prima dell'arrivo in loco delle riserve dei difensori. 
Questa tattica aveva dimostrato la sua validità almeno in tre battaglie, condotte in condizioni molto diverse fra loro, ma sempre con questi principi: Riga (1917), Caporetto (1917), Marna (1918).  Questi canoni d’impiego erano stati studiati da Fuller, che aveva proposto una tattica chiamata del fiume in piena, basata su principi analoghi.
La comparsa del carro armato aveva indotto l’ufficiale a spostare l’attenzione sul nuovo mezzo, che s’integrava perfettamente alla teoria già sviluppata e aveva indicato le conseguenti modalità d’impiego della nuova arma, che potevano riassumersi in alcuni precetti: i carri armati dovevano es-sere impiegati in massa, quindi dovevano essere inquadrati in divisioni omogenee costituite in prevalenza di soli carri armati (divisioni corazzate);
I carri dovevano operare in collaborazione con le altre armi, in particolare fanteria e artiglierie e le aliquote di queste ultime, integrate nella divisione corazzata, dovevano avere la stessa mobilità dei carri; la funzione delle divisioni corazzate non doveva essere tattica ma strategica.
Queste idee, divergendo da quelle degli Stati Maggiori, non ebbero fortuna né in Gran Bretagna e tanto meno in Francia, al contrario della Germania che, facendo tesoro delle esperienze anche negative, maturate nel corso della Grande guerra, le assimilò e su queste basò lo sviluppo dell'arma co-razzata che nella Seconda guerra mondiale metterà in pratica con successo.