17 gennaio 2024

Di cosa parliamo quando parliamo di agnosticismo?




 Di cosa parliamo quando parliamo di agnosticismo? significa fare i conti con le conseguenze di una tale scelta e assumere su di sé un impegno etico specifico. Quali sono, dunque, le conseguenze più immediate derivanti dall’assunzione di un tale atteggiamento? Per prima cosa, non è vero che essere agnostici significa automaticamente evitare di prendere posizione in modo netto. Anche un agnostico avrà le proprie convinzioni, ma a differenza di un credente o di un ateo, sarà più propenso a metterle in discussione, soprattutto quelle riguardanti le domande sul senso ultimo della vita. 

Un credente avrà sicuramente dei dubbi, ma se la fede che coltiva è sincera e profonda, il dubbio non farà altro che rafforzare le proprie speranze e fortificare il proprio rapporto col divino. Allo stesso modo, un ateo avrà sicuramente dei dubbi, ma se la sua convinzione è matura, il dubbio verrà considerato una conseguenza naturale, inestirpabile della ragione stessa e non come un vuoto da colmare postulando l’esistenza di una dimensione ultraterrena. L’agnostico, invece, non vede nel dubbio un mezzo per confermare le proprie convinzioni o per giungere, cartesianamente, a verità indubitabili, ma l’essenza stessa della realtà, un vero e proprio luogo da abitare e col quale fare i conti quotidianamente. 

 

Pertanto, l’agnostico vive costantemente la soglia, il limite come dimensione di senso e condizione di possibilità stessa della vita, tesa tra due limiti, appunto, oltre i quali la ragione non può spingersi

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