Al tempo della spensierata fanciullezza, ogni mattina, correvo uscendo da casa per andare a scuola, e correvo per raggiungere i compagni lungo la strada, ma in quell'anno successe qualcosa di strano, di insolito, che non capivo, ma che mi prendeva più delle figurine, dei lego e della bici.
In quell'anno capitava che certe mattine uscivo senza fretta e mi soffermavo sul cancello o per la strada, insomma prendevo tempo, non rincorrevo più i compagni, ma rimanevo impaziente, in attesa del sopraggiungere di Annina che, dopo un po, vedevo spuntare in fondo alla strada, ed ero contento. Lei abitava nello stesso quartiere e frequentava la stessa scuola elementare: lei nell’ala dell’edificio destinato, alle classi femminili, mentre io in quella delle classi maschili, come era di regola allora.
Aspettare ogni mattina Annina per fare insieme la strada per la scuola era diventato, giorno dopo giorno in quell'anno, qualcosa di nuovo che mi appassionava e mi coinvolgeva, facendomi provare sensazioni che mai avevo provato prima.
Annina era una ragazzina dai capelli biondi, ma di un biondo particolare, quasi oro, raccolti in un paio di lunghe trecce che le scendevano dietro, lungo la schiena tonica ma affusolata e racchiusa, quasi stretta, proprio per via di quella sinuosa tonicità, nel grembiulino bianco che allora era d'obbligo alle scuole elementari.
I capelli biondi e lisci le incorniciavano il viso ovale spruzzato di lentiggini, e già allora io mi immaginavo che quelle macchioline le si estendessero per tutto il corpo, dal momento che erano presenti anche sulle sue braccia e sulle gambe. Una creatura dolcissima con un sorriso meraviglioso, Annina era sempre allegra, serena, educata, non alzava mai la voce e per questo piaceva a tutti.
Annina con quell’aria paffutella, eh sì! In effetti era un po’ formosetta, certamente non grassa, ma morbida e molto piacevole. A quell’età, come tutti gli altri bambini, preferivo stare insieme ai maschi evitando le bambine in generale, che avevano altri giochi, altri modi che con i nostri non si potevano paragonare. La sola eccezione era Annina, che non so per quale motivo, ma non mi riusciva di comportarmi, con lei, come di solito facevo con le altre bambine, anzi, non riuscivo nemmeno a comportarmi come facevo normalmente in qualsiasi altra occasione e con chiunque altro.
Con lei mi perdevo e se da un lato mi metteva a disagio, da un altro mi riempiva di serenità la sua rassicurante presenza. In qualsiasi posto mi venissi a trovare, se c’era Annina, riuscivo a capirlo; percepivo nell’aria quel profumo di buono, quell’odore suo, unico e personale, che sapevo riconoscere al di là di ogni possibile fraintendimento.
Quell’odore stimolante ma anche saziante, di buon mangiare, di riposo dopo una grande fatica, di sollievo dopo una forte paura, di festa e di allegria, di voglia di necessario e di superfluo.
Quell’odore che, nella vita, capita a volte di incontrare entrando in un luogo qualsiasi e può diventare improvvisamente di perdizione e allo stesso tempo di pentimento e poi di redenzione e ancora di languida consolazione.
A ben pensarci, l’immagine che Annina dava di se era, nell’insieme, era una di buona bellezza o di bella bontà, non so ben dire: non riesco a descrivere con più precisione cosa fosse per me, allora, quella dolce creatura che riusciva a darmi sensazioni che non conoscevo perché non capivo, ma che di lì a pochi anni avrei imparato ad apprezzare, riconoscere e rincorrere.
Quella sorridente bambina aveva il potere di farmi continuamente rivivere i miei legami più cari di allora, quelli più gelosamente custoditi. Passandole accanto, percepivo il profumo del pane appena tolto dal forno che, a quei tempi, le donne della famiglia facevano in casa.
In certe occasioni, sfiorando la sua pelle, sentivo gli aromi sedanti in cui riconoscevo lo spirito della grande cucina dove, emozionato, trovavo ristoro agli affanni e protezione dalle arrabbiature di mio padre.
Nelle giornate di primavera, quando capitava di vederci dopo la scuola, andavamo insieme per la campagna e, dopo affannose corse attraverso i prati fioriti, ci buttavamo stanchi e sudati sull’erba e ansanti ci riempivamo il naso e la bocca di aria e delle fragranze di tutta la natura che ci stava attorno. In quei momenti percepivo, di Annina, una tempesta di profumi buoni e invitanti, come se mi fossi trovato in pasticceria. Vergognosamente, anche se non capivo perché, cercavo di nascondere quel desiderio, quasi incontrollabile, di addentare la sua pelle che mi tentava, al pari di spumose creme.
All’entrata della scuola, per raggiungere le aule, si doveva attraversare un ombroso e umido androne e in certe giornate buie e piovose d’autunno, attraversandolo con a fianco la mia bionda amica, mi sembrava di essere nella cantina del nonno, guardavo le forme che quella strana luce, dava alla figura d’Annina e non riuscivo a fare a meno di aspirare profondamente, per assaporare quell’improvviso profumo di mosto di vino, che si materializzava quasi per magia.
Col senno di poi, con l'esperienza vissuta, mi rendo conto che erano burrasche di istinti primitivi, che si ammucchiavano in caotica sequenza ma che oggi sarei ben contento di poter tornare a gustare, cercando di identificare e catalogare in buon ordine, centellinandoli, ad uno ad uno e poi lasciarli liberi di scatenarsi in una eccitante confusione.
Annina era la saziante serenità della mamma, era l’ingorda opulenza della cuoca, era l’appetitosa impazienza della morosa, era l’appagante desiderio della moglie, era l’esasperante golosità dell’amante, era il frugale assaggio proibito. Non sapevo, né potevo immaginare che nell’Annina c’era, come in tutte le esponenti dell’altra metà del cielo, l’intero mondo d’odori e sapori che riempiono, intrecciandosi negli anni, la vita fortunata di quelle persone che non si accontentano di vivere gli avvenimenti, ma che fanno di tutto per farli accadere.
Quell’anno passò, alternando momenti sereni passati all’ombra della rilassante tranquillità di Annina a momenti di tensione, per lo scherno dei compagni, che non riuscivano a capire cosa ci trovassi di tanto interessante nel frequentare quella ragazzina.
Finirono le scuole e durante le vacanze estive incontrai Annina alcune volte, ma presto capii che non era come prima. Durante la scuola vivevo al massimo quegli attimi fuggenti con Annina, aspettavo quei momenti e finalmente, quando mi trovai a poter disporre di tutto il tempo che volevo da passare con lei, mi resi conto che avevo poco da dire e da fare e quel poco era anche poco interessante.
Io, per lei, ero più strano, lei mi pareva meno bella, meno sorridente, meno interessante. Io mi sentivo, il più delle volte, impacciato, lei a volte, addirittura annoiata da quel gran niente che, un po’ alla volta, nasceva tra noi.
Quell’anno, all’inizio della scuola, mi accorsi della mancanza di Annina solo perché me lo fecero notare i compagni di scuola, appresi che la dolce amica si era trasferita in un altro paese e di conseguenza, aveva cambiato scuola, pensai che forse non l’avrei più rivista.
La rividi, invece, durante una visita ad un museo, organizzata per più scuole, in occasione di un evento particolare, una commemorazione o qualche cos'altro che non ricordo bene. Lei non mi vide, forse, io feci di tutto per rendermi invisibile ai suoi occhi. Annina era raggiante e parlava di continuo in mezzo ad un nugolo di ragazzini che le ronzavano attorno.
Non riconoscevo più la dolce e malinconica amica in quella esuberante e chiassosa bambina che non perdeva occasione per lanciare acuti gridolini e sguaiate risate ad ogni battuta stupida o complimento melenso provenienti da quel branco di ragazzini, rapiti dalla affascinante biondina.
Ci rimasi male, ci pensai e ripensai per un po' di giorni, poi: la scuola, i giochi, gli amici riempirono di nuovo la mia esistenza.
Di Annina mi resta il ricordo del suo profumo di buono che, ogni qualvolta, all’improvviso, si ricompone nelle narici, richiama alla memoria frammenti di ricordi di un passato di vita felice ma impaziente.
Con il vissuto che mi porto appresso oggi, con l'esperienza del vissuto che mi segue in ogni momento, ora, quando riaffiora quel profumo i sensi mi rapiscono e se non fosse che il tempo mi ha insegnato a mordere i miei freni inibitori mi abbandonerei perso e perduto nel vortice dell'erotismo che, in compagnia o in solitudine, soddisferei nel pensiero di quella lattiginosa e lentigginosa schiena solcata dalle trecce bionde.
Nessun commento:
Posta un commento