21 aprile 2010

Giusto un "pour parler"



Il fatto è che non siamo abituati a parlare della morte, per questo quando siamo costretti non sappiamo cosa dire, e anche i pensieri più sinceri rischiano di diventare di circostanza, e i pensieri che non sembrano di circostanza vengono presi come fuori luogo. Qualche giorno fa in un paio di occasioni ho lanciato l'argomento: "quando morirò...", non ho fatto a tempo a dire l'accento della o che in entrambi i casi mi è arrivato un vento di parole "ma cosa dici", "ma nooo non si dice". Il penisero della morte può essere doloroso per chi muore, forse, e certamente per chi resta (molto probabile), ma è normale che sia così perchè, a parte la fede per chi crede, nessuno ci insegna a prepararci all'eventualità morte, e neanche a chiamarla morte. Però quando muore qualcuno in qualche maniera lo devi dire, e li senti i giri di parole più usati "eh se n'è andato", "è passato a miglior vita", "è andato in cielo": dire "è morto" in molti casi e per tante persone risulta troppo forte e si viene guardati male. Anche alcune cause di morte diventano indicibili, il cancro diventa "il male incurabile", "malattia inguaribila"o nel peggiore dei casi "quel male la". C'è molta comprensibile paura, manca un pensare sano della morte che farebbe vivere meglio. Morire è parte integrante del vivere, ed è vicino a noi costantemente, propio in quanto persone vive. Se non parli della morte, non puoi dire un sacco di cose che riguardano la vita. Per me è importante dire a chi voglio bene "guarda quando muoio, non state tanto a soffrirci su, siccome vi voglio bene, quello che vorrei di più è che siate felici, quindi per sapermi contento cercate di essere sereni" che arrivi questa mia idea, per me, è un grosso sollievo e se queste cose se non le dico adesso che sono vivo e in salute, da morto credo avrò qualche difficoltà a trasmetterle.


Nessun commento: