29 settembre 2008

Ricordi di. . . cucina



La cucina contadina o la “cucina del focolare domestico”, era ricca di sapori naturali, dove le nonne o le mamme dedicavano quasi tutta la giornata a preparare il cibo per tutta la famiglia (a quei tempi, la famiglia era molto numerosa). La giornata, per la donna, iniziava la mattina molto presto con la prima colazione: caffè “nero” (orzo) per gli uomini e caffelatte per i bambini che andavano a scuola. Poi c’erano gli animali da accudire (pollame, maiali) e da preparare qualcosa per il pranzo di mezzogiorno. La pasta veniva fatta in casa e un buon piatto di pasta e fagioli, cotto sulla stufa a legna, saziava la numerosa famiglia. Il secondo, nella cucina contadina era, invece, rappresentato dal “pane quotidiano”, cioè la polenta, che non mancava mai, accompagnata da un bicchiere di clinto. Polenta “infasolà”, salame, cotechino e fagioli schiacciati, alla sera si mangiavano uova condite e pancetta sulla “gradela”.. Gusti che andavano ad esaltare il poco sapore della polenta, durante la settimana erano scarse le varianti; i piatti si ripetevano, ma tutto sommato si trattava di una mensa da benestanti. Scarsa la quantità, ripetitivo il menù, ma estremamente gustoso. La domenica, dopo la messa, era festa grande, perché c’era il risotto con i “figadini”, fatto con il brodo buono, di carne ricavata dagli animali del cortile. Avere un buon pollaio era segno di ricchezza: oche, anatre, tacchini, polli, galline e il “signor maiale” assicuravano il sostentamento e la forza per il lavoro dei campi, da un anno all’altro, la sera del sabato la donna tirava il collo al “ruspante”, attorniata dalla curiosità dei bambini. Poi veniva attaccato alla finestra di casa, come un trofeo da far vedere ai vicini. La tavola imbandita della festa era arricchita da “purè” e dall’immancabile “buzzolà” fatto in casa e cotto nel forno della stufa o sotto il “testo”. C’erano poi le feste della tradizione, legate alla sagra del paese o ad alcune ricorrenze. Tutte avevano la loro caratteristica; la cucina si arricchiva di quel prodotto di stagione o si tagliava “la bondola”, messa da parte per tanti mesi, in attesa della festa giusta, magari con tanto di invitati o con qualche ospite d’eccezione. Per queste occasioni le donne cominciavano i preparativi anche 15 giorni prima: preparavano i “biscottini” che venivano cotti al forno a legna da “Sciavina” o da “Fiaca”. Per S.Andrea, con l’uccisione del “porzelo” si facevano i salami e i “salamini” per i bambini e perché non litigassero, ognuno aveva il suo, più grande o più piccolo, secondo l’età. La “brasola” per il dottore, per il parroco e per le suore era assicurata, anche dalle famiglie più povere.Il resto serviva per fare i salami, quelli grossi, che sarebbero stati tagliati durante la mietitura, mentre quelli piccoli venivano “impitarà” per la conservazione, non essendoci frigo o freezer. La vigilia di Natale, giorno di astinenza e digiuno, era gratificato da un piatto quantomai saporito: “polenta e bacalà”, “bogoni”, “renga” o “sardelon”. Anche qui non poteva mancare la polenta e clinto, quasi a volontà. Oggi il clinto è una rarità, ma, allora, veniva vendemmiato a settembre, lo si “folava” mentre tutta la corte, soprattutto i bambini, erano in festa. Il primo mosto veniva raccolto con la ramina per fare i “siguli”, aggiungendo fiore e farina di granoturco. Erano tutte occasioni di grande divertimento: ci si raccontavano storie attorno al camino, o seduti su sacchi di frumento o di granoturco, fuori, nelle notti d’estate. Oggi invece la gente quasi non si conosce, e se si conosce non si parla e la vita è molto frenetica, così anche la cucina non rappresenta più un momento di cultura e di vita comune, ma sempre più si mangia da soli, a tutte le ore. Solo, dove ci sono persone anziane o nelle piccole comunità, dove i cambiamenti sono più lenti, si possono ancora gustare i sapori di una volta

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